I. Un sirventese, se potessi, vorrei fare, che procurasse diletto e piacesse a tutti, ma purtroppo non so comporlo in maniera gradevole, né so scovar bei motti o scegliere parole acconce, né so cosa sia poetare da maestro, per questo a volte desisterei dal farlo. Tuttavia ne eseguirò uno, non sarà gran che, ma è come son capace, ché così mi garba.
II. Così come so, ne voglio accapezzare uno su ciò che si vede al mondo d’oggi: nel mondo si vede più di un ricco a cui piace molto più prendere che dare. Da un tale ricco, che porta via senza donare, ogni uomo dabbene dovrebbe starsene lontano, perché per un valentuomo è una perdita e un danno, se lo vede o lo ascolta o è suo ospite.
III. Dunque un uomo di valore non deve mai abitare presso un ricco meschino, avaro e tirchio, giacché non può ricevere beneficio da lui, né può fare affidamento su qualcosa che egli possiede. Cento volte meglio, e più proficua, la familiarità del povero, perché il povero è remissivo e sarebbe disposto a compiere tutte le sue volontà.
IV. D’altra parte non si deve biasimare il malvagio quando si comporta in modo vile o riprovevole, perché il malvagio, anche se sbaglia, fa quel che deve, ché è inevitabile da parte sua. Per questo è in errore chi biasima follia: come il cortese deve agire secondo cortesia e l’uomo di merito deve compiere azioni belle e pregevoli, così il malvagio è tenuto a compiere azioni indegne e villane.
V. Talvolta ho taciuto e avrei fatto meglio a parlare, tal altra ho parlato ed ora me ne pento. Perciò dico questo: che ciascuno usi giudizio prima di parlare quando gli converrebbe star zitto, perché a volte uno dice quel che non dovrebbe, e se ne pente in seguito, se gli fosse giovato tacere. Per questo ognuno dovrebbe ben ponderare le sue parole, prima di dire qualunque cosa.
VI. Questo sirventese ho composto a modo mio, così come ne son capace, e se qualcuno volesse migliorarlo in qualcosa, faccia pure, che da parte mia non lo considererò un danno, anzi sarà per me onore, profitto e vanto.