I. Poiché il getto della fonte si fa più chiaro, come suole, e spunta la rosa di macchia e l’usignolo sul ramo modula, svaria e illimpidisce il suo dolce canto e l’affina, è giusto che anch’io intoni il mio.
II. Amore di terra lontana, per voi tutto il mio essere soffre. E non posso trovarci rimedio se non accorro al suo richiamo, per la lusinga di un dolce amore dentro un verziere o sotto il baldacchino con una compagnia desiderata.
III. Poiché del tutto mi manca l’opportunità del possesso, non mi meraviglio di esserne infiammato: perché non ci fu mai donna cristiana, ebrea né saracena di lei più bella, né Dio la vuole. È davvero pasciuto di manna chi ottiene un po’ del suo amore.
IV. Il mio essere non cessa di protendersi nel desiderio verso la creatura che sommamente amo, e credo che la volontà m’inganni se la concupiscenza me la toglie: mi punge più della spina il dolore che guarisce con la gioia: non voglio, dunque, che nessuno mi compianga.
V. Senza lettera di pergamena invio la canzone, che cantiamo in piana lingua volgare, a messer Ugo Bruno per mezzo di Filhol: sono lieto che per lui siano felici le genti del Poitou, del Berry, della Guyenne e della Bretagna.