I. A chi piace udire una buona canzone, gli consiglio d’ascoltare da me questa che ora comincio a dire; poiché dopo che si sarà posto a ben intendere i suoni e le parole, già non dirà d’aver mai udito parole migliori inventate da poeta vicino né lontano.
II. Chi l’ode non fa bene a beffarsene, anzi deve molto gradir[la], benché gli oltracotanti intelletti volgano, col loro sciocco fioco stolto riso, di sotto ciò ch’è di sopra; e vediamo che il bene avanza e lo scherno resta al galoppo.
III. E per questo fa astenersene il buono, perché mai è tolto scherno né collera: così non vedemmo qui il boschetto fiorire, e [anzi] pare un giardino di mala attesa, quando vedo che la cima né il germoglio produce frutto né cresce, e coloro che entrano ne escono tutti storpi.
IV. Ora si vuol parlare d’altro: chi ha qui grande abbondanza di ricchezza, dovrebbe acquistarsene buon merito; perché non vi darei due noci per un moggio di maravedis, dopo che la morte prenderà alla gola e il prete agiterà l’aspersorio.
V. Ciascuno dovrebbe ricordare di non avere cuore orgoglioso del bene di cui dobbiamo godere, ché in breve ora l’uomo è vinto; e quando viene agli ultimi singulti, non gli vale zio né cugino, né medico col suo sciroppo.
VI. Ben dovrebbe pensare al morire chi guarda in faccia il crocifisso: così Dio per salvarci ricevette morte e po uccise la morte colui che venne in croce per noi; tutti morremo, perché all’uopo non guarisce nessuno la ricchezza più di quanto guarì Giobbe.
VII. Ma sono entrati in lunga meditazione coloro che sono all’ultima veglia, ché non può combattere la morte conte né re né duca né marchese, e, se prima che la morte gli serri gli occhi, non si purifica, tutto, si può bene, se si vuole, tardar troppo.
VIII. Potrei continuamente ammaestrarvi; ma preghiamo colui ch’è principio e fine che ci preservi dal pozzo infernale e ci metta nel suo paradiso là dove mise Isacco e Giacobbe.