[RAIMON:]
I. Amico Ferrarino, del Marchese d’Este parecchi van dicendo che ha fine intelligenza e che il suo potere si allarga tanto che alcuni suoi vicini, grandi e piccoli, se ne stanno verso di lui a capo basso, e che alcuni ne ricevono danno. Ecco perché io son qui venuto, desideroso di apprendere ciò che ignoro [=di far la conoscenza del Marchese]; ma, se in lui brilla luce di pregio, lo troverò, e poscia non me ne starò affatto da muto, e, se sarà il caso, allontanerò da lui ruffiani e imbroglioni. Quale egli sia, non creda punto ch’io non me lo figga nel cuore. È persona [moralmente] morta chi svaluta il dono, e [nello stesso tempo] gli fa dispiacere se [dalle tasche o da’ forzieri altrui] non vien fuori dell’oro. Ora [il Marchese] conferisce un pregio di cui altri potrebbe fare un tesoro piú prezioso dell’oro, perché colui che si attacca a un pregio fragile, non ha che della voglia bassa, non [nobiltà di] cuore.
[FERRARINO:]
II. Amico signor Raimondo Guglielmo, non appena entraste fra noi, mi alleviaste di un peso opprimente. Sia dunque fermo il mio intelletto e si elevi alla pari di quel che voi dite! Ponetevi davanti a me; io vi rispondo che il Marchese d’Este ha acquistato molti amici potenti; che la sua grande ed alta possanza tien bassi i suoi nemici ingannatori; e che il saper suo è piú vecchio di lui. Accompagnatevi [con noi]; l’onore e il vero valore di lui sono il nostro rifugio. [Nemmeno] un piccone gli toglie il suo danaro [quando manca il giusto motivo], ma, all’occasione opportuna, dona graziosamente, secondo si addice a barone valoroso che abbia cura della gente buona. Or, poiché vi conosco per buono, non è il caso ch’io gli esponga e lo esorti a farvi onore e molti doni: soltanto la gente fellona e briccona non può far profitto con lui.