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Del Monte, Alberto. Peire d'Alvernha, Liriche. Torino: Loescher-Chiantore, 1955.

323,008- Peire d'Alvernha

Questo sirventese ha attratto l’attenzione dei filologi per i riferimenti storici e biografici del poeta; ma non s’è badato ch’esso appare contraddittorio. Infatti dapprima Peire, rivolgendosi al conte di Barcellona, presso il quale dice d’essere venuto, dichiara i rapporti fra poeta e principe, la necessità che questi sia liberale per essere celebrato da quello, poi gli parla con ingiuriosa ironia, esaltando invece il suo nemico conte di Tolosa. Ora, se il poeta componesse alla corte del conte di Barcellona e sperasse di usufruire della sua liberalità, sarebbe un incomprensibile modo d’agire questo suo d’ingiuriarlo ed elogiare invece il suo avversario. Mi par dunque che debba dirsi che il poeta è stato sì alla corte del conte di Barcellona e ne sia rimasto deluso; ma componga ora il suo sirventese alla corte del conte di Tolosa e colga il destro insieme di vendicarsi di quello e di cattivarsi la benevolenza di questo. Egli finge di rivolgersi al conte di Barcellona, dichiarando che il poeta elogia la liberalità o condanna l’avarizia dei principi, dichiarazione che è a un tempo un preludio ironicamente dissimulato della sua ostilità verso il signore che l’ha deluso e un’implicita richiesta al conte di Tolosa, al signore cioè da cui spera e che egli maliziosamente mette sull’avviso nello stesso tempo che già lo blandisce con l’ironia contro il nemico. Quindi, continuando la finzione, nel parlare al conte di Barcellona della sua guerra contro quello di Tolosa, esalta questo a tutto danno di quello.
Il sirventese è in ogni modo prosastico: non privo forse d’estrosità nell’invenzione strutturale, ma ispirato da ragioni meramente pratiche.
 
1. qui: cfr. nota a I, 104.
 
2. en bona cort: cfr. ARNAUT DANIEL, ed. Lavaud, 15, 15; GIRAUT DE BORNELH, ed. Kolsen, 49, 1; MONGE DE MONTADOUN, ed. Lavaud, 9, 46.
 
3. Cioè: il poeta e la corte. La corte dona al poeta, il poeta celebra la corte, la corte alimenta l’ispirazione del poeta, il poeta divulga la fama della corte.
 
5. pus = plus, per dissimilazione. on plus... mais, cfr. PISTOLETA, ed. Niestroy, 2, 32.
 
6. Si noti che la variante di ET mantegutz non è erronea, ché si rinviene con lo stesso significato in BERNART MARTI, ed. Hoepffner, 6, 31.
 
6. la comensansa, cioè: prima. La lezione comune a R ed ET s’impone su quella di C.
 
7. dei far parven. Per l’espressione se far parven, cfr. LEVY, Pet. Dict., s. v. parven; ELIAS DE BARJOLS, ed. Stroński, n. a 5, 40.
 
8. Alla corte del conte di Barcellona.
 
9. ZENKER: demostrar.
 
10. Detto con ironia, perché egli non ha avuta la mercede sperata e dimostrerà di averne aumentata la saggezza, sparlando di quel conte.
 
11. ZENKER: vas dos locs es drutz = è amico verso due luoghi. A parte la difficoltà esegetica, drutz di C è lectio facilior e deterior rispetto a dutz comune a R ed ET (E dus). Non mi pare che si possa obiettare ciò che dice il Lavaud, n. a 9, 25 nell’ed. di Arnaut Daniel, a proposito di s’esduire equivalente solo ad «allontanarsi». Cfr., infatti, LEVY, SW, s. v. e Pet. Dict., s. v. Dagli esempi addotti dal SW si deduce che il significato primitivo di esduire (< ex-ducere) = «allontanarsi» s’è indebolito fino a indicare implicitamente il «muoversi da un luogo» di chi «si reca in un luogo diverso».
 
13. Preferisco mantenere la lezione di CR, malgrado lo iato.
 
14. Raimondo Berengario IV (1130-42), cfr. ZENKER, loc. cit. Il poeta finge di sperare in un dono in cui in realtà aveva sperato ma che non ha avuto.
 
16. ZENKER: se non è il primo nel dare; interpretazione che par dubbiosa a lui stesso. Non rinvengo altrove questo senso nel verbo duire. Per duire de = istruire a, insegnare a (dare), cfr. per es. APPEL, Chrest., 2, 84 e 94. Cfr. anche CHANS. D'ANT., ed. Meyer, 61.
 
16-17. Dice il poeta: se non ho il dono, dovrò credere che questo conte è un pitocco. Ma egli non l’ha avuto: è dunque come dire: quel conte è un pitocco.
 
19-24. Seguo il testo ZENKER, mutandone però parzialmente l’esegesi.
 
19. vergonhos pessamen: il temere d’apparire e d’essere giudicato avaro.
 
22. Cioè: prima che sia esaltata da un poeta.
 
23. aitals afars: cioè la vergonha e la conseguente largueza del signore.
 
26. joven: Raimondo V conte di Tolosa. Cfr. ZENKER, loc. cit.
 
30. Cioè: dalla corte di Tolosa.
 
34. coütz: su quest’epiteto degl’Inglesi, cfr. la nota al verso dello ZENKER. Allusione a Enrico II d’Inghilterra.

 

 

 

 

 

 

 

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