LXXVI.

ALBERTET DE SISTERON

 

Mss. ACDEG(IK)MOR. DaR e dal registro di C è data a Bernardo da Ventadorn. Edizione critica in C. Appel, Bernart von Ventadorn, p. 291 sgg., che qui si riproduce con lievi modificazioni indicate al loro posto.

LXXVI. Da’ vv. 33–8 di questa e della poesia seguente (LXXXVII) risulta che il poeta si trovava alla corte di Corrado Malaspina, in Oramala, quando la compose. È una tirata contro Amore, provocata, dice l’A. da’ disinganni che Amore gli ha procurato. Nello stesso tempo, egli prende occasione per cantar le lodi di alcune gentildonne, quasi tutte italiane, maritate e nubili. A. de S. aveva negli orecchi la canzone di Bernardo di Ventadorn. Can vei la flor, l’erba vert e la folha (ed. APPEL, p. 241) in cui questi affermava che, non perché Amore gli avesse apportato de’ malanni, egli se ne straniasse. Il primo verso lo si direbbe addirittura ricalcato sopra il v. 15 della canzone di Bernardo: «Mas en amor non a hom senhoratge». La poesia fu divulgata nelle corti d’Italia e di Provenza; la presero sul serio, o finsero averla presa sul serio i seguaci delle dottrine intorno all’amore cavalleresco. Ne nacque un piccolo scandalo nel mondo elegante. Dalla Provenza venne la risposta per le rime. Ne fu autore Aimeric de Belenuey, un trovadore mai passato in Italia. Ciò che dimostra per l’appunto il successo della canzone di A. de S. Questo aneddoto di vita trobadorica non può esser seguito che dopo il 1221 (cf. il comento a’ vv. 27–8, 31), ma non molto: in ogni modo, nel tempo in cui le donne ricordate dal trovadore brillavano ancora per la loro bellezza e freschezza giovanile.