I. Davvero gran vigliaccheria penetra in don Aemar fra la carne e l’unghia, ed in lui si è piazzata nel cuore presso dell’anima, e malvagità sempre lo batte con la sua verga. Mal rassomiglia al buon prevosto suo zio, nel quale il buon pregio prende stanza per dimorarvi.
II. Don Aemar fa luce in camera con una candela che diresti bruciare sego (tanto egli ammorba l’aria) quando se ne entra di soppiatto. Mai alcunché di simile si confece al buon pregio di suo zio, poiché ad Aemar coraggio e senno son fuggiti tutti attraverso l’unghia. L’avessi io vista misurar con la pertica la bara in cui sarebbe tempo che fosse messo (volesse il cielo!) il corpo che rovina la sua anima.
III. Io non compiango il corpo né l’anima, ma la terra in cui il buon pregio non può più aver stanza: poiché don Aemar l’ha tanto percosso a bastonate, e cacciato da tutti i luoghi ove egli entra, che esso presso di lui non può attecchire, ma ben fiorisce e fruttifica in suo zio.
IV. Buono e generoso io considero lo zio, e il nipote è tale che nulla vi è in lui oltre l’anima: vile e subdolo dal capo sin giù all’unghia, e malvagità è per lui corte e dimora. Ah, conte infame, a colui che, in qualche modo, entra in grande dimestichezza con voi mal gliene incoglie!
V. Ben fui avventurato il giorno ch’io venni al buon prevosto, suo zio; e se spesso mi accompagnassi a lui, il mio cuore e la mia anima ne sarebbero di momento in momento sempre più fortificati; ché con fermo volere egli mette il buon pregio nella sua dimora ed esso è con lui unito così saldamente come sono carne ed unghia.
VI. Là verso Mon Berart rivolgo l’unghia, che mai non batté né colpì con la sua verga pregio né gioventù né cacciò quello dalla sua camera; e ben mi sovviene e suo padre e suo zio. Se con ferma volontà non s’arma di ogni buon pregio, egli è perduto più che non un’anima ch’entri all’inferno.
VII. Faccio un sirventese per ongla e per oncle, per veria e per arma, per chambra e per intra cantando, con queste rime, di don Aemar e del prevosto.