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Italiano
Giulio Bertoni

I. — Se paradiso e inferno sono, amico Girardo, quali udiamo ognora dire, in quale dei due volete voi, senza averne gioia o dolore, per un mese dimorare, con lo scopo di conoscere [per evitarle] le pene infernali (in paradiso, come fanno i fedeli di Dio, o in inferno?), con lo scopo, dico, di conoscerle, senza sopportarle, così come nel mondo di qui si conoscono le cose altrui, domandando e vedendo?
 
II. — Aicardo, io scelgo la dimora, che meglio giova: chè in paradiso voglio conoscere e distinguere il bene, che vi prende ciascuno servendo Dio, e la grandezza della gioia eterna e come si onori il feudo di paradiso e quale è colui che Dio tiene più presso di sè, per suo. In tal modo, io potrò facilmente conquistare il paradiso, se non sbaglio (se non mi comporto male) a bella posta.
 
III. — Girardo, io preferisco vedere il male a mio profitto che il bene a mio danno; onde in inferno desidero vedere il male che vi si ha per i nostri peccati e i dolori delle pene infernali e quale pena hanno Saraceni e Giudei e poveri e ricchi, chè per tal modo saprò poi leggermente evitare l'inferno e umiliarmi alla gioia maggiore che si conquista servendo Dio.
 
IV. — Gli onori resi per paura sono venali, Aicardo, e perciò non sono da aggradire, che io non vedo nessuno che, ciò facendo, faccia bene e meriti bene: ma, invece, s'io onoro Dio per solo amore corale, acquisto da siffatto onore il suo gradimento e il mio. E poichè tutti, Latini ed Ebrei, folli e sensati, vanno maledicendo l'inferno, io voglio per contro vedere ciò di cui ognuno ha desiderio.
 
V. — Girardo, è triste ciò che rimuove da cosa anch'essa triste. Onde, se vedo l'inferno, ne trarrò profitto ben io, che ne prendo esempio per schivare il male, poichè teme più di morire colui che vede la sua morte che colui che si trova in luogo di salvazione. E se veramente le cose stanno come odo leggere sulla carta [in chiesa] e come si vede dipinto e scritto ed esposto alla gente [nei tabernacoli], difficilmente alcuna gioia potrà dare tanto piacere quanto l'inferno produce spavento.
 
VI. — Aicardo, se in luogo povero triste e mortale, come l'inferno, ove ciascuno non ha che da perdere voi vi pensate averne profitto, ben mi deve piacere la dimora preziosa di paradiso, ove sempre si hanno allegrezze e feste. Invero, difficilmente si può trarre fuoco da ghiaccio o da neve e riso da pianto; cosicchè voglio vedere Dio e la sua corte e i suoi fedeli, e, quanto a voi, vedete pure le tristezze infernali.
 
VII. — Amico Girardo, vi rispondo brevemente: nessuno non vide la grande potenza di Dio e non entrò bene e con onore in paradiso, se prima non ebbe timore e spavento dell'inferno.
 
VIII. — Tale teme l'inferno, che non onora punto Dio, amico Aicardo, ma di questo non ho dubbio o timore: che, cioè, in inferno si possa imparare ad onorare altrettanto Dio quanto fa colui che lo vede ognora dinanzi.

 

 

 

 

 

 

 

 

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