[1-36]. Così come un tesoro è perduto quando sta nascosto, io considero inutile la saggezza quando la si nasconde e la si va coprendo; poiché il piombo vale più dell’argento o dell’oro nascosto: perciò un tesoro è perduto, se uno non lo spende e non lo dona, come la liberalità con ragione insegna; e la saggezza è parimenti inutile se uno non la scopre tra la gente, e non agisce secondo ragione, come sarebbe necessario, a tempo opportuno. E sebbene la mia saggezza non sia grande, io voglio far conoscere fra coloro che hanno pregio ciò che sarà profitto e onore a tutti coloro che amano la virtù, i quali vorranno apprendere e ritenere ciò che potranno udire nelle mie parole, benché le argomentazioni siano varie (oppure complesse, peregrine?), tanto che io so che saranno difficili da apprendere e da ritenere, perché non si possono ben seguire. Ma se in quest’opera io dovessi fallire, non sarebbe grande meraviglia, perché (letteralm. in conseguenza di ciò, che) l’udirete piena di grandi concetti, quando sarà finita; e perché io non so di teologia, né di legge civile o canonica, né [tutto ciò] mi è insegnato, né mi soccorre l’aiuto di un’opera scritta, anzi faccio questo alla ventura (ossia come capita, seguendo la mia ispirazione) con un po’ di ingegno naturale. Però, con tutto ciò, mi dispiacerà se sono biasimato da qualcuno per l’«insegnamento» che ho risoluto di fare e se si dirà che ce ne fu qualcuno simile o tanto perfetto [come il mio].
[37-52]. Ora ascolti chi vuol bene intendere, poiché non si intende bene facendo chiasso. In primo luogo voglio far sapere che si deve amare e temere Iddio sopra ogni cosa, perché un uomo non vale niente senza Dio, e non fa il bene senza il male, e nessuna virtù disgiunta da Dio può essere gradita; poiché con Dio (ossia mantenendosi vicino a Dio) si può fare ogni bene e ci si può guardare da tutti i mali. Perciò è folle chi abbandona Iddio, dal momento che Egli provvede l’uomo di tutti i beni; poiché con la grazia di Dio si può facilmente ottenere quella del mondo, e chi è gradito da ambedue è pieno di ogni grazia.
[53-88]. Se uno vuol comportarsi da saggio, è necessario che sempre porti una bilancia nel suo cuore, per meglio conoscere il vantaggio delle cose; perché spesso avrete desiderio di fare due cose, e facilmente non potete conoscere quale preferibilmente dovete fare. Qui è necessaria la bilancia per conoscere il vostro errore e quale [delle due cose] giustamente dovete fare di preferenza. Mai non si fa bene senza pesare (ossia senza ponderazione); poiché conviene che voi usiate riflessione riguardo a ciascuna cosa (oppure che teniate conto di ciascuna cosa), e tenetevi là dove la bilancia penderà di più, poiché ve ne verrà bene. E la volontà non vi impedisca [di far] ciò, poiché spesso vedo, ed è la verità, che il senno è sviato dalla volontà; perciò vi dico in breve che nessun uomo può essere mai ben saggio, se, dunque (o anche pertanto), per quanto gli dispiaccia, non guida il suo folle desiderio col suo senno, che lo salva dal danno. Se uno vuol ben vincere il suo nemico, deve vincere prima [di tutto] se stesso, cioè il suo cuore, perché l’uomo non ha nemico più mortale né più malvagio del suo cuore, quando gli volge il freno verso il male e lo allontana dal bene. Né mai sarà vinto il cuore se dal senno non muove la virtù, e la virtù non sarà vittoriosa del senno senza un perfetto valore, quando il cuore è spinto a fare il male, e ha intrapreso ciò (ossia ha cominciato a farlo).
[89-106]. La cosa del mondo che si dovrebbe fare più volentieri sarebbe quella, se ben considerate ciò, che piace a Dio e al mondo, e l’altra (ciò vi dico in verità) che si deve fare più contro voglia è quella che spiace ad ambedue; perché, se siete tanto avventurati da far piacere a tutt’e due, voi non potete ottenere di più, perché in tutto quello che c’è [al mondo] non c’è di meglio. Ciascuno quindi si deve sforzare di fare ciò che piaccia ad ambedue, e non faccia giammai il contrario; poiché, se ad ambedue fa ciò che loro rincresce, non può poi punto difendersi (oppure salvarsi), poiché non può di qui innanzi avere alcuna cosa, se si va distinguendo il vero (ossia a voler ragionare rettamente).
[107-174]. Vi voglio parlare di un argomento che è difficile da comprendere e da insegnare; ma io ve ne dirò qualche cosa, secondo la limitata saggezza che io ho. Spesso mi è stato richiesto perché il mondo è peggiorato; e, dopo aver molto considerato profondamente e meditato nel mio cuore ciò, non posso pensare che il peggioramento e il male vengano da altra causa se non dal deterioramento (o peggioramento) dei cuori della gente malvagia. E il deterioramento per qual causa si è in essi prodotto? Questo è possibile dire, e penso e credo, che tutti hanno fatto peccato; infatti, dopo che [i peccati] si furono moltiplicati, si corruppero gli elementi, e a causa di quella corruzione, tanto essa fu grande e [frutto] di grandi errori, si corruppero gli umori dai quali per la forza (o attività) della natura è creata ogni creatura, per la volontà del creatore. Eccovi perché si sono infiacchiti (letteralm. sono divenuti minori) i corpi della gente, e la vita dell’uomo è divenuta più breve e più triste. Lo dimostrano la realtà e l’apparenza (ossia ciò è del tutto evidente) poiché l’uomo soleva vivere giovane cento anni, e ora si vive più di un terzo di meno; ma è inevitabile che la giovinezza diminuisca (ossia duri meno), dal momento che la forza della natura è diminuita e peggiorata, poiché nella diminuzione naturale conviene che diminuiscano il bene e il male. Infatti dai quattro elementi provengono i quattro umori, a dire il vero, e noi siamo tutti costituiti dai quattro umori, questo so bene, senza alcun dubbio; e poiché sono diminuiti il loro vigore, la loro virtù e il loro valore, è necessario che noi valiamo meno a causa della forza della natura, sulla quale nessuna cosa agisce, se non soltanto una buona educazione: nessun’altra cosa la costringe e la vince. Noi ci dovremmo ben educare, per il fatto che un uomo può seguire e tenere una condotta tanto che essa si trasforma in natura (ossia diventa una seconda natura), cosicché a stento poi qualcosa può allontanarlo da essa; e perciò chi è mal educato e dedito a cattive abitudini fa il suo danno, e chi è bene educato ottiene il bene, perché la buona abitudine gli dà (ossia gli fa ottenere) il bene. Ben so che ho parlato troppo brevemente e troppo leggermente di un così importante argomento; ma me ne sono sbrigato in poche parole, perché vorrei apparire saggio, poiché si dice che muove da gran saggezza (o procede con g. s.) colui che chiude in poche parole cose di molta importanza. Sebbene io abbia assai rivolto la parola ai vili, ai buoni e ai malvagi, né ragionamenti né rimproveri recano loro alcun vantaggio, né [reca loro vantaggio] alcuna argomentazione, sì che ciascuno non debba essere valente almeno tanto quanto può e sa; e colui che è valente per quanto può e vive nobilmente secondo quel che sa non avrà alcun biasimo, e non gli mancherà un buon pregio.
[175-200]. Preferisco frequentare un uomo ben educato che colui che ha buone doti naturali; poiché ben può accadere che io non eguagli l’uomo ardito nel combattere né il liberale nello spendere il mio avere, e perciò preferisco darmi cura di seguire l’uomo ben accostumato. Infatti con quello, se io ne ho la volontà, potrò far notte e giorno il mio vantaggio, in quanto le virtù derivanti da una buona educazione tornano a proposito (oppure sono al loro posto, sono utili) più spesso delle doti naturali, giacché io posso sempre, senza inganno, essere moderato e veritiero, ardito e ben accogliente, rispondere convenientemente in ogni mio discorso, essere puro nelle mie azioni grandi e piccole, accoglier bene e nobilmente onorare, essere umile e di buona compagnia (oppure affabile, socievole), buono e nobilmente educato: così è il ben accostumato. Perciò io preferisco seguire costui, dovunque sia, piuttosto che colui che ha buone doti naturali, giacché sempre me ne può venire maggior bene, senza che mi costi danni nel corpo e negli averi. Però colui a cui il pregio costa maggiori sacrifici nel corpo e negli averi ottiene un pregio maggiore (letteralm. ne ottiene di più).
[201-212]. Inoltre colui che ben si vuol fare apprezzare tra gli uomini valenti deve sforzarsi di agire da prode finché vive, poiché vale molto poco il pregio di un momento, e nessun uomo, che ritiene di fare abbastanza, non può fare abbastanza [se non persevera], a dire il vero, e non può aver cuore nobile né gentile, anzi sembra che l’abbia vile. Infatti nessun nobile cuore può in alcun modo saziarsi di agir bene, poiché un nobile cuore, più bene fa, più ha volontà di farne.
[213-226]. Ognuno deve usare (ossia mettere in pratica) tutte le buone qualità, tanto quanto può, perché non avrà mai un perfetto e alto pregio, lo lodi chi vuole, se una buona qualità gli toglie le altre. C’è qualcuno infatti che si confida in una [buona qualità] tanto che dimentica le altre. Costui non può essere molto prode, benché sia valente in quella qualità, perché, dopo che è cessato il bisogno della qualità in virtù della quale colui è gradito, colui che possiede una sola qualità non è tenuto in alcun conto; e ben gli deve accadere questo, dal momento che non vuole avere in sé più [qualità].
[227-244]. Però vi sono di quelli che hanno delle buone qualità che non meritano di essere apprezzate, perché non è da apprezzare l’ardimento di un uomo temerario (ciò mi sembra), e non debbono punto esser apprezzate né le qualità d’uomo di società dell’uomo avaro né la saggezza del codardo. Infatti, se ben si considera e si discerne (ossia si esamina) ciò, se al temerario le cose vanno bene una volta, un’altra volta farà un’impresa tale che metterà a morte se stesso e tutti quelli che lo seguiranno; e l’avaro non vuol darsi cura di avere le qualità dell’uomo di società se non per coprire la sua bassezza e la sua cupidigia, e il vile non è saggio se non perché non gli venga ricordata né biasimata la sua viltà.
[245-254]. Ma quando Dio toglie a un uomo la saggezza, non vale poi niente cosa che egli possa avere e abbia, anzi sembra che ben presto debba decadere (ossia perdere le sue virtù), poiché la saggezza è la radice di tutte le buone qualità grandi e piccole; così che ogni [buona] qualità non dura nulla se non la sostiene la saggezza, più che l’albero che va morendo dopo che gli va mancando la radice.
[255-264]. Soprattutto si deve rimproverare [incolpandolo] di commettere un fallo colui che ha saggezza e non vuole e non gradisce (letteralm. né gli piace) seguirla. Ben penso, e sembra che sia verità, che egli sia nato nella sventura (ossia sotto cattiva stella), poiché la sua indole è tanto cattiva che conosce il bene e il male e fa il male e si allontana da tutte le cose buone: ha messo da parte la vergogna, e perciò Iddio lo allontana dal suo amore.
[265-280]. Ognuno deve biasimare l’amico suo quando fa male, e deve lodare il bene [ch’egli fa], poiché un uomo non ama di tutto cuore il suo amico, se non lo rimprovera quando sbaglia e non lo loda quando fa bene (letteralm. e non loda il bene quando lo fa); infatti è necessario che si lodi il bene e si biasimi il male, affinché sempre l’uomo segua il bene e desista dal fare il male. Vi sono però alcuni veramente folli (o folli per natura), che si adirano se li rimproverate e vi occupate di loro a fin di bene. Intorno a questi non so dare un consiglio, se non [questo], che del tutto siano lasciati stare (ossia che nessuno si occupi di loro); e molto mi meraviglierò se sempre non fanno male tutto ciò che fanno.
[281-300]. Ogni uomo che vuole rendersi ben gradito dovrebbe fare e dire cose gradite, senza cose spiacevoli; poiché colui che fa una cosa gradita e poi ne fa una sgradita annulla tutto ciò che ha fatto [di gradito]. Quindi un uomo deve con le sue parole abbellire le sue azioni, quando le fa, e ornare con le sue azioni le sue parole, dopo che le ha pronunciate, giacché in tal modo gliene viene (ossia ne ottiene) buono e perfetto gradimento. Infatti, se voi mi fate onore e poi onta, [l’onore fattomi] non conta nulla, e se mi togliete ciò che mi avete donato, poco ho ottenuto. Quindi ogni persona, non appena incomincia ad agire, deve proporsi di fare piacere a grandi e a piccoli se vuole essere gradita, e quando non può fare ciò che è gradito si deve astenere dal fare cosa sgradita; poiché in tal modo ognuno si può rendere gradito al mondo, e nessuno [può rendersi gradito] in altro modo.
[301-322]. Chi non fa bene quattro cose non può avere buono e verace pregio, e chi le facesse tutte bene non mancherebbe mai di buon pregio. Sapete quali sono? Che ognuno abbia sempre le sue vesti belle e convenientemente in ordine, secondo le sue possibilità, ché così s’intende (?); e tenga parimenti sempre la sua dimora aperta e ben tenuta (o ben fornita), servendo volentieri coloro che vengono, anche se il signore sia altrove, perché in tal modo se ne raddoppia l’onore; e tenga sempre pura (ossia mantenga sempre) la sua fede, nelle parole e nei fatti; e si guardi bene dal consumare o diminuire il suo patrimonio, per pregio che ne voglia conquistare (ossia per cercar di conquistare pregio con questo); infatti nessuno consuma il suo patrimonio senza perdere in breve il suo pregio. Tutto ciò è stato visto e provato in coloro che così si sono comportati; e quindi se uno vuol agire bene, deve precedere col freno (ossia procedere con prudenza, frenarsi), in tutte le sue azioni.
[323-330]. Ognuno deve volentieri rivelare ciò che gli sta bene (cioè i suoi pregi) e nascondere ciò che gli sta male (cioè i suoi difetti): infatti coprire ciò che gli sta male è saggezza, e saggezza è se uno sa rivelare ciò che gli sta bene, e metterlo in mostra tra i saggi conoscitori, cbe conoscono ciò che reca onta e ciò che reca onore.
[331-350]. Da molte persone si dice conveniente una lode che non mi piace. Sapete perché? Perché è leggera, spesso, e falsa e menzognera. Poiché molti vi sono che vi diranno, se andate ricordando (o ricordate) un cavaliere: «Certo, egli è un prode cavaliere!». Bella è la lode, ma molte volte menzognera; poiché, a voler dire tutto compiutamente, [molto] v’ha a dire di ciò che sia un prode cavaliere: immaginatevi dunque se vi è molto da fare [per divenir tale]. Infatti è necessario, se si vuole la perfezione, che egli faccia sempre il suo dovere, con la sua persona, con le sue sostanze e parimenti con la sua parola, poiché altrimenti non può avere vero merito. E per questo non mi può piacere la lode; infatti non posso trovare uno solo tra cinquecento che faccia ciò (cioè lodi) giustamente.
[351-364]. Se qualcuno vuol pronunciare una lode che sia utile, e dare un biasimo ragionevolmente, è opportuno che lodi convenientemente il suo amico e convenientemente biasimi il suo nemico; infatti l’eccessivo lodare nuoce al lodato e l’eccessivo biasimare giova al biasimato, poiché il biasimo [eccessivo] aumenta gli amici a questo (ossia al biasimato) e la lode [eccessiva] fa aumentare i calunniatori per l’uomo lodato. Ma, comunque la vada (ossia qualunque cosa si debba pensare) delle altre lodi, commette una stoltezza — così mi sembra — chi loda troppo qualcuno a quelli che gli sono vicino, giacché coloro che hanno familiarità con lui debbono sapere la verità intorno a lui meglio degli estranei.
[365-372]. Ognuno deve volentieri restituire ciò che ha ricevuto in prestito, poiché il debito è il più grande fardello che porti sul cuore alcun uomo sincero, e, se qualcuno vuol far bene il suo dovere, non può portare un fardello più pesante; ma è bene essere carico di esso, poiché un uomo ne vive sempre onorato.
[373-394]. Vi voglio parlare di un altro fardello, che a volte è difficile da portare, ma che colui che ama l’onore e teme Dio deve considerare come leggero: esso è la misura. Infatti altrimenti (ossia senza di essa) nessun uomo può essere perfetto (cioè senza difetto); e nessun uomo si comporta bene se non ha in sé la misura. La misura dice e rende noto che l’uomo non deve né fare né sopportare la dismisura, poiché mal gliene incoglie in ciascuna cosa, in quanto nel soffrirla riceve onta, e a colui che la fa spesso viene danno e le cose vanno male. Per questo si deve comportare con misura colui che si vuole ben comportare nel mondo: poiché nessuna persona che si comporti con misura va fuori del retto cammino né col poco né col troppo, e chi non facesse né il poco né il troppo (ossia chi si guardasse da ogni eccesso) conserverebbe insieme Iddio e il mondo: cosa che, senza misura, nessun uomo al mondo potrebbe fare.
[395-418]. Vi sono di quelli che tengono sempre convenientemente il loro corpo, il loro capo e i loro piedi; ma ciò che si deve più convenientemente conservare è la lealtà, per necessità, poiché la lealtà è il fondamento del perfetto pregio e di tutte le buone qualità: perciò nessuno avrà mai un buon pregio, se non l’ottiene con la lealtà. Quindi, colui che vuole un pregio saldo e sicuro, conviene che lo costruisca [fondandosi] sulla lealtà, poiché altrimenti non può levarlo tanto in alto che ben presto non debba abbatterlo, e nessuno può, abbattuto [cioè privo del pregio], essere detto leale e onorato. La lealtà mantiene onorato l’uomo; la lealtà gli dona ricchezza; la lealtà gli allunga la vita; la lealtà lo preserva dalla menzogna; la lealtà lo conduce veramente, se è ben leale, alla salvezza. Tutte le buone qualità, che sono nel mondo, senza la lealtà non potrebbero dare tutto il bene che dà la lealtà a colui che si conserva leale.
[419-428]. È folle ogni uomo che si fida di colui che si vede che diffida di un altro, poiché egli non può avere in alcun modo più lealtà, se ben si guarda, di quella che egli pensa che un altro abbia; e colui che lo mette alla prova quanto alla lealtà non ne troverà in lui né punto né poco (ossia non ne troverà affatto); quindi occorre fuggirlo, poiché è un gran pericolo frequentare colui del quale non è possibile fidarsi.
[429-438]. Sapete in chi si può aver fiducia, e senza alcun dubbio? Nell’uomo che si trova leale e saggio, e amico sincero. Chi diffida di lui non è molto saggio; però colui che non trova in un uomo tutte queste tre cose commette una follia se si fida troppo di lui, almeno nel domandare consiglio e nel credergli, se lo vuol dare.
[439-450]. Oh, i miserabili uomini privi di vergogna! Come mai possono essere malvagi? Infatti notte e giorno si muore, e non valgono [a proteggerci dalla morte] la ricchezza, l’alta posizione, la potenza e la gioventù; e il potente, il giovane, il ricco muoiono senza scampo, e non portano seco se non il bene che hanno fatto. E perché desidera la ricchezza colui che non la spende per Dio e per il suo onore (ossia per ottenere la grazia di Dio e acquistare onore), dal momento che ogni ricchezza altrimenti (ossia non impiegata a questo scopo) è peccato e povertà?
[451-466]. Ben mi meraviglio come ognuno non si dia cura fino alla morte, dal momento che essa facilmente (ossia senza scampo, senza ch’egli possa opporsi) lo trascina [con sè], di agir bene e di vivere convenientemente, onde avere soltanto gioia; poiché la gioia fa vivere l’uomo più a lungo, e il dolore lo trae alla morte, e la maggiore gioia che si possa avere è quella che si trae, in verità, dal proprio cuore parlando ed agendo bene; e non può trarre gioia dal cuore se non colui che vi mette la pratica costante delle (oppure l’abitudine alle) buone azioni cbe si fanno senza commettere fallo. Questo è veramente un sicuro tesoro, che colui, il quale maggiormente attinge ad esso, fa sempre aumentare. Perciò è ricco ogni uomo che fa ciò per cui può avere gioia verace.
[467-488]. Però non sappiamo tutti scegliere il bene che tutti dobbiamo compiere, poiché taluni sono intelligenti e sapienti, e non hanno punto senno naturale, e taluni sono saggi per natura, e non sono, incontestabilmente, intelligenti e sapienti né nel bene né nel male; infatti un uomo non sa qualcosa se non imparando (oppure con l’impararla), e non è saggio se non per natura: così mostra (o anche insegna) il retto giudizio (o anche la ragione); però il senno rende migliore il sapere, e il sapere fa meglio valere il senno, e colui che è saggio e sapiente non deve mancare in nulla, e colui che non è né l’uno né l’altro (letteralm. nessuno di ambedue), sarebbe meglio che non fosse [mai] nato. Però si deve incolpare maggiormente il saggio, che si vede agire male, o il sapiente [che fa altrettanto], di colui che non ha né avrà né gran senno né gran sapere; perché per il saggio il suo sapere e il suo senno sono un aggravamento, quando commette un fallo.
[489-506]. Nessuno vede acutamente e può vivere con vero senno se non guarda oltre la sua vista; e quando avrete cercato e indagato la ragione [di ciò], saprete che io dico il vero. Il che significa che l’uomo deve vedere con gli occhi del cuore, rappresentandosi (oppure immaginando, considerando) il bene e il male, il vantaggio e il danno che può venire dalle azioni che intraprende, prima che le intraprenda fermamente. E chiunque intraprenderà [qualcosa] badi che deve perseverare in ciò che ha intrapreso, perché in verità vive disonorato ogni uomo che intraprende un’impresa onorevole, da cui si ritiri a metà del cammino, cosa che è viltà e follia: viltà il ritirarsi, e follia l’intraprendere.
[507-518]. Ben si può considerare miserabile colui che non è ben padrone del suo avere e delle sue faccende, poiché nessuno deve tenere le sue faccende tanto care che non possa dominare tutte le sue azioni e, se lo voglia, lasciarle, e considerare il suo avere tanto vile quanto esso è, eccetto che [quando ce ne serviamo] per donare e per spendere convenientemente: altra importanza (o altro pregio) io non so vedere in esso; e chi tiene caro l’avere per altro motivo deve essere chiamato servo dell’avere.
[519-526]. Vi è chi vuol donare di più a un uomo a cui non conviene, assai leggermente, perché più se ne compiace, in quanto nessuno loda e nessuno apprezza ciò (o nessuno lo loda e lo conosce?). Perciò conviene che egli doni di nascosto il di più, se gli piace che il dono non vada perduto, poiché altrimenti il dono è perduto, e il donatore è stimato uno sconsiderato.
[527-542]. Nessuno deve voler attribuirsi l’onore dell’amico suo, o sopportare tranquillamente (oppure permettere) che il suo nemico si attribuisca l’onore di lui; poiché così (ossia tale) è l’uomo [che vuol essere] amico perfetto dell’amico e ragionevolmente nemico di colui che gli vuol male. E ogni uomo valente deve tralasciare di attendere alle proprie faccende per fare quelle del suo intimo amico, poiché altrimenti non l’ama convenientemente né gli reca soccorso. Io posso ben lasciare una mia faccenda senza commettere una mancanza, qualunque cosa me ne accada, ma non posso trascurare quella di un mio buon amico senza mancare; poiché, se io faccio questo, non può mai dire in nessun modo che io sia un vero amico.
[543-554]. Vi sono di quelli che accettano offerte e servigi grandi e piccoli senza guardare alle circostanze, e dispregiano quelli che debbono essere accettati. In questo sono due grandi mancanze, perché tanto erra colui che ricusa ciò che deve essere accettato, quanto colui che accetta ciò che non conviene; poiché se l’accettare è cupidigia, il rifiutare è sconvenienza. Quindi ci si deve guardare da ambedue le cose, poiché la ragione non permette nessuna [di esse].
[555-562]. Vi sono altri che offriranno di rendere un servigio, fortemente gridando pietà, quando non è punto il momento di offrirlo; e li vedrete, quando sarà il momento, tacere. Essi debbono esser giustamente considerati come uomini che fanno offerte vanamente, svergognati, vili e avari, che fanno le loro offerte alla rovescio.
[563-588]. Di tre specie di persone nessuno, che desideri perfetto ed alto pregio, deve dire male: delle donne, dei cavalieri poveri — che sarebbe un male troppo grande — e dei giullari. Infatti, senza contrasto (ossia senza dubbio) commette una colpa veramente mortale colui che abbassa ciò che si deve innalzare. Come dunque un uomo potrebbe osare di avvilire le donne, che si debbono onorare e aver care, amare e pregiare e venerare? E come qualcuno può osare di danneggiare per qualsiasi ragione un cavaliere povero, a cui si debbono far doni e che si deve servire, favorire e accogliere gentilmente? E come può qualcuno danneggiare i giullari, che non possono punto vivere se non per i favori altrui? Piuttosto dovrebbe con ragione (ossia come è giusto) far loro dei doni. È quindi necessario che ogni uomo prode e valente, se si intende ciò che è giusto, favorisca queste tre specie di persone, e non le danneggi in alcuna cosa; ma se vede in esse del bene, ne dica bene, e taccia per cortesia il male (ossia i difetti) [che in esse trova], poiché tacere i difetti è una cortesia altrettanto grande quanto dire i pregi.
[589-600]. Vi sono degli onorati baroni, che si fanno temere e sono di aspetto fiero, solo perché nessuno osi loro rimproverare le loro mancanze e consigliare loro che donino o facciano qualche buona azione (oppure qualche beneficio), e si distolgano dall’agire male in qualche cosa. Colui che è tale mai in nessun modo teme la vergogna del cuore, e quindi non potrebbe avere buon pregio, quand’anche nelle altre cose si comportasse completamente bene, poiché commette una delle maggiori malvagità dei più alti baroni.
[601-612]. Ben mi meraviglio come un uomo, rimproverato di una grande mancanza tra i gentiluomini, osi farsi censore, in qualche modo, delle mancanze altrui; perché prima deve liberare se stesso del fardello che vuol porre addosso agli altri. È uno sciagurato, a mio giudizio, colui che vede la pagliuzza nell’occhio altrui piuttosto che la trave nel suo. Prego Iddio che mi tenga lontano dal suo cammino (ossia che non me lo faccia mai incontrare), poiché è una cattiva compagnia quella nella quale si perde e nulla si guadagna.
[613-640]. Vi sono due generi di persone, che fanno forza alla natura diversamente, e si sforzano a ciò, l’uno per [fare] il bene e l’altro per [fare] il male. Vi dirò donde vengono e quali sono. Uno è disceso da nobili natali, e l’altro è nato da borghesi. Il borghese ama tanto l’onore, che per questo compie ogni impresa valorosa; e il nobile non fa né dice cosa alcuna per cui debba essere gradito al mondo. Si dovrebbe annegare e sommergere quello [ossia il nobile], e portare in palma di mano il borghese; poiché il borghese che, per aver pregio, fa forza alla sua natura e alla sua bassa condizione non può far cosa migliore al mondo, né può far peggio, a mio giudizio, il nobile che sforza e vince la sua natura per essere malvagio e vile: sicché, a chiunque [ciò] piaccia o dispiaccia, è del tutto riposto nel cuore nobile, se si vuol dire il vero a questo proposito, il bene che l’uomo sempre fa, da qualunque stirpe sia disceso. Quindi non si può dire che la nobiltà provenga dalla sola nobiltà dei natali, poiché chi è nobile [di sangue] è spesso malvagio, e il borghese valente e pregiato; ma un cuore nobile e gentile eccelle per tutte le nobili imprese [che compie].
[641-664]. Iddio avrebbe fatto una grande grazia, mi sembra, se avesse voluto dare a ognuno possibilità secondo il cuore (cioè in proporzione delle sue qualità morali); poiché nel mondo non vi è alcun uomo valente che viva senza travaglio, dal momento che la possibilità vien meno (ossia non corrisponde) al [suo] cuore, ed è altrettanto gravemente posto nell’imbarazzo colui che ha più di quello che gli conviene. Quindi sarebbe cosa giusta e ragionevole che la possibilità fosse pari al cuore (ossia corrispondente all’animo): però, se uno fa bene quello che può, né Dio né il mondo dovrebbero chiedergli di più: tanto pochi vi sono ora che facciano ciò! Poiché nessuno né nel cuore né sul volto ha vergogna, cosicché è morto il valore, giacché nulla lo incoraggia. Infatti il valore si chiama «valore» da «valere»; sapete perché? Perché coloro che ne hanno la possibilità dovrebbero portar soccorso (nel testo «valguesson») ai bisognosi: infatti colui che soccorre gli altri, reca molto vantaggio a sé, perché ne ottiene onore. Nessuno può soccorrere gli altri senza ricavarne onore.
[665-692]. Ben mi meraviglio che non si guardi colui che vuole onore, e non si osservi da tutte le parti chi si adopera bene o male per ottenere onore, seguendo coloro che si comportano bene, fuggendo coloro agiscono male. Poiché tutti gli uomini del mondo sono collocati e disposti in quattro gradini (ossia in quattro categorie): l’uno è attaccato a sé stesso e ad altre persone; il secondo non è punto attaccato a sé né ad altri, né ciò gli piace; il terzo è attaccato a sé stesso e non ad altri in alcuna cosa; il quarto è attaccato ad altri e non a sé, poiché fugge il suo meglio (ossia ciò che per lui sarebbe meglio; il suo vantaggio). L’uno è saggio, perfetto e prode, l’altro è stolto, dappoco e privo di senno; e gli altri due hanno diviso per metà [la cosa], cosicché sono come dimezzati, perché uno è saggio e malvagio, e l’altro è prode e malaccorto. A coloro che ben comprendono ho esposto quale sia la condizione (o il modo di vivere) di tutti; e quindi si dovrebbe seguire volentieri colui che è saggio, prode e perfetto, poiché nel mondo non ci si può meglio condurre, in quanto egli fa in tutto il suo dovere.
[693-724]. È ben stolto e poco savio colui che crede che il suo pregio sia perfetto in qualche modo, fino alla morte, né alcun uomo è veramente perfetto e non può ben portare a perfezione il suo pregio se non fa sì che i suoi vicini si domandino meravigliati donde trae ciò che spende, dopo che cerca di ottenere nobile pregio. Però nello spendere è necessaria la misura, giacché ogni uomo, quando perde la misura, spesso perde la gratitudine che proviene dal donare, e ciò è ritenuto una follia. Infatti perché una spesa sia onorata, occorrono necessariamente (o ragionevolmente) tre cose: che si sappia ben possedere, e bene spendere, e ben tenere. Senza tutte queste cose appare folle colui che si mette a far doni, che è la più bella azione che ci sia, quando il senno e la misura la guidano; poiché per una liberalità misurata mai nessun uomo liberale abbassò la sua condizione, ma a causa di una liberalità illimitata (oppure sfrenata) e folle [un uomo] distrugge il suo patrimonio e rovina il suo pregio; e colui che distrugge il suo patrimonio e perde il suo pregio non ha vero e sicuro senno. Quindi un uomo che voglia salvare ogni cosa deve andare per la via di mezzo, perché colui che ben vi cammina, a mio avviso, non può nel mondo far cosa più saggia. Ma tra mille non ne troverete dieci che passino per questa strada.
[725-732]. Vi voglio parlare di un altro saggio precetto: bisogna cioè sapere, poiché la rettitudine ammette ciò, fare bene il proprio vantaggio e [procurare] il proprio onore ed evitare il proprio danno e il proprio disonore; poiché vi sono molti che sanno fare il loro vantaggio, e mai non si sapranno guardare dal danno: questi si possono chiamare persone dimezzate (ossia difettose).
[733-782]. Voglio rivelare [anche] un altro saggio precetto, di maggiore importanza, difficile da illustrare; ma alquanto ve lo illustrerò. Se uno vuol vivere con vero senno è necessario che si sforzi di conoscere sempre il mondo (ossia le altre persone) e si dia cura di ciò, e non si lasci conoscere da esso (o da esse). Io non dico punto questo perché [questi] inganni gli altri, poiché nessun inganno mi è mai piaciuto; ma il significato dell’ammonimento è questo: che un uomo può per mezzo di quella conoscenza far sembrare meno cattive le sue cattive qualità, se ben vuole sforzarsi (ossia se si dedica a ciò con impegno), e far sembrare migliori le sue buone [qualità]. Ciò è ben noto alla maggior parte degli uomini; infatti spesso accade che un cavaliere, il quale non spende e non dona volentieri, per il biasimo che ne avrebbe se se ne astenesse, quando ne vede l’occasione, spenda e doni, facendo forza al suo animo. Ve n’è un altro, similmente, che non è punto molto coraggioso e desideroso di combattere, che combatterà egualmente, per la vergogna che prevede [se non facesse questo]. Ve n’è un altro che è naturalmente veramente generoso e liberale, che sa donare tanto gentilmente che regalerà cento soldi e avrà la gratitudine di mille (ossia che avrebbe per mille). Ve n’è un altro spontaneamente ardito che sa procacciarsi per un [solo] colpo in una mischia una gratitudine migliore [di quella che ottiene] colui che combatte in essa quattro volte tanto, poiché nello stesso fatto d’arme non v’è la metà della gloria che egli ne avrà. Eccovi coloro che si adoperano (o si danno da fare) per conoscere il mondo e non fanno conoscere se stessi. Vi sarebbero ancora [da trattare] molti aspetti di questo saggio consiglio che ora vi ho mostrato; ma non mi piace trattare di tutto, poiché per i saggi è facile scegliere. Però vi esporrò brevemente un saggio consiglio di grande utilità, per chi ben lo comprende: un uomo non è ben saggio, in verità, se spesso non sa far parere che gli dispiaccia ciò che gli piace, e che gli piaccia ciò che gli dispiace; e chi ben ritiene questo savio consiglio, in fede mia, è sempre saggio.
[783-820]. Una di queste due cose sarebbe necessaria a ogni uomo che volesse agir bene: avere sempre buon senno, oppure credere al buon consiglio [che gli sia dato]. Infatti, se un uomo non ha buon senno, e non crede al buon consiglio, io ritengo che mai riesca bene in nessuna faccenda, che egli intraprenda; poiché non ha né in sé né da altra parte sagge regole di condotta in virtù delle quali le cose gli debbano andar bene e felicemente. Infatti anche il più saggio deve all’occasione seguire il consiglio sicuro e buono che gli venga dato (ossia ha bisogno all’occasione di un buono e sicuro consiglio), perché è sovente dominato da un folle desiderio, che gli toglie senno e saggezza, mentre i suoi consiglieri, dal momento che non sono dominati da quel desiderio sconsiderato, lo consigliano saviamente, sì che egli fa rettamente ciò che vuol fare: quindi ognuno deve credere al consiglio buono, e fuggire il cattivo e non credere ad esso. Ma ben vi sono faccende — così penso — intorno alle quali non si deve punto aspettare un consiglio; infatti, colui che compie una prodezza o fa un bel dono, di cosa gradita, senza consiglio, ne ottiene un pregio molto maggiore che se ne fosse stato consigliato. E poiché le [varie] faccende hanno in sé questo (ossia sono di tal natura) che ora è conveniente domandare consiglio, ora non si deve domandare, per questo io voglio ricordarvi un saggio consiglio collegato a questo: una delle cose più sagge del mondo sarebbe che non si ritardasse ciò che dovrebbe essere affrettato (oppure si dovrebbe fare prontamente), e che non si volesse per nulla affrettare ciò che sarebbe da ritardare; infatti colui che agisce troppo presto sembra frettoloso, e colui che troppo ritarda sembra noncurante: quindi ci si deve guardare dall’affrettarsi e dalla noncuranza.
[821-836]. Vi ho mostrato molti e diversi saggi precetti, affinché (oppure per mezzo dei quali) voi vi guardiate dal commettere stoltezza (ossia dall’agire sconsideratamente). Io non dico punto che l’uomo si possa guardare sempre dal commettere stoltezza, perché, conformemente alla condizione umana, conviene (ossia è inevitabile) che un uomo commetta stoltezza: però è molto folle chi la ripete. Penso tuttavia che chi l’ha fatta debba ripararla, poiché così un uomo può riparare la sua follia. Infatti, chi fa danno o disonore a un altro e ne fa convenientemente ammenda è perdonato della sua colpa. Quindi ogni uomo valente deve pensare, non appena commette un fallo, a farne ammenda, giacché salva la sua anima e il suo onore ogni uomo che corre per tale cammino.
[837-854]. Ora vi voglio parlare degli uomini ricchi, che io vedo vivere per così dire alla rovescia. Nessun uomo ricco sarà convenientemente ricco se non si darà pensiero della sua parentela; quindi è sconsiderato se non fa del bene ai suoi, e non si trattiene dal far [loro] del male, e malvagio se non fa lo stesso con gli estranei; poiché, a dirne il vero, quanto ai suoi molto male gliene viene, giacché gli vengono meno (ossia si allontanano da lui) nella maggiore necessità, se non li conserva [amici] come si conviene; e quando si lamentano di lui gli estranei, ai quali non fa benefici né rende onore, è disprezzato per questo da quelli che lo conoscono. Quindi ognuno, secondo le sue possibilità, deve fare verso tutti il suo dovere: [deve fare cioè] del bene ai suoi parenti, perché non lo abbandonino, e agli estranei, perché rechino giovamento al suo pregio [con le loro lodi].
[855-866]. Si può ritenere sconsiderato colui che vuole fare il suo danno per [fare] l’altrui; quindi è ben sconsiderato colui che pensa di farsi più grande del suo pari, e crede di farsi eguale a chi è maggiore di lui; ed è vile colui che consente che in qualche maniera colui che gli è inferiore sia suo pari, e [sia] maggiore di lui chi gli è pari. Infatti, senza mentire, una cosa è un avvilimento molto grande, l’altra è presunzione; e quindi l’uomo non deve fare nessuna di queste cose, dal momento che per ciascuna di esse tanto male gliene incoglie.
[867-878]. Nessuno deve punto risolversi a fare alcuna cosa importante in un momento di grande gioia o di grande ira; poiché allora, comunque la vada per lui (ossia comunque vadano le cose) la sua mente non è ben calma; ma, quando egli è ritornato nel pieno dominio di sé, allora può fare ciò saggiamente. Infatti, se fa ciò in altro modo (ossia senza essere nel pieno dominio di se medesimo), spesso si pente delle azioni che ha intrapreso, e mal gliene incoglie se non vi è in lui saggezza. Quindi l’uomo deve, prima di intraprendere delle imprese, attendere il calmarsi della mente (o anche che la mente sia calma).
[879-888]. Colui che vuole intraprendere nobilmente le sue imprese, deve avere un animo pari all’impresa che intraprende; infatti certamente è gran follia quella di chi in una grande impresa ha un cuore meschino (ossia che si accinge a una grande impresa con c. m.), e agisce da uomo vile (letteralm. fa cosa meschina, vile) colui che, con un gran cuore, si preoccupa (o anche si occupa) d’una azione insignificante, poiché la ragione comanda che l’impresa e il cuore siano allo stesso livello (oppure alla pari), in quanto il cuore meschino [impegnato in grandi imprese] è follia e il gran cuore [impegnato in azioni vili] è meschinità.
[889-896]. Però nessuno deve desistere da alcun’impresa che intraprenda a fare finché non si consideri soddisfatto quanto al suo animo (ossia nel suo a.), comunque (o benché) ne sia giudicato (o anche lodato) da coloro che l’ameranno, poiché altrimenti non potrebbe condurla bene; ma se egli fa tanta parte di tale impresa (ossia la conduce tanto innanzi) che il cuore non se ne dolga, vada l’impresa come si vuole.
[897-908]. Nessun uomo deve temere la morte, perché ognuno è certo di essa (ossia è certo di morire), come è giusto; ma invece della triste morte deve temere di fare una vita miserabile, poiché una vita miserabile toglie il pregio a colui che la fa, e consuma il suo corpo, e manda l’anima senza ritegno nel profondo dolore dell’inferno. Così perde insieme anima e corpo, senza rimedio (o anche senza alcun riscatto) per sempre. Guardate dunque se conviene ritrarsi dal fare una vita assai malvagia.
[909-928]. Ben mi meraviglio — Dio mi protegga (letteralm. mi dia bene) — come si possa aver poco e molto allo stesso tempo. Eppure ben vi sono (questo vi dico) [uomini che sono] tali. Sapete chi sono? I ricchi possessori di terre e di averi, poveri di cuore e vuoti di senno, i quali non amano pregio e lode e non temono alcun disonore, e nelle loro azioni non hanno alcuna preoccupazione di far bene, né talento, né arte, poiché Iddio li ha abbandonati, tanto li sa vili e senza cuore. Questi sono gli spregevoli sciagurati, poveri e ricchi insieme, che son morti ancor vivi. Sapete perché? Perché fanno una vita tale, che mai non avranno grazia da Dio e onore dal mondo, né alcuna gioia nel loro cuore. Questi si possono considerare i più miserabili (o i più sciagurati) di tutti.
[928-938]. Vi sono altri sciagurati di tale specie su questa via. Essi sono tanto pieni di sciagura che fanno male quando pensano di far bene, e vi arrecano noia e dispiacere [anche] quando crederanno di farvi piacere. Voi non potete trovare un rimedio contro di loro, perché, se voi fuggite, essi vi incalzano. Ma conviene evitare di frequentarli (letteralm. evitare la loro società), poiché a stento è possibile liberarsi da essi.
[939-944]. Si deve anche evitare il cammino dell’uomo menzognero (ossia si deve evitare di incontrare l’uomo menzognero), perché ciò può facilmente risolversi in un vostro danno. Se voi gli dite il vero, egli invece vi mente: cosicché con voi egli potrà ottenere grandi vantaggi, e voi con lui [potrete fare] soltanto il vostro danno.
[945-956]. Ogni uomo nobile ben dovrebbe aver vergogna di dire menzogne; poiché la menzogna, a dire il vero, non è altro, a chiunque [ciò] piaccia o dispiaccia, che una suddivisione (o una varietà) della falsità: quindi ogni uomo che ami la lealtà, il pregio e l’onore, deve astenersi, per quanto può, dal dire menzogna, giacché una bocca che mente uccide (oppure manda in rovina) l’anima e insieme l’onore del corpo; e chi uccide (o manda in rovina) il proprio corpo e la propria anima, si spoglia e si priva di ogni bene.
[957-1000]. La maggior menzogna che esista è quella di colui che non mantiene ciò che promette. Quindi colui che prometterà guardi bene che deve mantenere ciò che ha promesso. Di tre specie sono i menzogneri che falsamente promettono, e vi dirò chi [sono], poiché altrimenti non li potreste conoscere. Colui, che promette con animo di mantenere, e può mantenere e non mantiene, molto erra, e pecca mortalmente. Colui che promette senza il proposito di mantenere, e può mantenere, e non si cura per nulla di mantenere e non fa ciò, se ne va direttamente al diavolo. Colui, che vi avrà promesso col proposito di mantenere, e non ne ha la possibilità, e tuttavia, se potesse, volentieri manterrebbe ciò [che vi ha promesso], non si deve incolpare troppo gravemente, benché debba essere biasimato, perché mai ha promesso, in alcun modo, ciò che non potesse mantenere. Eccovi i promettitori menzogneri, privi di vergogna, e che male mantengono. Ma colui, che ha perduto la vergogna (o anche il ritegno), può fare tutti i mali pubblicamente; infatti, dopo che la vergogna è andata perduta, non c’è da stupirsi se poi ogni pregio è andato perduto, poiché la vergogna è la luce del pregio, e quindi ognuno dovrebbe portarla nel cuore; avrebbe allora desiderio di agir bene. E io ben vi dico che nessun uomo nobile può essere molto dotato di vergogna (ossia di ritegno), se non teme che l’intima coscienza gli dia biasimo quanto teme i biasimi della gente e i rimproveri di coloro che possono biasimarlo; e nessun uomo opera veramente da prode, né avrà animo molto dotato di vergogna (o di ritegno) se sempre non ama con fermo sentimento l’onore, e non fa gran conto della vergogna: infatti in virtù di queste due doti ottengono pregio tutti gli uomini valenti del mondo.
[1001-1012]. Sapete perché ognuno agisce male tranquillamente, e non gliene importa? Perché non trova chi lo rimproveri di questo, e quindi può agire sicuramente. Infatti se un altro agisce altrettanto malamente quanto [agisco io], come me ne potrà rimproverare? Non osa [farlo]; e per questo sono morti l’onore e il pregio, la liberalità e il valore, poiché sono per così dire tutti legati a una corda, tanto che nessuno si allontana dagli altri. Però nessun uomo valente deve avvilirsi (o anche rinunciare alla sua linea di condotta) a causa dei vili.
[1013-1042]. Accade ancora peggio, se si vuol dire il vero, poiché a mala pena si osa fare qualche buona azione. Infatti, se un uomo si conduce bene ai nostri tempi, saranno cento volte più numerosi quelli che per ciò lo biasimeranno che quelli che lo loderanno. Tanto sono avviliti (o abbattuti) gli uomini valenti, e gli invidiosi tanto sono progrediti nell’invidia che nasce dalla viltà, che è morta la giusta invidia (ossia il desiderio di emulazione) che nasce dalla prodezza, così che ogni bene muore, giacché l’uomo soleva avere l’animo desideroso di superare quelli che agivano bene e meglio si comportavano riguardo al pregio — e questa è l’invidia (ossia l’emulazione) vera e perfetta, per mezzo della quale ogni uomo valente si affina —; ma ora ogni animo, se vede [qualcuno] agire male, ha il desiderio di agire male due volte tanto: talché tutto è andato in rovina. E mi meraviglio che nessuno che sia al mondo abbia una virtù che non gli costerebbe nessun sacrificio né nell’avere né nella persona: e sapete qual’[è]? Che gli piacessero tutte le cose buone, e tutte le cose cattive gli dispiacessero. Ma non ne è nulla; poiché ora piace ogni cosa cattiva, e ogni cosa buona il più delle volte dispiace: il mondo, privo nell’animo di ogni sentimento di vergogna, è tanto sviato che vedo più baldi in tutte le loro azioni i più miserabili e i più avidi.
[1043-1053]. Ben mi meraviglio come un uomo convinto di viltà e di malvagità osi essere tanto orgoglioso, e tanto baldanzoso tra quelli che lo conoscono, e tanto folle da osar di pensare che qualche uomo buono lo debba onorare: poiché,come un uomo si onora onorando l’uomo onorato e valente, così va disonorando il proprio onore colui che onora l’uomo malvagio e disonorato, abbandonato dall’onore.
[1053-1068], E mi meraviglio come qualche uomo valente possa essere a torto orgoglioso, poiché ad esso, si addice maggiormente l’umiltà, nella quale Dio ha posto un maggior numero di beni. Quindi deve esser fuggito dai buoni l’orgoglio, che è radice di tutti i mali; giacché l’orgoglio non trova posto (ossia non si deve convenientemente usare) se non contro l’orgoglio, in quanto nessuna altra legge l’ammette (ossia non può essere usato in altra occasione); e tuttavia non è giusto secondo [la legge di] Dio, ma io ne parlo secondo [la legge del] mondo. Infatti se un uomo tratta male (o tratta ingiustamente) un altro per orgoglio, colui che è trattato male non offende la giustizia se si inorgoglisce e fa tanto che l’altro se ne dolga. Ma sempre il dar inizio all’orgoglio è una colpa mortale.
[1069-1082]. E mi meraviglio come un cavaliere vile e cupido osi pregare [d’amore] una nobile donna, e come una donna osi ascoltarlo; poiché egli non è se non un mezzo cavaliere, giacché nessun [cavaliere] può essere perfetto (letteralm. intero) nell’amore se non è ardito e liberale, non potendo essere altrimenti senza difetto; e se una donna accetta un innamorato che è soltanto un mezzo cavaliere (ossia un cavaliere imperfetto), diviene sotto questo rispetto mezza (ossia imperfetta) a giudizio di coloro che se ne intendono: infatti una donna non può veramente avere pregio e onore superiori al valore che ha l’uomo che l’ama.
[1083-1092]. Quindi è cosa molto necessaria che una donna consideri chi amerà, se ella vuole amare, poiché può amare un uomo tale che ella ne perderà il suo pregio e avvilirà la sua persona; ma per un cavaliere pregiato non lo perde, se essi si amano senza inganno, giacché una donna valente non commette alcun fallo se ama un cavaliere come si deve (o anche a modo), purché sappiano frenare l’amore, così come conviene fare.
[1093-1116]. Infatti l’amore nobile, se si guarda [la questione] profondamente, è la più pura cosa del mondo; ma non procede sulla retta via dopo che la misura non ha più in esso alcuna forza (ossia cessa di guidarlo; letteralm. perde in esso il suo diritto); e non ha più in esso alcuna forza, quando vien meno la purezza, e sorge (o anche è in uso) la slealtà, poiché un uomo non ama ben lealmente se non desidera anche con tutto il suo cuore, senza cuore mutevole, il pregio e l’onore della sua donna come ne ama la persona e l’amore. Un’altra cosa vi voglio insegnare, che quando una donna a torto si cambia verso il suo amante per leggerezza, perde del tutto la sua fama, il suo [buon] nome e la sua beltà: e sapete come? Perché la più bella diventa per questo brutta; infatti la cosa che più disadorna la beltà di una donna è una cattiva fama e un grave fallo; e ciò per cui l’uomo la pregia e l’ama di più e l’ammira è la buona fama; che un’altra donna non piace a quelli che se ne intendono, anche se sembra bella.
[1117-1126]. Una donna deve tenersi alta (oppure essere molto sostenuta, molto riservata) per questo motivo, perché non può mostrare amore o concedere un favore o dire qualcosa di gradito, benché abbia bellezza, se non tanto quanto ha riservatezza (ossia se non in proporzione alla sua sostenutezza); poiché voi non potete punto donare né prestare ciò che non avete; per cui la donna vile non può in nessun modo concedere un amore che sia tenuto in pregio, se si considera la cosa ragionevolmente, e diviene vile tanto facilmente come se ne amasse due o si fosse mutata [nell’amore].
[1127-1136]. Infatti una donna deve legarsi a uno solo, se vuole amare qualcuno, e guardi bene chi prenderà, giacché, quando l’avrà preso, non lo potrà lasciare più che una moglie [possa lasciare] il marito. Anzi [questo legame] è cosa più saldamente stabilita; poiché i matrimoni si dividono a causa del parentado, ma non vi è cosa alcuna che possa spezzare l’amore, senza [che sopravvenga] la morte, o senza mancare mortalmente.
[1137-1172]. Ogni donna che volesse piacere assai ai prodi, dovrebbe guardare le altre che si rendono gradite per avere un alto pregio, e [bisognerebbe] che sapesse evitare il male [che esse commettono] e imparare e conservare il bene: poiché [le donne] rientrano (o sono comprese) tutte in quattro categorie quanto al piacere o al dispiacere. Una [donna] è graziosa e piacente, e un’altra è spiacente, e non piace sotto nessun riguardo; la terza piace a buon diritto ai prodi, e non è graziosa in se stessa; e la quarta dal canto suo dispiace a tutti, pur avendo (letteralm. con) grande grazia nella persona e nel contegno. Quella che è graziosa e si renda gradita per il suo ben parlare e il suo agire bene, deve essere incoronata dai prodi; e deve essere affidata ai malvagi la seconda, che non è graziosa in nulla e non fa e non dice graziosamente alcuna cosa buona, in virtù della quale un uomo valente debba trovarla piacente (ossia innamorarsi di lei); la terza, che ha desiderio di pregio, che non ha grande bellezza in se stessa, ma fa favori e cose gradite tanto quanto può alla gente, deve essere amata e tenuta cara; la quarta, bella di persona e di aspetto, che sempre si astiene dal fare o dal dire cosa gradita per pregio e per grazia, la si lasci stare, come miserabile, poiché ogni uomo deve odiare una donna graziosa, quando le manca il desiderio di esser gradita tra gli uomini valenti.
[1173-1214]. Una nobile donna, che vuol vivere convenientemente, conviene che sia e debba farsi cieca, sorda, muta a tempo opportuno (oppure secondo l’occasione), e vi dirò per qual ragione: perché una donna non deve guardare ciò che è brutto a vedersi, poiché nel guardare ch’ella fa ogni uomo valente la considera una donna sciocca; e non deve ascoltare di sua volontà alcuna cosa che non le si addica o che non sia conveniente, e se non si può sottrarre all’udire, non deve rispondere né male né bene; e molto manca se si volge (o anche si dà) a parlare se non di ciò che conviene a una donna, poiché vai molto di più un tacere a modo che un parlare che vada oltre ciò che è ragionevole; poiché una donna senza ritegno non può agir bene, giacché è cosa molto opportuna astenersi da cosa che dispiaccia; il che arreca onore e piacere. Ma una donna mai non potrà fare ciò, se non ha un cuore nobile, poiché il cuore nobile la guida verso tutti i beni e la allontana dal male. Però vi faccio sapere che una donna non può avere un cuore nobile se non è estranea ai familiari e familiare agli estranei; poiché molte se ne vedono, a chiunque ciò piaccia o dispiaccia, giocare e divertirsi e ridere convenientemente in compagnia di amici intimi (o dei familiari), le quali poi, quando i valenti uomini estranei vanno là (cioè presso di loro) per aver divertimento, a mala pena fanno loro un bel viso. Intorno a queste non si possono cantare versi onorevoli, perché vivono alla rovescio, in quanto fanno ciò che dovrebbero tralasciare, e tralasciano ciò che dovrebbero fare. Non dico ciò per il male di alcuna, anzi lo dico per il bene di ciascuna, affinché d’ora innanzi facciano attenzione a ciò, poiché altrimenti nessuna serba il suo pregio.
[1215-1222]. Non conviene che una nobile donna si volga (letteralm. guardi) cogli occhi e col cuore da nessuna parte con tanto sentimento (oppure con tanto desiderio), che nel mezzo non ci sia sempre come specchio il suo pregio, in cui [sempre] si miri; giacché perderà il suo pregio non appena commetterà un fallo per il quale nessuna scusa possa giovarle presso coloro che se ne intendono.
[1223-1244]. E poiché facilmente il pregio di una donna va perduto, colei che è piacente deve proporsi con pura volontà e animo deciso di vivere puramente la sua vita, così da non cambiare il suo proposito, e in modo che nessun frivolo piacere e nessun mutevole desiderio la distolgano dal suo proponimento. Infatti è male perdere e smarrire ciò che non si può riacquistare (letteralm. riparare, ristabilire), poiché si può perdere d’un tratto una cosa tale che non può esser restaurata nello spazio di cento anni; e il pregio di una donna non può essere riacquistato [una volta che sia] perduto, né quello della bianca (ossia della vecchia) né quello della bionda (ossia della giovane). Quindi una donna che desidera un perfetto pregio conviene che guardi sempre verso la fine [della vita, ossia verso la morte]; e una nobile donna non pensi che il suo pregio possa mai essere ben portato a perfezione in alcun lungo tratto di tempo, se ella non muore tale come visse. Quindi una donna deve aver desiderio, sopra a tutte le cose, di ben morire.
[1245-1260]. Così si proteggerà dalla morte (o eviterà la m.) più straziante: infatti, se si pensa molto intorno alla morte, [si vedrà che] vi sono due morti: una è [la morte] dell’onore del mondo, e l’altra [si ha] quando si muore completamente. E, se si vuol scrivere la verità su ciò, [dirò che] si deve temere cento volte di più la morte dell’onore, se lo si tiene caro (o anche se lo si tiene in considerazione), che il morire e l’andarsene completamente; poiché la morte del corpo avviene in breve e colui che morirà col corpo non avrà mai più dolore in seguito; ma colui che muore quanto all’onore del mondo (ossia che perde l’onore del m.) mai può stare con gioia, e vive più tristemente colui che è vissuto più onoratamente.
[1261-1270]. E nessun uomo valente, a parer mio, deve voler vivere nel mondo se non per la gloria e per l’onore, poiché una vita diversa non piace a un uomo prode e saggio; e chi prende gusto alla vita per altre cose, ha perduto il gusto di tutti i beni (oppure è privo di tutte le buone qualità?) ed è compagno dei malvagi (ossia è pari ai m., appartiene alla schiera dei m.); sì che è meglio morire in breve tempo che vivere a lungo con disonore.
[1271-1282]. Nel mio poema ho insegnato a molta gente, e indicato molti beni (o anche molte cose buone, molte virtù) che non ho ritenuto per me stesso; e quindi in verità so che mi potrà riprendere a ragione chi vorrà far ciò. Ma, comunque vada, ho fatto precisamente come colui che assiste al giuoco, che insegna meglio che non giuochi; e quindi è giusto che me ne venga perdono, perché — così mi perdoni Iddio — ho fatto tutto ciò con buona intenzione.
[1283-1296]. Ho fatto l’«insegnamento d’onore»: così infatti lo devono chiamare grandi e piccoli, poiché ad onore verrebbe ogni uomo, quando imparasse bene ciò. E l’ho condotto a termine per questo, perché [cioè] i buoni me ne siano riconoscenti, e un po’ anche per mostrare la mia saggezza. E se lo volessi allungare di più, ben saprei mettervi assai più argomentazioni e autorità (ossia sentenze e citazioni di scrittori autorevoli) illustrate con convenienti dichiarazioni, in modo che a coloro che bene se ne intendono e che giudicassero rettamente (letteralm. muovessero da un cuore integro) apparisse che ancora io ne ho nella mia bisaccia.
[1297-1327]. Se io nel mio «insegnamento» ho mostrato cosa che piaccia alla gente, e se io dico o faccio qualcosa di buono, se ne rendano grazie a donna Agradiva, dalla quale mi vengono il sentimento (letteralm. il cuore) e la volontà volonterosa; poiché, se non vi fosse lei, io non sarei vivo, né mi manterrei in vita, né farei alcuna cosa buona; perciò si deve esser grati a lei, se mi si ode fare o dire qualche cosa buona. E chi non sa chi essa sia, domandi della più bella, della più pregiata, della migliore, della più avvenente, della più leale, della più piacente, della più nobile, della più umile, della più gentile in tutte le cose, della più amabile, della più cortese, della più istruita in tutte le cose buone, della più leggiadra della più graziosa, di colei che piace di più agli uomini prodi, della più pura, della più acconcia, della più alta in tutti i buoni costumi, di colei che è meglio amata e che meno ama, e che ha maggior buona fama. Ora ho mostrato a tutti chi è colei che mi ha del tutto conquistato, e prego Amore che non mi dia gioia di lei, che mi tiene in prigione, se non penso che del tutto donna Agradiva, la mia dolce amica, sia tale come l’ho descritta.