LXXII.
ELIA CAIREL
Testo costituito da me, in Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’Istit. di Bologna, cit., S. I. to. VI, 1911–12, p. 89 sgg.
LXXII. Da’ vv. 36–7 appare come E. C. scrivesse questa canzone poco dopo che il «valente re» Federico II era divenuto «signore d’Impero», cioè poco dopo l’incoronazione. La poesia, di forma assai artificiosa, è una elegia contro la gente ignorante, specialmente contro i giovani, i quali non sanno apprezzare giustamente ciò che ha valore, e amano piú le canzonette dalla rima facile che, s’intende, le canzoni in «rimas caras». Delusioni il poeta ne ha ricevute anche da parte di Amore, ma la piú amara è quella che gli ha procurato Federico II. L’autore dichiara di non «poterlo piú seguire» (v. 37); da ciò si vede che egli è venuto presso il sovrano, cosí come gli altri, nel corteo attraverso l’Italia. Ha sperato anche lui nella munificenza imperiale, ma invano, ché Federico II lo tien magro al punto che nemmeno la lima riuscirebbe ad addentarlo! Onde se ne parte con rammarico, e non sa dire per dove. Quest’ultima dichiarazione toglie il modo di pensare che E. C. sia venuto a fianco di qualcuno de’ signori dell’Alta Italia: certo non è con qualcuno di essi che egli fa il viaggio di ritorno. E toglie nello stesso tempo il modo di appurare in qual luogo sia avvenuto il distacco di lui dal corteo imperiale: se a Roma, ovvero se, poco dopo, nella Tuscia, nella Sabina, nella Ciociaria (fin dove prosegui co’ signori dell’Alta Italia Falchetto di Romans; v. num. LXXI), ovvero se piú in là, nella Campania ; il che farebbe di E. C. il primo trovadore che sia entrato nel Reame. Vedi su questa questione la mia memoria cit. nelle note al testo.