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Italiano
V. De Bartholomaeis

I. Ora è tempo che ci si deve rallegrare e che i chierici falsi piangano il loro decadimento e il loro orgoglio, durato a lungo, il loro inganno e il loro falso predicare. Ah, sleali! Toscana e Lombardia voi fate fare a pezzi, e non vi duole di Soria! Là con Turchi e Persiani avete tregua, mentre qui fate uccidere fra di loro Francesi e Alemanni. 

II. Colui che sa mentire, colui che sa dir cose false, colui che si intende di inganni e di truffe, quegli vien subito scelto [dalla Chiesa] come suo legato: se dico il vero, ciò ben pare ai Cremonesi; ma i raggiri [de’ legati] e le loro grandi giunterie han già fatto il loro corso, secondo la profezia, perché Iddio non vuol più soffrire gli inganni di essi e vuole abbassare l’albagia de’ Francesi.

III. Un omicida o un ladrone può avere salvazione, presto e facilmente, sol che venga a uccidere un centinaio di Cristiani; chi poi volesse sforzarsi di ucciderne un migliaio, sarebbe posto in Paradiso, nel luogo più alto. Ah, chierici falsi! Voi avete abbandonata la retta via e i dettami che Iddio fece puri e santi, e Mosé che scrisse i Comandamenti. 

IV. Se san Bernardo fosse vivente, potrebbe rallegrarsi davvero e compiere il suo talento, nel veder la Chiesa ricondotta al primitivo stato di povertà, e respingere le vanità, come faceva al tempo di san Pietro, che guariva gli storpi e pescava anime, non bisanti, e sprezzò diletti e soffri affanni. 

V. Il re Carlo dovrebbe aver sempre presente alla memoria come egli fu preso insieme a suo fratello da’ Saraceni, e trovò clemenza assai migliore che, a Sant’Ellero, che non aveva fatto del male, non potettero trovare i Cristiani; i quali, ahimé, furono da’ Francesi fatti a pezzi in un sol giorno, piccoli e grandi, in tal guisa crudele che la madre non poté salvare nemmeno i suoi figliuoli! 

VI. [Carlo] ha lasciato che il suo compare l’Arcivescovo rinnegasse un solenne giuramento, e che il Siniscalco giurasse falsamente sull’anima del Re di salvare i conti, i quali [invece] furono distrutti a torto e fellonescamente. Ah! quanto è matto chi si pone in sua balía! Perciò io prego Iddio di respingere un tal Re che non tenne fede sin da quando ebbe passati i sette anni [di età]. 

VII. Se don Enrico volesse ricuperare il proprio dal re Carlo, anche a prestargli il rimanente [de’ propri beni], sarebbe pagato di un bel nulla; infatti [Carlo], dopo che ebbe vinto, fece ripagare il Conte di Fiandra di burbanza e di bugia; io so dunque che non lo pagherebbe di altra moneta. Avaro fu da conte e due volte tanto avido da re, e non prezza tutto il mondo piú di due guanti. 

VIII. Né un Greco né un Latino riesce ad aver tregua o pace con lui; soltanto i cani miscredenti di Lucera ebbero tregua e pace quale la desideravano; [ora] essi possono gridare ben alto: «Maometto!», perché [colà] non c’è tempio di Dio o di santa Maria, visto che non consentirebbe che ci fosse [nemmeno] l’Apostolico, il quale ha messo a gran repentaglio la fede di Dio; cosa di cui faccio le maraviglie. 

IX. L’alto re Corrado, il quale viene per castigare e mandare a’ tormenti i falsi pastori che hanno abbandonato Iddio per oro e per argento, e che fan torto del diritto, sol che li si paghi, lo sorregga Iddio! E punisca presto la loro gran simonia, di guisa che la loro sleale perfidia torni ad esser sottoposta alla signoria del Re, ed essi, vinti, facciano ogni suo comandamento. 

X. Se don Enrico fu tradito dal clero e fu deriso da’ Francesi, ben dovrebbe vendicarsi dell’uno e degli altri, e non esitare ad abbassare essi e [annullare] le loro malefatte. 

XI. Il re Corrado, la sua gran baronia, i Ghibellini, Verona e Pavia conservi Iddio! I Francesi e i Normanni li abbatta, e [così pure] i chierici malvagi! 

 

 

 

 

 

 

 

 

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