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Italiano
Giulio Bertoni

I (1). Non voglio lasciare di cantare, e ne ho anzi delle ragioni, perchè nessuno, a dirvi la verità, si mostra geloso di me per quanto spetta ad amore [pel fatto che non sono amato]; per questa ragione debbo cantare di buon grado, chè posso trar vantaggio in amore, anzichè scapitarne, e odo dire e affermare: «chi non ha nulla, non può perdere nulla».
 
II. Non debbo perdere il gentile omaggio che ho fatto a colei che mi guerreggia di cento sospiri (così Dio mi vegga!) tanto corali, che già presso a morire mi crede il primo che io incontri, e mi fa troppo bene intendere che nulla mi profitta l'attendere lungamente, chè sino a lei non potrei arrivare.
 
III. E perciò anche di notte, invece di dormire, penso se ragione vi è che mi debba amare la mia donna, la quale mi signoreggia siffattamente che per poco non mi rende folle; ma ella è tanto piacente, che sempre mi invita a desiderarla il mio cuore, a cui debbo attendere, e poichè tanto vale, non mi deve essa sollevare e rallegrare?
 
IV. Dunque, che cosa farai? Vuoi lasciare di amarla? Io lo farei. — Perchè? — Perchè troppo è folle chi cerca il proprio danno; e se amore piatisce con te, credi veramente di poterne gioire? — Sì, perchè a malgrado dei referendari, mi dò a lei, chè ad altre non mi voglio dare, ed essa mi può donare e vendere [può fare di me ciò che vuole] e nessuna sofferenza non mi allontana da lei.
 
V. Però, se bene mi faccia languire, non è ragione ch'io mi ricreda d'amare lei, che verso di me si comporta male pel fatto che mi fa sopportare tutto ciò che vuole, come fino amico veritiero che non si vuole difendere da amore; ma ciò che essa vuole voglio prendere in grado, chè altra donna non mi può deprimere nè sollevare.
 
VI. Canzone vattene, buon messaggero, e . . . . . . senza più aspettare verso . . . . . fa intendere che il Mio-Ristoro non mi può perdere.
 
VII. Allegrezza e cortesia, beltà e merito perfetto e il bene e tutto, insomma, si sono messi nella più bella, senza discussione, che sappia guadagnar pregio, senza mai discapito.
 
 
 
Nota:
 
1) Questo componimento è tutto contesto di luoghi comuni, propri alla antica lirica aulica o cavalleresca, e presso che intraducibili, a meno di non usare troppe perifrasi. Così, il v. 6 (Que poiar pois e no dessendre — D'amor) e il v. 40 (Qu'autra no·m pot baissar ni erdre) presentano i verbi poiar, dessendre, baissar, erdre in un significato speciale ben noto, che essi acquistano nel linguaggio amoroso e che non si può rendere, in una versione, che approssimativamente. Poiar e erdre indicano a volte, possiam dire, la gioia che l’amante trae dal vedersi corrisposto dalla sua donna e talora significano quasi il crescere della sua passione o il nobilitarsi di essa. Sollevandosi sempre più, l'amante aspira a qualcosa di più; aspetta sempre dall'amore nuove gioie. Se ottiene ciò a cui tende o se ha speranza di ottenerlo, allora egli «poggia», si innalza in amore. Se le speranze si dileguano, allora egli «discende». In tale senso, alquanto indeterminato, vanno intesi i corrispondenti italiani, quasi letterali, che nella nostra versione abbiam dato a questi verbi. Anche il «servire» in amore è, come si sa, il «rendere omaggio, rendere onore» alla donna (v. 9) quasi come vassallo a signore, e il «partire» (v. 25) dalla donna o da amore, significa non già l'atto materiale di allontanarsi, ma sì bene l'abbandono, da parte dell'amante, dei sentimenti amorosi. Tutte cose, queste, conosciutissime; ma non inutile mi è parso il ricordarle brevemente a questo luogo, perchè la mia traduzione di questo componimento tutto imbevuto di locuzioni cavalleresche appaia giustificata nella sua forma dimessa, che non si diparte troppo dalla lettera e in pari tempo vuol rendere, come può, lo spirito del testo. Per nostra fortuna, questo linguaggio feudale, trasportato nei dominî dell'amore, questo linguaggio falso, convenzionale, vuoto e freddo è scomparso; ma siffatta scomparsa, che è, come dico, una fortuna, si risolve in una disgrazia per un traduttore, che voglia tenersi ligio al testo, e insieme voglia renderlo in un linguaggio moderno e chiaro. ()

 

 

 

 

 

 

 

 

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