I. È bene che il mio canto, il mio buon senso e la mia arte sottile sian messi in opera, ora che il Conte d’Angiò aspira alla candidatura all’Impero; per cui ci saranno guerre e tumulti, contradittorî e negoziati. Ma, siccome egli è signore e servo di Amore, ciò mi è duro e difficile [a comprendere].
II. Tanto egli è dedito alla vita d’amore che il torneare gli è piacevole e dolce il guerreggiare; perciò chi lo inganna è degno di riprovazione. Ma, si creda alle mie parole, tutta la pena dovrebbero sopportarla i chierici; perché in questa situazione medesima, due uomini valorosi han già perso tante cose che ora ho paura del terzo.
III. Mi spiace il divertirsi che fanno i chierici, e mi piacerebbe molto che il divertimento fosse amaro, e che avessero mala sorte coloro che hanno tanto grande allegria; non mi importerebbe aflatto se tutti fossero Cluniacensi o chierici secolari o conversi, una volta che [tutti] sono ostili al buon Re.
IV. Si eleva al di sopra di tutti ed è senza pari il re Manfredi, al quale non piace l’ingannare; per lui la Puglia è alta e potente, e altrettanto sono la Sicilia, la Calabria che lo ama, e il Principato, che non manca di nulla; fine, retto, giusto com’è, lo prego di guardarsi da’ perversi.
V. Poiché in ogni sua faccenda è fine e puro il Re, che fu principe nobile e caro, e contro di lui si accanisce il clero pieno d’inganni, per ciò i Lombardi e insieme con loro gli Alemanni, ne’ quali egli pone fiducia e verso i quali ha buona disposizione, meneranno con lui colpi pesanti e forti di lance e di spade.
VI. Se colui cui Provenza onora ha nel clero tanta fiducia quanta ne ebbero il conte Riccardo e l’illustre Re di Castiglia, adesso ho paura del terzo.
VII. Al Re di Sicilia il mio sirventese vada a dir questo: che adesso si mostri, se mai si mostrò, la sua gran potenza, rude e fiera: questo il momento, o io son cieco!
VIII. Falso clero e falsi conversi mi stanno di traverso nel cuore.