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Italiano
Francesca Gambino

I. Dal momento che siete delle mie parti, signor Astore, non posso fare a meno di piangere la mia sventura, poiché la mia gioia e la mia buona sorte sono mutate [...],  e ho perduto ogni piacere e svago, e ho perduto colei che amavo molto, e ho perduto la vostra compagnia: Morte, compi una grande villania a non uccidermi.

II. Signor Astore, amico mio, è per me molto penoso e spiacevole, davvero angosciante e crudele da sopportare il fatto di aver preso dimora ad Embiez; mi meraviglio di non seppellirmi vivo o di non essere tanto lontano da questo paese in qualche parte dove nessuno mi vedesse più, (qui) dove soffrirò, che io voglia o no starci, i mali che patisco fino a che la morte mi uccida.

III. Io che ero solito avere la compagnia di dame e di chierici, e di gente ben educata, ora mi sono messo, poiché non ho scelta, con una creatura rigettata dal mondo, io che ero solito portare calzature con lacci, veste di stamigna, d’inverno come d’estate, devo portare ora scarpe di vacchetta, e sono preso come l’orso alla catena.

IV. Io che avevo l’abitudine di cantare per allegria e per la mia signora, che amavo tanto, eccomi ora a cantare per esprimere la mia disgrazia, poiché sono in preda a una malattia tanto grave. Ma che m'importa se ne ho perduto il corpo? È a Gesù Cristo che ne ho reso lo spirito; i mali che sopporto e la dura pena voglio ormai soffrirli sempre e nel timore di Dio.

 

 

 

 

 

 

 

 

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