I. Mi ha preso una gran voglia di comporre un sirventese e di mandarlo al valoroso Re de’ Pugliesi; e, sebbene egli sia in sovrana potenza, tuttavia non gli spiaccia né gli pesi se io lo consiglio; ché [anche] da un folle si può apprender senno, e chi ben comprende ben decide. Perciò io lo prego di ascoltare le mie parole: poi le metta in atto ovvero le metta in non cale.
II. Allorquando un re si accinge a una grande impresa, non gli torna ad onore né a bene il contendere per piccole cose, ché il contrastare in piccole cose adduce molte volte ostacoli piú che il contrastare nelle grandi, e poi, una volta ottenuto ciò che si voleva, val poco. Se il Re vuol la Vicaría o la Balía dell’Impero, non pensi di ottenerle senza sforzo; ma egli non ha animo tale da poter tanto!
III. Io non dico punto che, una volta conquistata, come che sia, la Puglia, egli la lasci: il lasciarla gli sarebbe viltà, il numero dei suoi nemici triplicherebbe, e si scoraggerebbero gli amici: ciò ch’io dico è che ciascun re dovrebbe dapprima pesar bene ciò che imprende, e considerare se ciò che imprende gli sarà poi possibile di continuarlo.
IV. Pertanto, mostri quind’innanzi al mondo la sua altezza in altra guisa, se vuol tosto averla; e non dimentichi di perdonare le offese, quando, nella sua possenza, sarà richiesto di grazia. Chiunque voglia condursi da signore nelle opere e ne’ tratti ascolti la voce [di chi lo consiglia] e non desideri di piú, ché i vantaggi duran poco.
V. Si guardi bene da coloro in cui si fida e crede, perché da ciò provengono in gran parte i suoi successi; né si fidi in alcuna promessa e non dica mai, in verun affare, il suo volere; ma porti sempre chiusa entro di sé la sua bilancia, e ciascuna cosa pesi e bilanci, cioè i detti e i fatti, e non trascuri, per troppo volere, di prendere il meglio.
VI. Il Re ha tanto coraggio che non gli piacerebbe di avere in sua compagnia uomo pusillanime, o signor Sordello; perciò io non oso vederlo, ché il mio cuore lo ha tale da cui non posso allontanarmi.