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Italiano
Monica Longobardi

Il ventisettesimo vers di messer Guiraut Riquier, nell'anno 1292.

I. Dovrei proprio astenermi dal cantare, giacché al canto si addice allegria e mi opprimono, invece, tanti pensieri, da darmi dolore ovunque li rivolga: sia ricordando il passato infelice, sia guardando il presente stentato, sia considerando l'avvenire, cosicché tutto mi dà ragione di piangere.

II. Perciò non mi devo compiacere del mio canto che è privo di allegria; ma Dio mi ha dato tale talento, che cantando esprimo la mia follia, la mia saggezza, gioia, dispiacere, mala e buona sorte, sì che a stento riesco a dirlo, altrettanto bene, in altra maniera: ma troppo tardi sono arrivato.

III. Oggi, infatti, nessuna professione è gradita meno, in corte, della bell'arte di far versi, ché ora si preferisce vedere e udire sciocchezze e grida inconsulte e indecenti, poiché tutto quanto era solito dar lode, è caduto del tutto in oblio e così il mondo è quasi tutto una truffa.

IV. Per la superbia e la malvagità di quelli che si dicono cristiani, lontani dall'amore e dai comandamenti di nostro Signore, siamo cacciati dal suo santo luogo, con i disastrosi effetti che ne conseguono e che danno chiaro segno della sua avversione per noi, per colpa delle nostre voglie sregolate e della nostra prepotenza.

V. Dobbiamo temere il grave pericolo di doppia morte, che ci sta di fronte: che ci si veda vinti dai Saraceni e dimenticati da Dio. E per l'odio che regna fra noi, ben presto saremo tutti annientati; e non mi par proprio che i nostri capi pensino alle loro responsabilità.

VI. Colui che crediamo in unità, potere, saggezza e bontà, dia alle sue opere splendore, ché siano purificati i peccatori.

VII. Signora, madre di carità, acquistaci per pietà da parte di tuo figlio, nostro redentore, grazia, perdono ed amore. 

 

 

 

 

 

 

 

 

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