I. In questo piccolo e gaio «suono» leggero, mi voglio rallegrare cantando, perchè non so che cosa possa diventare un uomo che non si dà piacere; ond'io voglio tenermi con gioia e con gli uomini di vaglia di Provenza che si conducono con belle maniere, sì da non potere essere scherniti da nessuno.
II. Avrei ben io desiderio e voglia di conquistarmi pregio fino e intero, se non mi mancassero danari e rendite, con che potessi compiere le belle azioni che vorrei fare; ma poichè a Dio non piace ch'io possa fare grandi liberalità e cortesie, mi debbo almeno guardare dal mal fare (dall'essere scortese) e debbo servire di ciò che possiedo.
III. Per vero, il «pregio» non domanda ai suoi seguaci altro che ciò che sta nelle loro forze (che facciano di bene o di cortesia o di liberalità quanto possono) e che evitino il male (la scortesia, l'avarizia, ecc.); perciò colui che è avaro del suo ha molto poca saggezza, perchè gli averi non hanno valore se non quando si sanno far profittare e se ne trae ragione di rendersi utile agli altri (di ottenere l'aggradimento degli altri).
IV. All'imperatore giusto Federico voglio far sapere e dire che se meglio non guida l'impero, la città di Milano crede di conquistarlo con grandi fatti e già essa se ne crea intorno la rinomanza; quindi vi giuro, sulla mia fede, che poco ho in istima la sua esperienza e il suo senno e la sua saggezza, se in breve tempo non sa farnela pentire.
V. So una donna dal corpo piacente, della quale nessuno può sparlare; e non teme vanteria di lusingatore e sa trattenere presso di sè i migliori con bontà e con belle maniere; tanto è gentile la sua e tanto sono gentili, dal principio alla fine, i suoi modi, che nulla le manca e ha un nome caro per rendersi cara.
VI. La signora Giovanna d'Este piace, senza fallo, a tutti i prodi, ond'io voglio tenermi con i prodi.