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Vatteroni, Sergio. Le poesie del trovatore Johan Esteve. Pisa: Pacini, 1986.

266,002- Joan Esteve

1-3. Cfr. Bertran Carbonel, ed. JEANROY, LII, per il motivo del guadagnare e del custodire. Il sintagma esordiale è diffuso nella lirica per introdurre una similitudine.
 
2. esfors: PD p. 166 «effort ; force, pouvoir», così anche SW III, p. 218; ma il senso qui sembra essere piuttosto quello di ‘lavoro’, cfr. Guiraut Riquier che dice dei contadini: cascus per son esfortz / d’aquestz es apelatz (vv. 500-1 della Supplicatio, ed. BERTOLUCCI).
 
3. Si noti la dialefe garda e·n tra due atone (cesura lirica).
 
5. Sull’aggettivo ric cfr. CROPP, pp. 93-7; V. PICCININNI, Analisi semantica di antico-provenzale ric / ricaut, «Medioevo romanzo» IV (1977), pp. 272-93.
 
7. joy: il concetto di joy, tra i più controversi e discussi, è stato spesso definito ambiguo e sfuggente («le joi sourtout échappe à nos tentatives de definition», CROPP, p. 394). Per la traduzione del termine cfr. BELTRAMI, Belhs m’es l’estius, nota al v. 4 a p. 89.
 
9. Cfr. Guiraudo lo Ros, ed. A.M. FINOLI, «Studi medievali» III ser., XV (1974), pp. 1051-1106, II, vv. 19-22: Mas maltrazen creys honors / qu’om estiers pretz non rete / e pueys apres aysest ve / qu’enaissi·s noyris valors, e la relativa nota.
 
10. Sul tema della malattia e del malato per amore cfr. CIAVOLELLA, La malattia d’amore, in particolare le pp. 51-130. Si veda inoltre, per l’ambito occitanico, la nota al v. 19 di Guglielmo IX, Farai un vers de dreit nien, nell’ed. PASERO. Per la similitudine del malato in contesti amorosi cfr. ad es. Sordello, ed. BONI, X, vv. 1-8 e p. CXLIII; Der Troubadour Bertolome Zorzi, herausgegeben von E. LEVY, Halle 1883, XVII, vv. 67-8. Per una fenomenologia del male d’amore cfr. Flamenca, ed. GSCHWIND, vv. 2991-3055. L’equivalenza amore = male ricorre ad es. anche in Guillem Magret (Der Trobador G. M., herausgegeben von F. NAUDIETH, Halle 1914 «Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie» LII) I, vv. 11-2: Mas s’ieu muer de tan cortes mal / cum es amors ...
– es bo: SW I, p. 154 ‘gefallen’; cfr. anche PASERO, Guglielmo IX, p. 256, n. 7. Qui, tuttavia, il senso sembra richiedere ‘è un bene, è un vantaggio’.
 
11. Variante del paragone tra l’oro e lo stagno, che costituisce «quasi un luogo comune della lirica trobadorica, tanto frequentemente si trova ricordato» (Sordello, ed. BONI, p. 44, n. 44; e si veda ora anche W. ZILTENER, Studien zur bildungsgeschichtlichen Eigenart der höfischen Dichtung. Antike und Christentum in okzitanischen und altfranzösischen Vergleichen aus der unbelebten Natur, Bern 1972, p. 192 e n. 2, e, dello stesso, Repertorium der Gleichnisse und bildhaften Vergleiche der okzitanischen und der französischen Versliteratur des Mittelalters, I, Bern 1972, p. 87).
 
12. Qui il male coincide col travaglio: soffrendo, il malato d’amore supera la malattia e conquista la bevolensa (cfr. v. 8). Si veda, in area italiana, Re Enzo, S’eo trovasse pietanza,vv. 54-5: chi lo sagna [il cuore], / in quel momento stagna, e vv. 57-9: La vertute ch’ill ave / d’auciderme e guarire, /a lingua dir non l’auso (Poeti del Duecento, I, p. 159); Tommaso di Sasso, D’amoroso paese, vv. 28-9: e medica piagando Amore (Poeti del Duecento, I, p. 92). Cfr. anche Giacomo Da Lentini, Poesie, ed. critica a cura di R. ANTONELLI, Roma 1979, XXVI, vv. 9-10: Ed ò vista d’Amor cosa più forte, ch’era feruto e sanòmi ferendo, e la nota nei Poeti del Duecento, I, p. 78. Sul tema della lancia di Peleo, utilizzato da Bernart de Ventadorn (ed. APPEL, I. vv. 45-8) e da Dante (Inf. XXXI 4-6), si veda ora M. KAEHNE, Studien zur Dichtung Bernarts von Ventadorn, I, München 1983, pp. 15-7 e n. 6. Probabilmente, dietro contesti come il nostro, agiscono anche le teorie della medicina antica e medievale sulla malattia d’amore (il rimedio veramente efficace per la malattia d’amore è l’appagamento della passione, così Avicenna, Arnaldo di Villanova ecc., cfr. CIAVOLELLA, La malattia d’amore),cfr. ad esempio Il collare della colomba, testo arabo (Spagna mussulmana, sec. XI) influenzato da queste teorie: «Io ti dirò di me stesso che non mi sono mai sentito sazio dell’acqua dell’amore appagato, che anzi non ha fatto se non farmi crescere la sete: questo è come il caso di chi si vuoi curare indulgendo alla sua stessa malattia, anche se ciò gli dà un fuggevole sollievo» (IBN HAZM, Il collare della colomba, trad. e commento di F. GABRIELI, Bari 1949, p. 115).
– eys: da IPSE ‘lo stesso’ (CRESCINI, p. 89). AZAÏS stampa esto e traduce: «avec ce mal se guérit la maladie». La correzione non pare giustificata.
 
15. AZAÏS p. 64: «elle me tient plus à coeur et mon bonheur est plus délicieux», traduzione che appare impropria e banalizzante.
– e·l joy mais saboros: cfr. ad es. Le rime di Bonifacio Calvo, a cura di F. BRANCIFORTI, Catania 1955, XVIII, v. 31. Si noti l’irregolarità flessionaie in joy.
 
18. franca res: cfr. Cadenet, ed. ZEMP, XXIII, v. 47: Ai, franca res, e la nota con due esempi del sintagma (Guillem de Cabestanh, ed. LÅNGFORS, V, v. 71 var. CQ²S; Peire Vidal, ed. AVALLE, XLIII, v. 53). Cfr. inoltre Les poésies lyriques du troubadour Arnaut de Mareuil, a cura di R.C. JOHNSTON, Paris 1935, VI v. 52, e altri esso in CROPP, p. 88 n. 20.
– em pur gaug me banhse banhar vale ‘dilettarsi, immergersi voluttuosamente’, cfr. LR II p. 178. Per questa metafora cfr. F. BRANCIFORTI, Il canzoniere di Lanfranco Cigala, Firenze 1954, IV vv. 40-1: eu mi baigner’ab gran solatz en baing de salutz ses regart.Si veda inoltre Guiraut de Bornelh, ed. KOLSEN, XLVIII, v. 105; Peire Vidal, ed. AVALLE, XXXI, v. 69; XXXIV, v. 57 con banh ‘diletto’; Bernart de Rovenac, ed. RIQUER, Los trovadores, CCLXXIX, v. 36.
 
19. AZAÏS p. 64: «et je suis plus heureux que le poisson gras dans l’etang», ma estai è terza pers., quindi: ‘e mi va (o ‘mi sta’) meglio che al grasso pesce’. Per estar usato in questo senso cfr. LR III p. 203; SW III p. 309 n. 8. Il paragone col pesce nello stagno per indicare uno stato di completo benessere sembra essere molto raro nella letteratura provenzale (per altre similitudini col pesce cfr. STIMMING, Bertran de Born, nota 9 a p. 230). Un passo del tutto simile in Folgore da San Gimignano, Di ottobre, vv. 12-14: Alle guagnele, starete più sani che pesce in lago o’n fiume od in marina, avendo miglior vita che cristiani (Poeti del Duecento, II p. 416).
 
20. nobleza: SW III p. 389 n. 4 «Kostbarkeit, kostbarer Gegenstand».
 
21. ‘grazie a lei, poiché le piace il mio amore’, così anche AZAÏS, p. 65, e cfr. CRESCINI 57, 41, ma ci si aspetterebbe amor sigmatico. Ètuttavia possibile interpretare ‘mercede la possiede perché le abbellisce il mio amore’, con amor regolarmente asigmatico (per gensar ‘abbellire’ cfr. SW I p. 33). Tale interpretazione comporterebbe però un brusco cambio di soggetto al verso successivo.
 
22. un e ambedos irregolari nella flessione.
 
23. mos chans e mas razos:i due termini non sono qui in opposizione, ma costituiscono una dittologia: razos significherà quindi semplicemente ‘discorso’. Situazione analoga in Marcabruno, per cui si veda A. RONCAGLIA, Marcabruno: Aujatz de chan, «Cultura neolatina» XVII (1957), pp. 20-43, p. 29 n. 3. Cfr. ora anche GUIDA, Jocs, p. 152 n. 50.
 
26. fai è verbo vicario come in V v. 5, su cui si veda Sordello, ed. BONI, p. 156 nota 24; AGENO, Il verbo, nota 3 a p. 484.
– Nella forma del caso retto, companh ha qui funzione di obliquo, cfr. JENSEN, Imparisyllabiques, p. 469.
 
27. Cfr. Bertran Carbonel, ed. JEANROY, XXIII, vv. 3-5: E·l proverbis vai nos o referman que ditz c’als hops conois hom tota via son bon amic [...] e la nota a p. 182. Altri esempi in B. PERETZ, Altprovenzalische Sprichwörter mit einem kurzen Hinblick auf den mdh. Freidank,«Romanische Forschungen» III (1887), p. 437.
 
28. onors: LR III p. 534; SW V p. 490 n. 2 «Besitz, Vermögen»; qui nel senso generico di ‘beni’, e cfr. CROPP, p. 326; HOLLYMAN, Vocabulaire féodal, p. 35; GUIDA, Jocs, p. 169 n. 23-4. Per onor ‘feudo, dominio, territorio’ si veda anche PASERO, Guglielmo IX, p. 286, nota 14; mentre sulla coincidenza lessicale onor ‘feudo’, ‘premio del servizio d’amore’ cfr. E. KÖHLER, La piccola nobiltà e l’origine della poesia trobadorica, in KÖHLER, Sociologia, pp. 1-18, in part. pp. 8-9.
 
30. belh: ancora irregolarità nella flessione.
– cors plazentiers: cfr. Rambertino Buvalelli, ed. MELLI, II, v. 33; IV, v. 21. Quanto a cors, potrebbe trattarsi anche di cors ‘cuore’, regularmente sigmatico al nominativo singolare, ma cfr. CRESCINI, p. 71 n. 2 (che rimanda a Leys, III p. 84), e F. JENSEN, Provençal cor and cors: a flexional dilemma, «Romance Philology» XXVIII (1974) pp. 27-31.
 
31. que so qu’ieu vuelh vol: cfr. Rambertino Buvalelli, ed. MELLI, IV, v. 39: mas ço qu’il vol voill en grat prendre; Bernart de Ventadorn, ed. APPEL, XLIII, v. 35: car no vol so c’om deu voler.
 
34-5. que res no franh / mos fis volers: AZAÏS, p. 65: «rien ne change mon désir pur», ma fis volers è obliquo plurale. Il sintagma fis volers si potrebbe considerare singolare, ma si dovrebbe allora espungere -s a res e interpretare: ‘il mio puro volere non si frange per nulla’ (per franher usato assolutamente cfr. BARTSCH-KOSCHWITZ 329,1).
 
37. entendensa: ‘intenzione’ (PD p. 153), e cfr. Guglielmo IX, ed. PASERO, p. 73 nota al v. 4 di III. È possibile che qui Johan Esteve se la prenda con quegli amanti che desiderano raggiungere il favore della dama evitando il travaglio che deriva da un assiduo servizio amoroso: si spiega così come i piaceri ottenuti senza la mediazione di una lunga pena non siano graditi al poeta perché poco nobili e alla fine si volgano in desplazensa. Non escludo però che l’entendensa riprovata dal poeta sia quella di giungere direttamente al fach.
 
41. pretz e valensa: variante di pretz e valor, su cui cfr. THIOLIER-MEJEAN, pp. 87-8 (con bibliografia); M. SPAMPINATO, Per un esame strutturale della lingua poetica dei trovatori, «Filologia e letteratura» XVI (1970) pp. 39-76.
 
43. val sa valors: il motivo del valore riflesso è, per esempio, anche in Peire Vidal (con analoga figura etimologica: valen-valon-valensa), ed. AVALLE, XL, vv. 57-8.
 
44. far ricx faigz: cfr. Guilhem de Montanhagol, ed. RICKETTS, XIII, v. 51(fazen ricz faitz); Arnaut Catalan, ed. BLASI, III, v. 3 (far rics fatz)e la relativa nota sulla figura etimologica.

 

 

 

 

 

 

 

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