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Italiano
Sergio Vatteroni

I. L’altrieri, nella gaia stagione di Pasqua, quando udii gli uccelletti cantare, per la gioia che mi venne dalla verzura, me ne uscii tutto solo a dilettarmi, e in un praticello, mentre coglieva un fiore, incontrai pastora senza compagno (oppure impareggiabile), gentile e piacevole, molto graziosa, che seguiva gli agnelli. Cogliendo il fiore, diceva che mai ebbe desiderio di farsi un amico, poiché da ciò inizia la via da cui nasce malvagità.
 
II. La salutai, poiché a una più bella non credo che mai si vedesse custodire agnelli, e lei (salutò) me, che la spaventai, poiché non mi vide fino a che non mi udì parlare, e disse: «Signore, non mi piace che siate qui, andatevene. Siete sciocco di senno, non per gioventù, a Dio mi affido! Che andate cercando? Parrebbe che foste spia di gente dissennata, o vi guida la falsità del falso piacere che l’amore smentisce».
 
III. «Difficilmente si può giudicare dall’apparenza, ragazza», dissi io, «senza sbagliare, ché più di un buono è tenuto a vile, e vedo molto gradire più di un malvagio; per cui vi prego che di qui in avanti vogliate, prima di parlare, ascoltare, ché io non sono servo di colpa; ma, se vi piace, vi dono il mio amore». «Avreste dovuto trovarne una più sciocca, signore; non mi piace, proseguite il cammino, andate, fate i fatti vostri».
 
IV. «Ragazza», dissi io, «prima che me ne vada, vi farò sentire il dolce gioco che si fa tra amica e amante; ma non voglio proprio farvi onta, tanto mi piace la vostra grande bellezza che altrimenti da voi non mi voglio partire». «Chi mi si oppone su tale argomento non sa chi sono, signore, né come irata e turbata mi rese l’altrieri una folle, vile persona. Non voglio che compagnia riprovevole abbia in me parte».
 
V. «Ragazza gentile, quale che mi vediate, varrò io per voi ben più di uno più bello, ché di averi sono ricco e ben provvisto, e ve ne farò parte, graziosa creatura. Per cui vi prego che vogliate il mio amore e che facciamo il dolce gioco novello nel giardino, là sotto quel pino, che di più, senza limiti, varrete per me». «Il mio pensiero non si accorda, signore, col vostro vantaggio, poiché se aveste inteso rimprovero avreste tenuto il vostro cammino».
 
VI. «Signora Toza, se voi sapeste quanto bene mi comporto verso amore, credo che dei fiori che portate me ne fareste facilmente una ghirlanda. Subito, menando gran sollazzo, andiamocene sotto un alberello». Si rallegrò di questo, poiché non macchiai il suo fine pregio; e così disse: «Mi piace, signore, che il vostro amore mi vinca senza riserve; all’apparenza mi piacete». Con ciò facemmo fine.
 
VII. Pazienza e valore ha in sé il signor Guglielmo di Lodève,
 
VIII. che offesa non si immagina mai al Belh Ray che amo più di me stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

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