I. Conte Carlo, io vi voglio fare intendere un sirventese, che è di vera ragione. Il mio mestiere è di lodare i prodi e di biasimare nella dovuta forma i malvagi. E dovete sostenermi nel mio diritto, perché il mio diritto è di biasimare i torti. E se di ciò mi avvenga alcun danno, voi dovete perciò rivendicarmene.
II. Ora canterò di voi primieramente, poiché siete del più alto lignaggio che mai fosse. E sareste eccellente in tutte le cose se foste largo, di cui avete poco talento, peiché ne avete la terra eil potere. E in voi è gioia, sollazzo e diporto, e vi si trova retto e ben parlante e avvenente, purché non vi si domandi nulla.
III. Signore, alto uomo vive qui vergognosamente, quando perde il suo e non lo reclama; ché il Delfino tiene i vostri possedimenti e non avete ciò che, cercando, trovate (cioè, ciò che, volendo, trovereste). Ché in breve potrete far guerra e giacere per riviere e per prati e per orti, fino a che pensiate se al vostro comando o al Delfino ne avete tolto altrettanto [di terreno].
IV. [Di tal guerra mi sembrate desideroso che vi bisogneranno cavalieri e serventi. Ese volete che vi servarno lealmente, i Provenzali, signor Conte, proteggeteli dalla violenza, di tutti i vostri intendenti, che dànno a torto molto gravi ordini. Ma tutto è giusto sol che abbiano il danaro! Onde i baroni si tengon tutti per morti; ora si vanno derubando di ciò che si suol loro dare. Ed essi dinanzi a voi non osano far richiamo].
V. Ora avran luogo prodi cavalieri valenti, e mercenari arditi e coraggiosi, elmi e brandi, tende e padiglioni, scudi, usberghi e buonicavalli correnti, e diroccare ed abbattere forti castelli, e gaudi e pianti mescolati con desolazioni, in battaglia cadendo, ferendo, rapendo. E ciò voglio bene, e mi piace, sol ch’io non ci vada.
