I. Signor Lanfranco, poichè siete tanto sapiente, vi prego di venirmi in aiuto. Io amo una donna, in cui siede valore, ed ella ama me, come ben me ne sono avveduto. A chi darò, secondo il vostro parere, la dote di una fina beltà, e non siate giudice parziale: a lei, che amo, o me ne starò io stesso contento, poichè Dio mi ha dato facoltà di fare siffatto dono?
II. Amico Simone, io dò volentieri consigli a tutti gli amanti pel fatto ch'io stesso amo con cuore leale, e d'altro canto, non debbo rifiutarvi il mio aiuto, perchè ho affetto e benevolenza per voi. Per questo vi consiglio di dare la dote di piacere e della bellezza alla vostra donna. Su ciò non vi può essere discussione, poichè non vi reputerei amante, se non amaste molto più la vostra donna che voi stesso.
III. Signor Lanfranco, il vostro consiglio mi piacerebbe bene, se non mi tenesse sospeso il timore; ch'io ho paura che [una volta conseguita la dote della bellezza], ella si volga ad altri e cambi con me i suoi bei modi. Quando la bellezza s'è congiunta al valore, ne nasce orgoglio, che diminuisce a sua volta la benevolenza. Ond'io, la bellezza, voglio tenerla per me, chè il concedere un tal dono mi sarebbe gravoso, qualora mi procurasse ragione di dolore.
IV. Se la vostra donna, in premio del piacere che le avete fatto, vi togliesse la sua onorevole simpatia e il bene del suo amore, il vostro affetto e il vostro pensiero, amico Simone, si sarebbero rivolti a una donna immeritevole. Ond'io vi consiglio a non aver timore, poichè, avendo essa valore e intelligenza, pensate quale guiderdone ne avrete, se, grazie a voi, essa ottiene un sì grande vantaggio.
V. Signor Lanfranco, questo discorso, che mi andate facendo, mi cagiona turbamento e dolore. Io ho udito che chi consiglia altri deve avere fior di senno; ond'io sono timoroso, perchè non si può, se non riposando soltanto sulla buona fede, essere certi del pensiero e delle intenzioni altrui. Per quanto riguarda me, so bene che, qualunque vantaggio ne avessi, non mi mostrerei immemore verso colui che me l'ha procurato.
VI. Amico Simone, ben si vede che siete ondeggiante, perchè non avete il cuore del vero amante; che se l'amore vi turbasse sul serio, non vi uscirebbero dalla bocca parole diffidenti. Ah, come avete potuto dire una sì grande sconvenienza, che una donna virtuosa possa fallire? Qui appunto mostrate che non l'amate; ma essa non lo saprà da me.
VII. Signor Lanfranco, gentilezza e distinzione proiettano tanta luce sulla mia donna e sulle lodi, che si fanno di lei, che si può dire che non le manchi neppure la bellezza del corpo e del viso e non ha pari quanto a fatti nobili e leggiadri. Ond'io posso bene ritenere il mio parere.... s'io sono piacente e gaio, chè in luogo ascoso le sarò per lo meno più gradito.
VIII. Amico Simone, il vostro ragionare non mi sembra giusto, ma orgoglioso ed errato, poichè non è mai accaduto che una donna fosse tanto bella da possedere del tutto ogni bellezza, eccetto però la mia donna, che ognora più migliora e piace; e se la vostra fosse così bella come la mia, sarebbe fanciullesco tenzonare, perchè mancherebbe la ragione (letteralmente: perchè io non vedo) donde muove la disputa.
IX. Madonna Fiordiligi, che è radice e seme di tutto pregio non vuole che sia contesa sopra ciò fra noi due, signor Lanfranco; anzi essa vuole e ingiunge che la tenzone abbia fine.
X. Beltà e sapere convengono a donna; a uomo si addicono ardimento e valore; che beltà non rende perfetti, ed amore non vuole che i valenti e i prodi.