I. Signora Guglielma, molti cavalieri erranti, andando di notte per mal tempo, che faceva, si lamentavano, in loro linguaggio, di non trovare dimora. Intesero le loro lagnanze due baroni che per amore se ne andavano frettolosi alle loro donne. Uno di essi se ne ritornò indietro per servire quei cavalieri; l'altro se ne andò rapido alla sua donna. Quale dei due si comportò meglio?
II. Amico Lanfranco, migliore viaggio fece, al mio parere, colui che si indirizzò verso la sua amica; anche l'altro fece bene, ma la donna non potè conoscere così perfettamente il cuore di lui come quella che vide presente, dinanzi agli occhi, il suo amante perchè, così facendo, il suo cavaliere le mantenne i patti; e invero vale molto di più chi mantiene ciò che dice, che chi pone in altra cosa il suo cuore (chi cambia d'avviso).
III. Donna, vi prego: tutto ciò che fece di bello il cavaliere, che per suo valore preservò gli altri da morte e da danno, gli fu ispirato da amore, perchè nessun uomo può avere in sè alcun che di cortese se non gli discende da amore. Perciò la sua donna deve molto più essergli grata di aver prestato aiuto a siffatti cavalieri che di esser venuto a vederla (letteralmente: che se egli l'avesse vista).
IV. Lanfranco, mai non avete parlato indarno come avete fatto ora discorrendo di colui che ritornò sui suoi passi, perchè sappiate bene che egli commise un grande oltraggio a non servire anzitutto la propria donna, dal momento che il suo amore era sincero. Egli ne avrebbe avuto gioia e gratitudine e poscia avrebbe potuto, per il suo amore, prestare ad altra donna i suoi servigi, senza tema di fallire.
V. Donna, vi chieggo perdono se parlo da folle, ma ora vedo che è vero ciò che ho sempre creduto: che, cioè, a voi donne non aggrada che gli amanti tengano una strada diversa da quella che conduce a voi. Se si vuole che un cavallo si comporti bene in torneo, bisogna guidarlo con misura e con senno; ma poichè voi trattate sì malamente i vostri amanti, ne viene che ad essi viene a mancare la forza di continuare nei loro omaggi, e su voi ricade il torto.
VI. Lanfranco, io dico che il cavaliere, il quale ha il favore d'una donna bella, prode e di alta schiatta, dovrebbe senz'altro abbandonare ogni cattiva usanza. Se anche il cavaliere, che ritornò indietro, non fosse stato nella sua dimora, quivi gli ospiti sarebbero stati eccellentemente serviti (letteralmente: quivi altri avrebbero servito largamente). Ma ciascuno di noi due ha un po' di ragione, perchè un cavaliere, che si conduca com'io dico, si mostra debole, sì da lasciar credere che potrebbero mancargli le forze dinanzi ad una eventualità più grave.
VII. Donna, io ho forze e ardimento (ma non contro voi) sì che vi potrei vincere con tutta facilità (letteralmente: vi vincerei dormendo). Io fui ben folle quando assunsi di disputare con voi; ma voglio che, alla fine, mi abbiate, in qual si voglia modo, vinto.
VIII. Lafranco, io vi dico e vi assicuro che mi sento tanto coraggio e ardire, che mi difenderei contro il più ardito, che vi sia, con quella sottigliezza con cui una donna sa difendersi.