3. Cfr. Bernart de Ventadorn, ed. APPEL, XXI, vv. 17-21 De tal amor sui fis amans / don duc ni comte non envei; / e non es reis ni amirans /el mon, que, s’el n’avi’aitau, / no s’en fezes rics com eu fau.
4. Normale omissione di que; in particolare, dopo verbi esprimenti percezione, pensiero o desiderio, si veda ora anche Gavaudan, ed. GUIDA, p. 150 (es. crey m’o aparelh).
6. beutatz: è plurale; inutile dunque l’emendamento degli editori precedenti, che ristabiliscono l’uscita asigmatica.
7. a tria: cfr. SW VIII p. 458 n. 3 «in Auslese, in erlesener, vorzüglicher Weise». GALVANI, Osservazioni, p. 160 nota 2: «il senso è come se dicesse: ella è fiore di beltà fra tutte, o a giudizio di tutti»; LR V p. 419 n. 2: «la plus belle qui est fleur de beauté à choix (complétement)». Così anche AZAÏS. Credo invece che il sintagma a tria dipenda dal verbo fai v. 5, e non dall’inciso del v. 6, già di per sé stesso di senso compiuto. Il sintagma significherà allora, letteralmente, ‘a scelta’, oppure ‘in abbondanza’ .
9. GALVANI, Osservationi, p. 160 nota 3: «Qui il senso è al mio vedere, che il trovatore ha l’amore dell’amica sua, ed ella, cioè l’amica, ha il suo onore, cioè l’onore che le dà, cantandola, il poeta».
— a ss’onor: su questo tipo di raddoppiamento cfr. GRAFSTRÖM, Graphie, par. 80 (es. assa moiller et assos effans).
13. mey: = me, cfr. CRESCINI, gloss.
13-4. Cfr. Bernart de Ventadorn, ed. APPEL, XXXVI, vv. 12-3 qu’eu am la belazor / et ilh me (qu’eu o sai).
15. un: ‘stesso, medesimo’, cfr. IV v. 32.
18. Cfr. Guglielmo IX, ed. PASERO, IV, v. 35 qu’ie·n sai gensor e belazor e la relativa nota. Pasero dice che gensor e belazor sono stereotipi, ma lo è anche il loro supporto sintattico con sai e il doppio accusativo.
19. lia: ‘si orna’, cfr. SW IV p. 396 n. 4.
28. Cfr. Car Dieus... nous a dat par ni engansa (Bertran Carbonel, cit. in SW II p. 321 n. 1). Tutti gli editori stampano engansa, ma il ms. reca chiaramente egansa, forma primaria rispetto ad engansa con n non etimologica.
29-32. Il motivo della donna-luce, e il conseguente paragone con il sole e con gli astri, è molto diffuso nella lirica trovadorica, cfr. ad es. Sordello, ed. BONI, III, vv. 41-4 Si co·l soleill esfassa, quan resblan, / autras clardatz, vai de pretz esfasan / autras dompnas la comtess’am cors quar, / sil de Rodes, ses ma domn’esfassar, e la nota a p. 20, dove è citato un esempio da Cadenet, Ab leyal cor, vv. 26-8, e uno da Rigaut de Berbezilh, Tot atressi, v. 1 ss. Si veda inoltre Rigaut de Berbezilh, Liriche, a cura di A. VARVARO, Bari 1960, dubbia attribuzione IV, vv. 19-24; Aimeric de Belenoi, ed. DUMITRESCU, XIX, vv. 16-8 Que sa beutatz, lai on ilh se deslia, / vens enaissi trasto’autra beutat, / quom lo solelhs venz tot’autra clardat. Il motivo è presente anche nella lirica italiana delle origini, cfr. PAGANI, Repertorio pp. 338-9; Chiaro Davanzati, Rime, a cura di A. MENICHETTI, Bologna 1965, VII, vv. 15-6; XXXVIII vv. 11-12, e le note alle pp. 34 e 139-40.
51. cors: AZAÏS traduce erroneamente ‘cuore’ (cors obliquo sigmatico debe essere indeclinabile cors CORPUS, ma si tenga conto della labilità del sistema flessionale).
63. franquor. non registrata dai lessici di Raynouard e Levy, è forma propria del francese antico (TOBLER-LOMMATZSCH III col. 2207). Può trattarsi dunque di un prestito, oppure di una formazione in -or (cfr. E.L. ADAMS, Word-formation in provençal, New York 1913, pp. 252-5), adottata per gusto di variatio (v. 37 franqueza) e per esigenza di rima. |