I. M’è grato comporre ora una canzone, poiché il fiore e la foglia germoglia e la bella stagione ci ha liberati dalla cattiva che diluvia e piove e stilla; e poiché l’aria si rinnova, ben conviene che mi rinnovi [anch’]io, sicché fiorisca e germogli di fuori ciò che dentro mi risuona.
II. Ahi! pregio, come sei muto, sordo e guercio, e voi, prodezza, come vi vedo spezzata e [come vi vedo] trascinare per vie storte. Poiché così vi fa girare chiunque vuole, ché una sporca gente scellerata, la quale trascina e percuote e prende a morsi, vi ha confusa e disviata, [essa] che vi oltraggia e vi rovescia.
III. Mi duole che per altri sarà assai piccolo il pregio di questo tempo presente, ma sono rauco per il [troppo] biasimare e non mi vale una mora; ché ognuno ha una tunica fatta corta, lacerata dalla cattiva condotta, e le ha fatto un collo così stretto che non vi lascia uscir nulla!
IV. Se non fosse così grande gioia ai malvagi, non vi sarebbe già cattiveria, e la cateratta [della malvagità] è così aperta, che colui al quale [è] gioioso il cuore, lavora e martella sopra le rocce; ché così li tiene irretiti la rete che la brama e la colpa non può loro cessare: tanto li rende miseri la tigna.
V. Questi odiosi, malvagi, falsi e flaccidi figli discendenti da malvagi padri, rancorosi, arcigni, spregevoli, malfatti, deboli servi nati da madri disoneste, miserabile povera scodella, vili, lividi d’invidia, secchi, procurano che ciascuno insegni qualcosa onde si forma e s’estende la pustola.
VI. Ormai m’allontano dalla loro contesa, dei degenerati di malvagi lignaggi; ma chi vuole prodezza, badi in qual modo possa essere prode e non tardi affatto; perché un uomo malvagio che si sforzi e si ribelli [contro la malvagità], altrettanto presto [che un uomo buono] sarà, se mai deve esser[lo], ben prode: così non fosse ghiotto di cattiva abitudine!
VII. Ormai sia malvagio o prode chi vorrà, io non ci posso più nulla; ché se è prode o malvagio apparirà bene, anche se tu non stai a balbettarne. E non sa che cos’è una cennamella chi crede fare di sambuco tiglio, e quando si va in soccorso di altri che non ve lo chiama.
VIII. Pietro d’Alvernia cercherà una parola che faccia conoscere a conche intere i villani; e la si saprà qui, perché tu non russi nel fino poetare, anzi ne hai il più bel fiore: io dispiego e l’arte e gli strumenti, e non v’è parola falsa che arrugginisca né troppo piallata di schegge.
IX. Più si dicono le mie canzoni, più, per la fede che vi debbo, esse valgono, e non v’è parola falsa che arrugginisca nè troppo piallata di schegge.