I. Mi sono meravigliato moltissimo d'un canto, data la persona che lo ha composto, sebbene, ragionevolmente, esso dovrebbe farmi piacere perchè chi è valoroso e saggio deve pensare a badare bene a quel che dice: non è dato di sostenere il torto in luogo del giusto, senza che ciò sia avvertito dalle persone oneste, e chi sostiene il torto per il giusto rischia, a mio avviso, di perdere facilmente il proprio pregio.
II. Dunque, se chi si sforza tanto di scusare i Genovesi avesse per prima cosa ben riflettuto, io credo che non avrebbe messo nel canto tante parole che fanno ricordare la loro grave disfatta; egli difatti ammette che tutte le loro cose siano andate a male e rovinate per opera dei Veneziani, ma il motivo di ciò, ch'egli fa risiedere nelle loro discordie, non può portare rimedio al male.
III. Nessuno merita di essere biasimato per cosa alcuna, qualora opera secondo si conviene, e non è giusto che gliene venga danno. Perciò, una volta che guerreggiano così, bene senza guida, mi pare che non sia affatto la loro discordia quella che abbia nociuto: infatti in combattimento non accadde mai che loro facesse difetto cosa alcuna all'infuori d'un animo coraggioso; essi furono ogni volta più numerosi, bene armati, e, spesso, due contro uno.
IV. Lo sento affermare che essi tennero a freno i Veneziani, per quanto adesso male incontri loro; ma quanto la possanza dei Veneziani sia stata sempre temuta dai Genovesi, non gli spiaccia che noi ce ne rammentiamo: come uno solo portava via dalle loro navi tre prigionieri; egli potrebbe meglio difendersi (dicendo che ci volevamo) tre (genovesi) per uno (veneziano). I Veneziani non impegnarono mai un combattimento che non riportassero lode alla fine.
V. Ma, se egli volesse sembrare ragionevole, non dovrebbe dire cosa tanto stolta, nè che tre fiacchi valgano trenta valorosi. Dei tre non mi pare che sia il caso di rispondere; perciò me ne astengo e dico ciò che è palese: che, allorquando le cose vanno meglio ai Veneziani, allora essi si comportano con maggiore cortesia e grazia e non diventano incoscienti.
VI. Ormai mi pare che sia stato ben pagato per ciò che ha detto e, s'egli non se n'appaga, studi le gesta onorate dei Veneziani e le grandi conquiste fatte con vero valore: e come ora hanno vinto i Genovesi e messo in onta l'imperatore greco; poi giudicherà se non valgono niente. Quanto a me, non ho più voglia di rispondere.
VII. Valente donna, che vivete in quel paese per cui tenzono, prode, piacente e gaia, vi chiedo la grazia di venirmi in aiuto, che tutto quello ch'io odo o vedo mi rattrista l'animo; io sono talmente preso dal vostro amore che, se non vedo la vostra gaia e cortese persona, non posso vivere, sappiatelo per certo, perchè, con il desiderio che ne ho, muoio vivendo.
VIII. Veneziani, chi dice che i Genovesi vi hanno danneggiato e vi hanno messo in difficoltà, non conosce il vostro onorato valore, nè il grave danno di uomini e di ricchezze che avete fatto loro.
IX. Bonifacio Calvo, vi mando il mio sirventese e vi prego che non vi infastidiscano le mie parole, perchè i cortesi mi saranno riconoscenti del silenzio e maggiormente mi aspetto questa riconoscenza dai Genovesi.