I. Messonget, mi hai chiesto un sirventese, e io te lo darò il piú presto che potrò, sulla melodia del signor Arnaldo Plagues: non ti potrei dare altra ricchezza perché non l’ho, e, se l’avessi, non potrei con essa dimostrarti la mia amicizia: se possedessi mille marchi, non ti arricchirei nemmeno di un danaro.
II. Invero, in te non c’è nulla di ciò che è proprio di un giullare: il tuo modo di cantare non vale né piace, e il tuo parlare da matto non significa niente; miserevole è la tua follia e povera la tua giulleria, tanto che, se non ci fossero il signor Alberigo [da Romano] e il Marchese [d’Este], che è tuo protettore [?], nessuno ti darebbe ricetto.
III. Sol di una cosa tu sei ben provvisto: di ciò che oggi piú piace tu ne hai piú che non ne avesti mai: follia e incoscienza; se uno qualunque cercasse di emendarti della tua follia, tu non crederesti i suoi consigli: colui che ti ospita ciò fa per follia, ché, se avesse del senno, non ti riceverebbe.
IV. Per colpa tua biasimano il Marchese i giullari vili e miserabili, cioè per il bene ch’egli ti fa; perciò io voglio che te ne vada nel Veronese, al Conte. Dico male, ché gli sarebbe piú utile [che io gli mandassi] un balestriero rude e feroce, il quale tirasse contro i nemici, che non gli mandassi te.