I. «Donna, tanto vi ho pregata che, per favore, mi vogliate amare, ch’io son divenuto vostro servitore; voi siete prode e istruita e riconoscete ogni buon merito; perciò mi piace la vostra amistà; poichè voi siete cortese in ogni vostro comportamento, il mio cuore si è fissato in voi più che in niun’altra Genovese; perciò sarà grazia se mi amate; e poi sarò più contento che se fosse mia la città de’ Genovesi, con tutta la ricchezza che vi è accumulata».
II. «Giullare, voi non siete cortese da che mi sollecitate di ciò! Io non ne farò niente! Anzi, che foste impiccato! Vostra amica non sarò! Certo, vi scannerò, Provenzale malaugurato! Tale ingiuria vi dirò: “sozzo, sciocco, scalvato!” Non amerò già voi: io ho un marito più bello di voi, ben lo so! Andate via, fratello: a miglior tempo!».
III. «Donna gentile ed eletta, gaia, prode e saggia, mi giovi la vostra creanza, giacchè vi guida gioia e giovinezza, cortesia, pregio, senno ed ogni buon contegno; io vi sono fedele amante, senza alcuna riserva, franco, umile, supplichevole: tanto fortemente mi stringe e mi vince il vostro amore che ciò mi è piacevole; onde sarà indulgenza se io diverrò il vostro benvogliente e il vostro amico».
IV. «Giullare, voi sembrate matto che tenete tal discorso! Mal veniate e male andiate! Non avete senno per un gatto; troppo mi spiacete, chè parete mala cosa! Non farei tal cosa, foste anche figlio di re! Credete voi ch’io sia stolta? Affè mia, non mi avrete! Se fate conto di amarmi, quest’anno morrete di freddo! Son di troppo mal costume i Provenzali».
V. «Donna, non siate tanto fiera: ciò non si conviene e non vi si addice! Ben si conviene piuttosto che, per favore, io vi richieda secondo il mio sentimento, e che vi ami con animo sincero, e che voi mi liberiate di pena; io sono vostro uomo ligio e servitore, perchè vedo e conosco e so, quando guardo la vostra beltà, fresca come rosa di maggio, che nel mondo non c’è altra donna più bella; io vi amo e amerò, e, se la vostra buona fede mi verrà meno, sarà peccato».
VI. «Giullare, il tuo parlar provenzale, se io mi rispetto, non lo stimo un genovino; non ti intendo più di un Tedesco o Sardo o Berbero, e non mi curo di te! Ti vuoi accapigliare con me? Se lo verrà a sapere mio marito, mala contesa avrai con lui! Bel messere, vi dico il vero: non voglio questo discorso; fratello, ve ne assicuro; Provenzale, va, mal vestito, lasciatemi stare!».
VII. «Donna, in strano affanno mi avete messo e in inquietezza; ma ancora vi pregherò che vogliate ch’io vi provi come lo fa un Provenzale, quando è montato».
VIII. «Giullare, non sarò teco poichè di me ti cale così! Meglio varrà, per san Martino, se andate da ser Opizzino; egli vi darà forse un ronzino, perchè siete giullare».