I. Amore mi fa amare una donna tanto nobile, che è tanto bella e valente, che non sono degno di desiderare il suo amore; nè la ragione concede -tanto mi supera!-che le piaccia che io l'ami, nè che mi offra per suo devoto: ma so bene che da lei mi viene per giusto l'affanno e il male che ne traggo.
II. Sebbene essa sia d'ogni merito senza pari, tanto l'amo e tanto sono desideroso di servirla e di esaltare ogni momento il suo grande pregio, che il grande tormento e il grave affanno, che io ne ho, essa mi dà a ragione, dal momento che non merito altra ricompensa; e non so se ho abbastanza manifestato il mio consenso.
III. Ma credo bene che troppo m'ha fatto indietreggiare il suo fine pregio perfetto, poichè mi fa appagare tanto del mio tormento, che non ho speranza che vi sia un bene che valga la mia tortura; e se tanto ho detto che le dispiaccia, mi valga il suo perdono, perchè tanto bene me ne viene, che non posso nasconderlo.
IV. Non posso trattenermi dal mostrare come sono felice e gioioso, poichè Amore mi ha voluto onorare più di qualunque amante che sia al mondo. E dirò troppo, o non molto lecitamente, che, se a Dio piacesse amare una donna del mondo, avrebbe un bell'oggetto in colei, che io ho scelto.
V. Poichè Alfonso, re di Castiglia, vale più che si possa pensare, sono suo fedele, perchè il suo «valore» mi protegga, se vi sarà qualcuno che sembra troppo orgoglioso; e se gli piace che mi sollevi o mi innalzi, non voglio chiedere protezione altrove, perchè col suo «valore» oserò dire donde mi viene l'affanno che ho.