I. Se il mondo si dissolvesse con grande maraviglia, non me ne adonterei. Si oscura almeno tutto ciò che risplende, poichè re Corrado, per cui regnò il valore, e cortesia e virtù ed ogni bene furono in pregio, e l'alto duca Federico d'Austria, che fu ricco di onorati meriti e di valore, sono morti tanto miseramente! Ahi, quale danno! Ma, ora, dopo che il mondo ha ricevuto una così grande onta, conviene che lo si disistimi, anche perchè la superbia ha preso baldanza con intendimento di coprire d'onta il pregio e la nobiltà.
II. Ma io mi maraviglio molto in me stesso come possa fare lo sforzo di ritrarre la disgrazia, il cocente duolo e il più che mortale danno [che ne abbiamo], perchè sarebbe giusto, secondo il mio parere, che il ricordo, senza parole, uccidesse me e ogni uomo, in cui si trovi valore; chè mai non vi fu come ora il trionfo della dappocaggine sul valore (letteralmente: non vi fu ancora, come adesso, uomo giovane o vecchio che fosse troppo superato da un altro meno valente). Essi [Corradino e Federico] e le loro azioni erano di tanto gradimento, che soltanto a sentirne parlare, anche senza conoscerli, gli uomini irati menavan gioia.
III. Chè il Re, in cui non erano ancora vent'anni, amava Dio, la giustizia, la misura, il sapere, in cui Salomone stesso lo sopravvanzò di poco, e valse, senza fallo, per armi Lamorat e largamente concesse e spese tanto che il più generoso, appetto a lui, sembrava un mendico, e fu amico ai prodi e nemico ai dappoco, senza far loro dei torti, e non ereditò meglio di lui Ancellotto l'arte di piacere molto, tanto egli fu bello e cortese e, senza dubbio, fu del più alto lignaggio.
IV. E nel prode Duca erano tante qualità di pregio, ch'egli ebbe quasi un contegno reale, chè diritti furono i suoi detti e i suoi sembianti e nelle sue cose fu in tutto punto piacente, sì che mai non errò nè fallì gran fatto, ond'io penso che a Dio spiacque molto la loro morte. Ma dal momento che Egli sofferse che tanto danno si compisse, mi convinco fermamente che Egli abbia pensato che nel mondo non c'era per essi un posto abbastanza degno e che, per l'uno e l'altro di loro, ognuno dovrebbe molto più rallegrarsi che abbiano ottenuto il perfetto godimento del cielo.
V. Ahi! Come vivono Tedeschi e Alemanni, se nel cuore hanno il ricordo di quest'onta? Chè il meglio di loro hanno perduto in questi due e ne hanno ottenuto un gran danno morale. Se non si vendicano subito e bene, vivranno svergognati, chè Carlo fu tanto iniquo da piacergli che vivesse Don Enrico e che la dura morte [invece] albergasse con disonore questi baroni. Egli è che egli conosce gli Spagnuoli come coraggiosi e [d'altro canto] volle che si dicesse che non teme di avvilire una così onorata dinastia.
VII. Ah, nobile gente, ricordatevi sempre della loro morte e di ciò che si dirà se sopportate un tale oltraggio. E re Alfonso, che è re onorato, pensi se sia il caso di lasciare umiliare suo fratello in tale stato.
VIII. Ai gentili ricordo che il mio pianto è fatto con gai, graziosi e piacevoli suoni, chè altrimenti penso che non lo si potrebbe cantare e neppure udire, tanto è inspirato da dannoso lutto!