Il sesto vers di messer Guiraut Riquier, nell'anno 1274.
I. Per un uomo riservato è di notevole imbarazzo frequentare le corti di ricchi signori, poiché fra i questuanti molti se ne trovano di ignoranti, spudorati, sfrontati e fastidiosi, svelti ed arditi nel chiedere, per cui vedo i migliori arrivare ultimi quanto ai benefìci, e i donatori stessi hanno non poche responsabilità in questo errore.
II. Ché oggigiorno non c'è ignorante, purché sappia farsi avanti e chiedere; ma all'inizio furono uomini saggi ed all'altezza del compito, desiderosi di farsi apprezzare, cortesi e nobili, preparati e ben educati, che cominciarono a vivere fra i prodi, graditi per la loro bell'arte, e i valenti, di buon grado, davano loro il sostegno dovuto.
III. Ma ora vedo i folli e gli orgogliosi passare i limiti, ricchi facendo pressione sui ricchi con richieste spudorate, e i ricchi, vedo, esaltati o biasimati spropositatamente. Così non c'è dono coronato d'onore, se sia chi lo offre che chi lo riceve non lo fa di cuore e il merito non lo motiva.
IV. Però altrimenti si fa la maggior parte dei doni: chi chiede ottiene molti doni di valore, di cui non uno è fatto spontaneamente, e d'altronde non li farebbero neppure se non ne fossero sollecitati. E se pure ne hanno lode, non ne è loro guida valore, che sta in cuore di chi ama il bene ed è timoroso di sfigurare.
V. Difficilmente ci può essere fatto insigne, dal momento che non è fatto di cuore, perché azioni, parole, atteggiamenti suonano forzati senza spontaneità, per cui è per puro caso se se ne riscuote lode di vasta risonanza da individui che abbiano credito: da impresa disonorata non ci si aspetti successo o lode duraturi.
VI. Perciò chiunque voglia esser valente deve saper parlare e comportarsi signorilmente, e poiché attribuire gli onori è compito degli intenditori, deve sempre considerare con cura a chi, e come, e che cosa, e perché (darli), accorto nel temperare il suo potere con il suo rango, senza usare parole sconvenienti: così agirà rettamente.
VII. Re onoratissimo di Castiglia don Alfonso, non mi può essere il resto del mondo schermo alla gran pena, se voi, che sapienza unite ad ogni altra qualità, non mi vorrete rendere felice. Infatti perdo il mio tempo nell'ombra e senza onori, non apprezzato se non da voi, in cui è riposta tutta la mia speranza, dopo Dio, di protezione.
VIII. Re valente, tanto gradisco farvi lode, poiché mi è d'onore, che con quella vivrò disposto ad essere povero o ricco, senza fallo.
IX. Se almeno dal mio Belh Deport fosse apprezzato il mio canto, tutto il resto non avrebbe più interesse per me.