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248,VI

Italiano
Maria Grazia Capusso

Questa è l'Esposizione della canzone «del minor terzo d'Amore» che fece Don Guiraut di Calanson, la quale Esposizione fece Don Guiraut Riquier da Narbona. (*)

(1-19) Ai raffinati intenditori amanti di bel sapere, in grado di ascoltare e comprendere quanto sto per dire, io mi rivolgo; e mi si presti fede sul fatto che non ho certo intrapreso quest'opera per mia personale iniziativa, poiché colui da cui prende incremento ogni bene me ne ha dato il compito e l'autorità di eseguirlo. È mio dovere, quindi, evitare ogni minimo fallo nell'adempimento del suo desiderio, purché non mi vengano a mancare capacità e sapienza, del che in effetti ho timore; eppure è necessario obbedire senza alcuna esitazione al proprio signore, e ciò malgrado la mia insufficiente competenza a discorrere di quest'argomento.

(20-45) Nell'anno 1280 dall'incarnazione di Cristo, nel mese di gennaio, il giorno che si comincia a datare in relazione alle calende di febbraio, trovandosi circondato da un gran numero di trovatori, come avveniva di frequente, al signor Don Enrico, in sempre maggior onore, per grazia di Dio conte di Rodez — il quale io considero signore legittimo, avendo ottenuto il consenso divino ed umano, tanto è ricco di piacevoli virtù — venne il desiderio di ascoltare, da alcuni trovatori capaci di dosare perspicuità ed oscurità, una compiuta interpretazione (se possibile) della canzone composta da Don Guiraut, quello di Calanson, in cui disse il suo parere sul minor terzo d'amore.

(46-69) Ed il conte, signore d'onore e mio, scelse chi a lui piacque fra i trovatori che erano presenti, e tra essi nominò me, Guiraut Riquier da Narbona, e mi consegnò una copia scritta della canzone, alla quale non fu apportato alcun mutamento, così come state per ascoltare. Pertanto, in serena meditazione, con quel po' di sapienza che Dio m'ha elargito, mi accingo ora su richiesta del conte ad esercitare il mio ingegno intorno a quanto, secondo me, intese dire in modo ermetico l'autore della canzone (pur tuttavia) destinata all'ascolto: non per biasimarlo, ma per dire la verità del suddetto minor terzo, nei punti ove si renda possibile una diversa interpretazione.

(70-109) Che i terzi debbano essere tutti uguali per quantità, va comunque ammesso, poiché non si può chiamare 'minore' la terza parte d'una cosa tripartita; riguardo al valore, invece, può essercene di più o di meno, ma in ogni caso sicuramente non in un 'terzo', se si tratta di una parte 'minore'. D'altro canto, risulta ben possibile far tre parti disuguali d'una sola cosa delle quali, a mio parere, si può parlare a ragione di 'minore' o 'maggiore', ma non di 'terzo' o 'terza': vale a dire che, a buon diritto, si possono elencare progressivamente, e con esattezza, il primo o il secondo o il terzo, come si usa dire tra minori o maggiori quantità, e solo a questo patto ci si esprime correttamente.
Con tutto ciò, il primo non si identifica col secondo né col terzo, né di converso il secondo col primo o col terzo, né il terzo, a mio giudizio, col primo o col secondo. Lasciamo stare tale questione, che (al momento) non ci riguarda, in quanto non serve affatto a spiegare il chiuso significato del minor terzo che ha suscitato l'interesse del conte, il quale lo vorrebbe vedere finalmente chiarito.

(110-123) Mi accingo a svelarvi il vero significato di queste tre parti d'amore, che vennero nominate 'terzi' dal trovatore Guiraut di Calanson, autore della canzone. I loro nomi risultano ugualmente abituali alla mia mente: ritengo che si tratti rispettivamente dell'amor celeste, naturale e carnale, e voglia Iddio guidarmi alla giusta esposizione del mio pensiero.

(124-135) L'amore celeste consiste nell'amare Dio, servirlo ed obbedire ai suoi comandamenti con la volontà e l'intelletto, spingendo al massimo le proprie capacità, come fecero i santi discepoli e come continuano a fare tutti [coloro] che sperano di vivere e di morire in (pace con) Dio. Per seguire drittura, (costoro) tengono la via diritta, la quale è molto angusta e difficoltosa per chi è di animo debole.

(136-155) L'amore naturale, invece, consiste nell'amare al mondo deteminate persone più delle altre creature, per molte precise ragioni, e soprattutto i parenti e i più stretti consanguinei. Per costoro un uomo combatte e si espone a rischi mortali, e si prefigge con ogni mezzo di dare un forte incremento ai propri beni materiali: di qui derivano cause e processi e guerre e discordie, per lasciare cioè ai propri figli un patrimonio ben consolidato, avendo il cuore totalmente perduto dietro a quest'amore, tanto da non aver paura della morte e nemmeno di quella dell'anima.

(156-173) L'amore carnale, poi, è veramente quello che soggioga uomini e donne e a tutti toglie senno e sapienza, poiché a questo riguardo ha un potere (tale) che nessuno vi si può sottrarre. L'autore della canzone certamente sminuisce quell'amore, chiamandolo minor terzo: era altresì possibile, volendo, definirlo maggiore, almeno stando a quello che io credo il suo intento; senza contare che a me risulta il più potente in assoluto nel mondo, dato che esso salvaguarda non diritto, ma volere.

(174-185) A questo punto, però, la convenienza mi vieta di proseguire oltre: ritengo in effetti che nessuno infiammato da quest'amore gradirebbe ascoltare una chiara e compiuta spiegazione al riguardo, anzi me ne vorrebbe per questo. In ogni caso, dirò quanto c'è da dire nei confronti della canzone, seguendo il mio retto intendimento.

(186-200) Di questa canzone, in cui espresse il proprio pensiero con originalità ed acutezza, Don Guiraut curò una pubblica esecuzione, là nella nobile corte del Puy, tenuta abitualmente in onore per le virtuose ed onorate gesta che vi si compivano: là tutti i gran signori, baroni, cavalieri e dame convenivano per acquistare pregiata fama e per assistere alle belle e nobili imprese promosse dalla corte.

(201-213) A tutto questo pubblico riunito, senza distinzioni — dame e signori, persone di medio e di basso rango —, Don Guiraut fece ascoltare la sua canzone, il cui senso profondo seppe tenere riposto. E per cominciare, eccovi la prima cobla: con bella maniera, secondo il mio convincimento, ve ne andrò spiegando il vero significato.

 

I.
 
A lei che amo con il sentimento e l'intelletto,
    (che mi è) signora, signore ed amico, parlerò
    nella mia canzone se le piace degnarsi di ascoltare ciò –
    del gran potere del minor terzo d'Amore:
 
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infatti sottomette principi, duchi e marchesi,
    conti e re; e dovunque la sua corte si trovi
    non segue ragione, ma il puro volere,
    e certo mai in essa sarà giudicato rettamente.

 

(214-222) A mio parere (Calanson) disse la verità con grande chiarezza, come si è detto sopra: in effetti, la maggior parte del contenuto di questa cobla si riferisce alla concezione del medesimo Calanson intorno al minor terzo, secondo quanto intese manifestare a tutti in generale, e in particolare alla propria dama.

(223-230) D'Amore il suo gran potere.
Si deve intendere, in verità: ha potere così grande, come egli stesso spiega, da vincere re, principi, marchesi, per cui il suo potere è avvertibile con piena evidenza ed occorre prestar fede a ciò.

(231-253) E dovunque la sua corte si trovi / non segue ragione, ma il puro volere, / e certo mai in essa sarà giudicato rettamente.
Egli stesso ha ben spiegato la cosa, a patto che si sia in grado d'intenderla. Quest'Amore dunque, sotto false sembianze, assale la gente al di fuori di ogni ordine perché non segue la ragione, ma sempre e solo il suo volere. Poiché, quindi, ha questo disordinato potere, non credo affatto che sia in grado di giudicare rettamente, e così non accade, in verità: dato che per gli innamorati il suo inizio consiste nel piacere, ma poi ne subiscono tormenti e angosce e mali. Dunque, l'apparenza di Amore è ingannevole e da ciò derivano reclami contro di lui: infatti la maggior parte degli innamorati ha sporto querela in proposito.

(254-265) Eppure alcuni di essi, soggiogati da Amore, mi considereranno scortese per il fatto che dico la verità con tanta chiarezza: non riesco tuttavia ad agire diversamente, dato che devo pronunciarmi in proposito. Mi sembra di avere discorso abbastanza intorno a questa cobla, per cui passerò subito alla seconda, e che nessuno si risenta se dirò la verità, come è mio intento.

 

II.
  Tanto è sottile che nessuno può vederla,
 
10
e corre tanto velocemente che nulla riesce a sfuggirle,
    e colpisce con tanta forza che nulla le si può sottrarre
    con un dardo d'acciaio che produce una ferita piacevole
    per cui non servono corazze robuste e massicce,
    tanto lancia diritto ; subito dopo scaglia
  15 frecce d'oro col suo arco teso;
    infine lancia un dardo di piombo ben affinato.

 

(266-288) Secondo quanto sono riuscito a escogitare, ciò va inteso nel modo seguente. Egli enunciò, a ragione, questa verità: Tanto è sottile che nessuno può vederla.
Ha detto il vero, poiché si deve sapere che quest'Amore piacevole consiste in volere desiderante: e non è una novità di oggi o di ieri, quindi dovete prestarmi fede al riguardo, il fatto che tale volere risulti invisibile ad essere umano, e non possa quindi essere visto da alcuno. Dunque nessuno sicuramente è in grado di vedere Amore, consistendo esso in volere, invisibile ad ogni vivente: questo è il senso riposto, per chi lo sa ben discernere.

(289-295) E corre tanto velocemente che nulla riesce a sfuggirle.
Disse cosa vera, a mio parere, dato che quest'Amore risiede nel volere, che a volte è in grado di percorrere in un solo giorno la distanza di mille giornate, quindi nessuno riesce a sfuggire ad esso.

(296-317) E colpisce con tanta forza che nulla le si può sottrarre / con un dardo d'acciaio che produce una ferita piacevole.
Quest'Amore in verità colpisce con forza, e il colpo non indugia fino al cuore di colui che, senza riguardo, viene assalito di sorpresa. E il dardo entra, senza dubbio, attraverso gli occhi o le orecchie di tutti gli uomini o le donne che vengono feriti dal dardo acuminato, o attraverso tutto il corpo, come è noto, per cui in breve è compiuta la conquista.
Quindi, dato che l'acciaio è il più forte metallo che esista, con grande genialità (l'autore) definì il dardo d'acciaio: si tratta cioè di piacimento che disperde e annienta volontà e pensieri per mezzo di desideri intensamente allettanti; perciò (Calanson) può dire, con veritiera esattezza, che produce una ferita piacevole.

(318-326) Per cui non servono corazze robuste e massicce. Riguardo a ciò non occorre alcuna spiegazione, perché è chiaramente comprensibile e lo devo ammettere.
Dice poi che lancia diritto. Ha detto il vero, perché ad ogni colpo centra sempre il cuore, e in nessun caso fallisce il bersaglio.

(327-347) Dice poi questo, altrettanto vero: Subito dopo scaglia / frecce d'oro col suo arco teso.
Le dorate amabili frecce rappresentano i piaceri che l'innamorato prova all'inizio, quando dalla propria dama ottiene benevola accoglienza e promettenti parole, che gli fan supporre di non essere lontano dal raggiungimento della sua gioia: e ciò provoca l'accrescimento dei desideri. L'arco bene adorno e teso rappresenta invece la bocca, da cui escono parole di illusoria speranza, pervase di profondo piacere e di gioia, la quale giustamente viene paragonata all'oro. Questo punto è chiarito a fondo e sufficientemente comprensibile.

(348-362) Infine lancia un dardo di piombo ben affinato.
Il dardo di piombo in verità rappresenta la fine di quest'amore, gradevole ma di scarso valore. Pertanto il paragone è giusto e ragionevole: avrete infatti sovente udito dire che, a dispetto del suo basso pregio intrinseco, il piombo risulta indispensabile per raffinare e purificare a fondo i metalli nobili, i quali altrimenti non potrebbero giungere a valere tanto quanto valgono.

(363-386) Dunque, secondo me, l'affinamento di quest'amore è dato da quel fatto che avviene comunemente nel mondo. Amore in effetti nasce con quel preciso scopo, e tutti sanno che, «dopo», esso non può durare: l'amore non può assolutamente sopravvivere al compimento del desiderio che gli è proprio. Ecco come avvengono le cose: se viene meno il desiderio, ascoltate, quest'amore si disfa e giunge a termine; e, fluido e vischioso proprio come il piombo, lascia un cupo deposito che corrode quanto gli viene a contatto. L'argomento è stato trattato a sufficienza, né mi curerò di aggiungervi parola; cercherò piuttosto di produrre un'esatta spiegazione della terza cobla, secondo il mio intento.

 

III.
  Porta corona d'oro conveniente al suo rango;
    e non vede nient'altro che il bersaglio prefissato,
    e non perde tempo, tanto bene si sa destreggiare;
 
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e vola agilmente e si fa assai temere;
    e nasce da Piacimento che s'è unito a Gioia,
    e quando fa male sembra che sia bene,
    e vive di gioia e resiste ed attacca,
    e non fa caso a nobiltà o censo.
 

(387-392) Ho (già) spiegato la maggior parte di quanto è detto sopra, ma qualche punto non mi sembra (ancora) pienamente intelligibile: aggiungerò pertanto volentieri le opportune spiegazioni al riguardo.

(393-417) Porta corona d'oro conveniente al suo rango.
Dice cosa vera, a mio parere: non appena comincia il piacimento da cui Amore viene a luce con diletto sommo, superiore in verità a tutti gli altri di questo mondo eccetto quelli che gli pertengono direttamente, tale diletto non viene in nessun modo a mancare per tutta la durata dell'amore, dunque può essere definito gioia.
E certo non ho dimenticato il paragone con l'oro: sappiate dunque che quest'Amore, dall'inizio alla fine, è proprio incoronato con quest'oro, essendo temuto per il suo gran potere che, come vi ho detto in verità, soggioga le persone di più alto rango. Tale risulta, a mio giudizio, il senso a ciò attribuito da Don Guiraut.

(418-426) E non vede nient'altro che il bersaglio prefissato.
Giustamente lo poté dire in verità, dato che, in mezzo a cinquecento persone, di queste senza difficoltà sceglie proprio e soltanto una, e non mostra di vedere altro che quella; né risulta, a me almeno, che Amore possa sbagliarsi in proposito.

(427-433) E non perde tempo, tanto bene si sa destreggiare.
Ha detto bene, in verità, poiché assale di giorno e di sera, nell'inverno esattamente come avviene in estate: quindi, fintanto che dura il suo impetuoso attacco, non perde davvero tempo.

(434-446) E vola agilmente e si fa assai temere.
Vola agilmente come (le) si compete, trattandosi di volere; si fa temere alquanto, sì che difficilmente ricchi o poveri, vecchi o giovani osano tentare una qualche resistenza, una volta che abbia sottoposto al suo dominio i loro cuori. Perciò a nessun costo Amore subisce un rifiuto da parte di qualunque essere: tale è la sua signoria, stando a quanto io ne ho appreso.

(447-463) E nasce da Piacimento che s'è unito a Gioia. Di ciò s'è discorso sopra.
E quando fa male sembra che sia bene.
Anche questo punto è chiaro a sufficienza, se uno è in grado di intenderlo: quando l'amante giunge all'estremo compimento, al momento cioè in cui l'amore muore e si disfa, ciò a lui sembra gioia e bene; viceversa gli appare male il bene che lo rende cortese e lo mantiene trepidamente innamorato, preso dal piacevole desiderio di ciò che uccide il desiderio medesimo. Dunque, l'aspetto di Amore è ingannevole, e non occorre che aggiunga altro, essendo chiaro a sufficienza.

(464-476) E vive di gioia e resiste ed attacca. Il piacimento in verità è diletto ininterrotto, paragonabile alla gioia. Tale piacimento persiste per tutta la durata dell'amore, che con esso si difende temporeggiando, facendo promesse e mostrando belle apparenze, combatte umiliandosi, onorando e servendo e pregando e soffrendo, e di ciò dico il vero.

(477-487) E non fa caso a [nobiltà] o censo.
Ho spiegato questo punto nella prima cobla: il fatto è che Amore non ha misura, ma puro volere, e che nessuno mi biasimi se mi esprimo in questi termini. Questa cobla è senza dubbio agevolmente comprensibile: ora state ad ascoltare quanto ho capito della quarta.

 

IV.
25
Nel suo palazzo, dove ha dimora,
    ci sono cinque portali: chi riesce ad aprire i (primi) due
    difficilmente oltrepassa gli (altri) tre, ma facilmente se ne partirà
    e vive nella gioia chi vi si può trattenere ;
    si sale per quattro gradini molto lisci,
 
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e lì non entrano esseri villani o maleducati,
    che insieme agli [sleali] sono alloggiati nel sobborgo
    che occupa più della metà del mondo.

 

(488-505) Ho meditato a lungo circa l'identificazione di questo palazzo, e sono giunto alla convinzione che esso rappresenti la persona il cui godimento si offre all'amante.
Quanto ai portali di rischioso accesso, si tratta di questi che vi vado a enumerare: manifestare il proprio desiderio mediante amorosi atteggiamenti o parole molto timide, direttamente o tramite interposta persona (è comunque preferibile che uno riesca a destreggiarsi da solo, perché amore privato del segreto non può avere buon esito). Ecco spiegato il primo portale, di accesso quanto mai difficile e rischioso.

(506-517) Il secondo, a mio giudizio, è contraddistinto da umili preghiere, onde ottenere accoglienza nell'onorevole servizio: il suo superamento deve incutere il massimo timore. Il terzo, in verità, consiste nel servire con grande accortezza, cercando di mantenere il segreto più assoluto nei confronti del prossimo: si tratta di uno stadio di estrema delicatezza.

(518-529) Il quarto poi è molto cortese: si tratta del bacio di ricompensa; e se abitualmente ci si fermasse a questo, l'amore non sarebbe destinato a tanto facile consunzione e morte. Quanto al quinto portale, estremamente impervio, costituito dal fatto a causa del quale l'amore muore, fatto che ognuno continua a desiderare finché non l'ha conseguito, Don Guiraut, da persona savia, vi accennò velatamente.

(530-549) Il palazzo gentile, dove Amore ha dimora, certo significa, a mio parere, la persona amata.
I cinque portali d'accesso sono quelli che vi ho descritto, riguardo ai quali Don Guiraut disse ancora, in verità: Chi riesce ad aprire i (primi) due / difficilmente oltrepassa gli (altri) tre, ma facilmente se ne partirà.
Qui si è espresso in modo assai appropriato: infatti, ammettendo anche che uno riesca a superare facilmente i (primi) due, tutti e tre (gli altri) permangono di rischioso accesso; quando poi si sono oltrepassati tutti, e si è saziato il proprio desiderio, come vi ho già detto occorre andarsene. L'autore espresse con molto bella oscurità la sua giusta opinione in proposito.

(550-554) E vive nella gioia chi vi si può trattenere.
Egli disse questo poiché nessuno ha il potere di trattenersi (nel palazzo), dopo che il proprio desiderio, come s'è detto, lo abbandona.

(555-567) Si sale per quattro gradini molto lisci.
Ha detto una cosa vera, secondo me, pensandoci bene. I gradini sono di tutto rispetto: il primo è onorare, il secondo celare, il terzo ben servire, il quarto onesto soffrire; e ciascuno di essi è molto liscio, di modo che può essere superato a stento senza scivolare. E dice il vero, com'è evidente, l'autore della canzone.

(568-578) E lì non entrano esseri villani o maleducati.
Ha detto la verità, perché gli scortesi villani, incolti, male educati e rozzi, non sono assolutamente in grado di penetrare nel palazzo dove Amore ha dimora, né per alcun motivo si azzardano a montare quei gradini: credo anzi che neppure uno di loro si metta in tale impiccio, poiché non è impresa che a loro si addica.

(579-588) E disse inoltre, con grande efficacia, quest'altra verità: Che insieme agli sleali sono alloggiati nel sobborgo / che occupa più della metà del mondo.
Dice bene la sua idea, ma avrebbe potuto esprimerla ancora meglio, dato che, a mio giudizio, il sobborgo comprende i nove decimi dell'umanità, e in esso tutta quella gente trova misero alloggio.

(589-614) Con 'sobborgo', in verità, viene definito quanto costruito all'esterno della città, com'è certo, tutt'attorno e a ridosso della cinta muraria, allo scopo di offrire ai quartieri interni sicurezza e vantaggi indubitabilmente maggiori di quelli che potrebbero avere altrimenti. Nel sobborgo abitano i ceti più umili; lì si sistemano granai, fienili e scuderie e stalle, e si allestiscono i recinti per gli animali da cortile.
Difficilmente potrete perciò incontrare nei sobborghi gli aristocratici di rango elevato, che altrove hanno adeguata dimora; dunque il paragone col sobborgo si rivela alquanto appropriato. Non devo aggiungere parola circa quest'argomento, sufficientemente comprensibile; passerò piuttosto a spiegare in bella maniera quello che a me risulta il vero significato della quinta cobla.

 
V.
  In cima alla scalinata, dove va a sedere,
    c'è una tavola da giochi fatta nel modo seguente:
 
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nessuno può escogitare un qualsiasi gioco
    senza trovarvi le pedine che richiede;
    e ci sono mille pezzi, ma si guardi dal toccarli
    un uomo scortese, colpevole di giocare disonestamente,
    poiché i pezzi sono di vetro fuso
 
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e chi ne rompe uno perde il diritto alla rivincita.

(615-627) In base a quanto sono riuscito a comprendere, vi andrò esponendo il vero significato di questa cobla. In cima alla scalinata dove va a sedere.
Dovete sapere che ciò rappresenta l'accordo dei voleri dei due cuori amanti: dunque giustamente viene raffigurata quella scalinata elegante e comoda, dove Amore ha il suo seggio.

(628-647) Le ha dato, chiamandola così, una definizione appropriata: la scalinata infatti viene costruita, a ragion veduta, in mezzo al piazzale (del castello), e culmina in un terrazzamento di pietra destinato a procurare piacevoli e graditi intrattenimenti.
È evidente che la scalinata si riferisce ai due predetti cuori, dove, insieme a desiderio di piacere, ha preso posto gradimento il quale, credetelo, ha veramente compenetrato i due cuori. Il paragone fra cuore e pietra è quindi esatto: si sa bene che pietra significa fermezza. Mi sembra ora di aver discorso abbastanza intorno a quest'argomento.

(648-660) C'è una tavola da giochi fatta nel modo seguente: / nessuno può escogitare un qualsiasi gioco / senza trovarvi le pedine che richiede.
Il tavoliere, in verità, si riferisce all'amabile grazia: rende gradito a chiunque quel piacevole intrattenimento (?), per il fatto che ogni sua azione è piacevole e gradita. Questo tavoliere, provvisto di ogni genere di (pezzi da) gioco, è a disposizione di chi si accinga a intraprendere una bella e decorosa partita.

(661-686) E ci sono mille pezzi, ma si guardi dal toccarli / un uomo scortese, colpevole di giocare disonestamente.
L'autore della canzone, a mio parere, volle significare con le pedine (e non a torto, anzi a ragione) le gentili parole e i bei gesti eleganti e i gradevoli comportamenti e gli atteggiamenti di umiltà e i decorosi intrattenimenti e insomma una onesta condotta di vita, scrupolosa nell'evitare qualsiasi altro fallo.
Mediante quelle pedine è possibile adattare il tavoliere a tutti quanti i tipi di gioco esistenti: ecco perché al tavoliere si addice perfettamente il paragone con la grazia, che deriva da ciò che ho detto. Per quanto riguarda l'accenno alla quantità di mille: in effetti, il mille comprende e racchiude in sé tutti (gli altri) numeri.

(687-706) Dei pezzi da gioco disse ancora, in verità: Poiché i pezzi sono di vetro fuso / e chi ne rompe uno perde il diritto alla rivincita.
Si rivolge ai valenti intenditori con notevole, raffinata oscurità: dunque, il vetro non ha alcuna durezza e resistenza, anzi è soggetto a rompersi con estrema facilità, senza motivo; per fuso, poi, si intende quello degli specchi, guardando nei quali si vede riflessa la propria immagine. Considerate perciò che, così come il vetro si spezza con tanta facilità e una volta rotto non suscita rimpianti, dato che non serve più a niente, stessa sorte viene riservata, a mio giudizio, alle azioni, alle parole e insomma alle buone maniere che caratterizzano una persona stimata.

(707-732) Se uno non riesce a destreggiarsi e sbaglia una sola mossa, non appena si macchia di tale colpa è oggetto di biasimo e di grave disappunto; e quanto più onorata è la posizione che ha raggiunto, tanto maggiore è il pericolo di infrangere la sua buona reputazione: infatti, se (costui) commette un fallo, non riceverà certo scuse, anzi incorrerà a tale motivo in biasimo ben maggiore di una qualsiasi altra persona [... ... ...] per cui l'autore, sempre veritiero, applicò il paragone agli innamorati che quest'Amore tiene in completa soggezione: è questo, sappiatelo, il motivo per cui uno perde la propria messa in gioco.
Di quest'argomento ho parlato a sufficienza: passerò a riferire la mia interpretazione della sesta cobla, priva di eccessive incognite per quanto mi consta.

 

VI.
  Per tutto lo spazio occupato da mare e terra
    e illuminato dal sole, si fa gradire dappertutto;
    rende ricchi alcuni e immiserisce gli altri,
    gli uni avvilisce e gli altri esalta;
 
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e porta via con facilità quanto ha graziosamente promesso;
    ed è nuda, tranne un po' di tessuto dorato
    che porta cinto; tutta la sua parentela
    nasce da un unico fuoco che ci ha generato tutti.

 

(733-740) Così ha detto in verità, mescolando chiarezza e molta oscurità: credo tuttavia di andare sul sicuro, avendo compreso chiaramente buona parte del suo discorso. A me risulta che si esprima con notevole consequenzialità, e ve ne darò dimostrazione basandomi sulle mie cognizioni in materia.

(741-750) Per tutto lo spazio occupato da mare e terra / e illuminato dal sole, si fa gradire dappertutto.
Lo può davvero dire, poiché esercita dappertutto il suo potere, e potere significa piacere (?), e piacere gradimento della cosa che piace. Dunque è chiaro da comprendere, e corregga pure la mia interpretazione chi è in grado di migliorarla.

(751-760) Rende ricchi alcuni e immiserisce gli altri, / gli uni avvilisce e gli altri esalta.
Così succede: siete in grado di sapere, se ve ne ricordate, dato che è ben spiegato nella prima cobla, che Amore non conosce misura, ma soltanto volere; nessuno mi deve criticare su questa verità inoppugnabile.

(761-775) E porta via con facilità quanto ha graziosamente promesso.
State a sentire come ciò accade: quando si è manifestato il piacimento da cui Amore prende origine, nascendo cioè in un essere verso un altro, (all'amante) discorre di future gioie e benefici, e il volere (dell'amante), sede naturale dell'amore, insieme al desiderio, gli procurano, tramite promesse, speranza di conseguire quella gioia; l'equilibrio però ben presto si sposta a sfavore di pregio, e la promessa resta inadempiuta; questa, credete pure, è la verità.

(776-789) Ed è nuda, tranne un po' di tessuto dorato / che porta cinto.
A questo proposito non posso ricorrere a trucchi o indorature, né me la sento d'altronde di passare sotto silenzio il significato di questo passo; cercherò di parlarne nel modo più decoroso possibile, sebbene la sconvenienza dell'argomento me lo renda sgradito e provochi in me disagio, per la necessità di pronunciarmi e la mancanza di una forma di espressione semplice ed appropriata.

(790-805) Dunque, ha detto che è nuda, cinta di un po' di tessuto dorato. Ha detto il vero, ma a me risulta fastidioso spiegarlo, per il fatto che, a mio parere, egli mette in piazza cose poco convenienti. Questa nudità provoca biasimo, come vi ho detto; è coperta quel tanto che basta per salvare la decenza; e tutta la rappresentazione richiama follia e grave indigenza. In verità Amore è povero, per quanto potente, dato che non possiede altro che volere; per questo è nudo, con il cinto dorato.

(806-827) Esso, a mio parere, rappresenta la speranza del 'fatto', che (l'amore) porta con sé, indubbiamente, dal momento della nascita a quello della sua fine. C'è anche una qualche possibilità di collegamento tra il tessuto dorato e il piacere perpetuamente desiderante, ma è pure lecito intendere diversamente: teniamo presente che l'oro brilla sulla superficie del ricamo, ma sotto c'è del (comune) filo. Proprio di tale tessuto Amore è cinto, secondo me; né mi va di aggiungere ulteriori eventuali precisazioni.
Piuttosto, mi soffermerei ancora sul significato di 'cinta': è il cinto [l'insegna?] destinato a coprire ciò da cui nasce il fuoco, quindi mi pesa alquanto discorrerne distesamente; cosa che tuttavia non posso evitare, una volta spiegato il resto.

(828-857) Tutta la sua parentela / nasce da un unico fuoco che ci ha generato tutti.
Il fuoco, in verità, distrugge ciò a cui s'attacca: per tale motivo, l'autore della canzone paragonò al fuoco il termine ultimo di quest'amore, e con piena ragione: il perché ve l'ho già spiegato, se mi avete prestato ascolto. Da quel fuoco tutti abbiamo preso origine, quindi da esso traiamo la nostra reciproca affinità; proprio esso tiene popolato il mondo, e non aggiungo altro.
Già mi aspetto che qualche innamorato esaltato mi accusi di follia per quanto ho detto: accusa che io stesso mi sarei rivolto, fintanto che vivevo nella speranza e sotto il giogo d'amore. D'altra parte, tutti gli accorti e nobili intenditori — meno di due su mille — mi sosterranno in qualità di garanti quando saranno resi partecipi delle mie veritiere asserzioni.
Ormai devo passare a discutere la seguente tornada, e sarà cosa facile a mio giudizio.

 

VII.   Al secondo terzo corrispondono Franchezza e Mercé,
  50 e il (terzo) sommo è di così grande bontà
    che spinge il suo regno nell'alto del cielo.

 

(858-883) Sebbene abbia spiegato ciò all'inizio, aggiungerò ora quanto mi viene in mente al riguardo.
Al secondo terzo convengono Franchezza e Mercé. Con esso volle indicare, a mio giudizio, l'amor naturale: Nostro Signore ce ne dà comandamento, e Natura approva e vuole e ci fa amare gli uomini indubbiamente più delle altre creature, e, come è giusto, soprattutto i parenti e quelli più prossimi, come vi ho spiegato sopra, all'inizio.
E siate ben certi che quest'amore è buono e gradito a Dio, il quale ci dona ogni bene che possediamo, a patto naturalmente che l'eccessiva presunzione non induca ad eccedere dalla giusta misura: questa risulta la giusta interpretazione del secondo terzo.

(884-921) Il terzo supremo, senza discussione, va infine identificato nell'amore celeste del vero Dio, re e imperatore, signore e padrone di cielo e terra — affermazione, questa, comprensibile al mio intelletto — e di tutto l'infinito universo — nessun commento in proposito, è una verità di fede —, il quale con la sua grazia accresca in noi volere [... ... ...] moderazione e sapienza, e ci dia la forza e la capacità di servirlo (in questa vita), così da meritare il suo perdono e la restituzione del suo amore, dal quale troppo spesso ci allontaniamo a causa della nostra insensatezza. Ci consenta inoltre di praticare, nei limiti da Lui voluti, il secondo terzo, e ci salvaguardi pietosamente dal minore; ci conduca infine a conquistare il palazzo supremo, dov'è pace infinita e amore illimitato e bene perfetto senza danno e soddisfazione senza affanno e piacere senza preoccupazione e gioia senza desiderio, e a lodare e ringraziare il suo benedetto santo nome, così com'è scritto. Amen, amen, così sia.

(922-949) Prego tutto il mio pubblico di non dispiacersi se mi sono dilungato tanto circa il significato di questa canzone: io non ne posso niente, è la logica conseguenza dell'essermi assunto tale compito. Quanto all'ultima tornada, che state per ascoltare, il suo contenuto è alla portata di tutti.

 

VIII.
   A Montpellier, da Don Guglielmo il marchese
    vattene, canzone; fatti ascoltare di buon grado,
    poiché in lui sono pregio, valore e potenza.

 

Tutti siete in grado di comprenderla facilmente, a quanto penso, perché non riguarda il senso profondo della canzone.
Prego infine tutti coloro che possiedono sapienza e vero intelletto di volermi prestare la loro difesa verbale nel caso si trovino ad ascoltare delle critiche poco argomentate a mio carico; a meno che i miei ipotetici detrattori non riescano a produrre un'interpretazione più sicura e meglio motivata (della presente). In effetti non ritengo probabile che nessuno [al momento] tenti l'impresa, o voglia apporre precisazioni aggiuntive, senza riferirsi alla mia opera.

 

Quanto segue è la Testimonianza che il signor Don Enrico, per grazia di Dio conte di Rodez, addusse circa questa Esposizione in verità.

(1-5) Dunque noi, Enrico, per grazia di Dio conte di Rodez, abbiamo il dovere [di addurre], in breve, la nostra testimonianza circa questa Esposizione, essendo a conoscenza della verità.

(6-19) Noi, all'epoca indicata da Guiraut Riquier, affidammo veramente il testo della canzone a quattro trovatori, desiderando conoscerne la relativa interpretazione da parte di ciascuno di essi. In effetti Guiraut Riquier si dimostrò maggiormente scrupoloso degli altri a questo riguardo, poiché la qui presente Exposition ci è stata da lui consegnata moltissimo tempo fa. Un'infinità di tempo l'abbiamo tenuta da parte, nell'attesa dei commenti altrui: sappiamo ora con certezza che due di costoro non se ne potranno più occupare, e del terzo supponiamo la stessa cosa dato il lungo lasso intercorso.

(20-30) Don Guiraut ci ha ora richiesto di concedergli il qui presente attestato di riconoscimento ufficiale, avallato dal parere di un collegio di esperti.
Noi ci rendiamo ben conto che ha compiuto un'opera di esegesi approfondita, e glielo riconosciamo ufficialmente. E affinché gli venga prestata fede al riguardo vogliamo addurgli precise garanzie in merito, e ordiniamo che qui venga apposto il nostro personale sigillo.

(31-36) Nell'anno 1285, né più né meno, sei giorni dall'inizio del mese di luglio, in verità ciò avvenne con grande letizia nel castello di Montrozier.

Questo (testo) fu ricopiato fedelmente dall'originale carta sigillata.

 

Nota

(*) Come già preavvertito per quanto attiene alla canzone (Introd., § 2 e n. 53), anche le qui seguenti parafrasi traduttorie di Exp. e Test. mirano anzitutto a fornire una trasposizione letterale (e filologicamente coerente, fin dove possibile) dei suddetti testi. Al di là delle inesistenti ambizioni letterarie, tra i problemi irrisolti a questo primo livello interpretativo spicca quello relativo alla resa it. del termine-chiave amors (notoriamente femminile in a. prov.). Anche se un sistematico restauro in direzione del maschile può apparire insoddisfacente (data la caratterizzazione eminentemente femminile di Amore in quanto menor ters: cf. Introd., 1.2.2.), tale soluzione è apparsa infine come la più ovvia e meno disturbante nel contesto appunto della traduzione in lingua italiana (all'interno della quale, le iniziali maiuscole compaiono nei luoghi dov'è più evidente la personificazione di A.). ()

 

 

 

 

 

 

 

 

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