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Radaelli, Anna. Raimon Gaucelm de Béziers. Poesie. Firenze: La Nuova Italia, 1997.

401,008- Raimon Gaucelm de Bezers

Nella presente edizione sono pubblicate unicamente le due canzoni di crociata che C tramanda sotto la medesima paternità (Sirventes d’en .R. Gaucelm). Tuttavia è doveroso segnalare l’attribuzione al nostro trovatore di un ulteriore canto di crociata, sempre tràdito da C, al f. 133, ma assegnato dalla rubrica a Guillem de Saint-Didier [BdT 234,10]. La proposta è stata avanzata da A. Sakari (La chanson de croisade El temps quan vey cazer fuelhas e flors, in NM, LXIV (1963), pp. 105-124) il quale, di fronte all’effettiva difficoltà d’individuare come autore GlStDid, in base ad incongruenze nelle allusioni storiche e nelle citazioni di nomi propri, che collocherebbero la canzone tra gli anni 1265-1267, e sulla scorta di considerazioni linguistiche, che mettono in luce tratti morfologici tipici della lingua della seconda metà del XIII secolo, dopo aver scartato la proposta di identificazione degli studiosi precedenti con Gauceran de Saint-Didier [BdT 168,1a], nipote di Guillem, e dopo aver dichiarato la possibilità, presto messa da parte, che l’autore possa essere Guigo, figlio di Gauceran, avanza la candidatura del contemporaneo RmGauc: «Il y a infiniment plus de chances que nous devions la pièce au spécialiste des chansons de croisade et religieuses qu’était Raimon Gaucelm de Béziers [...]» (p. 115). Tuttavia, le coincidenze in «fautes flexionnelles» in rima, da lui segnalate, possono trovare una spiegazione nello stato linguistico dell’epoca, nella tendenza cioè, più volte sottolineata (vedi nota a I, 13, 18, 19 e passim), a rendere sigmatiche le forme plurali, privilegiando il numero e non il caso. Inoltre, la corrispondenza rilevata da Sakari tra il congiuntivo ane del v. 34 («Ane s’en lai ont es totz bes granatz»), con passe di VI, 6 («passe tost lai on Elh fon trespassans») mi pare poco indicativa, poiché la forma del congiuntivo, come dell’indicativo, con uscita vocalica, è ormai generalizzata (cfr. nota a I, 1); così mi pare del tutto attestato nell’ultima generazione trobadorica (cfr. cap. IV, nota 17), l’esito siam, monosillabico, del v. 41 («Dieus nos lays far e dir que siam salvatz») che Sakari collega alle due sineresi di VI, 29 («de la mia mort, per so siatz a mal mes!»). Più che indizi di una sicura paternità, tutte queste corrispondenze (a cui Sakari aggiunge la possibile confusione del copista di C nel trascrivere i nomi «presque homonymes: (R.) Gaucelm de Beziers / Guillem de (S.) Desdier / Gauceran de (S.) Desdier», p. 116) mi paiono evidenziare solamente una collocazione cronologica avanzata del componimento, seconda metà del XIII secolo, ma non possono assolutameme provare, senza tema di smentita, l’attribuzione a RmGauc di una terza canzone di crociata: «Nous avons vu que plusieurs détails convergent vers cette direction, au point de rendre le bien-fondé de l’attribution proposée de 234,10 à Raimon Gaucelm fort probable, sinon certain. En dernier ressort, on est néanmoins réduit à des hypothèses, et pour pouvoir donner au numéro faux 234,10 (ou 168,1a) le nouveaux numéro 401,5a, il nous manque quelque chose d’essentiel: une confirmation manuscrite.» (Sakari, cit., p. 116). Queste mie considerazioni trovano conforto nella raccolta di canti di crociata curata da S. Guida il quale, assegnando il componimento ad autore anonimo, dichiara: «Si brancola tuttavia, con tutta evidenza, nel campo delle congetture personali prive di qualsiasi sostegno esterno e pertanto, per evitare il rischio di cadere nella spirale delle illazioni gratuite, conviene limitarsi a scorporare la poesia dal canzoniere di Guilhem de Saint-Didier [...] e iscriverla nel novero dei componimenti adespoti» (Guida, Canzoni di crociata, p. 263).
 
1-4. Qui vol aver complida amistansa: nell’esordio Raimon chiama a raccolta tutti coloro che sono pronti ad imbarcarsi per la Terra Santa per vendicare l’onta dell’occupazione dei luoghi in cui Gesù visse la sua passione, e come primo messaggio emerge il motivo dell’appoggio di Dio alla spedizione crociata: chi vi parteciperà infatti godrà della sua complida amistansa e sarà accolto con amore nel Regno dei Cieli il giorno del giudizio, per la sua azione degna e meritoria.
Sulla tipologia della canzone di crociata come genere, cfr. P. Bec, La lyrique française au moyen-âge, I, pp. 150-158. Si veda inoltre M. de Riquer, Il significato politico del sirventese provenzale, in AA.VV., Concetto, storia, miti e immagini del medio evo a c. di V. Branca, Firenze 1973, pp. 287-309; S. Thiolier Méjean, Croisade et registre courtois chez les troubadours, in Misc. Horrent, pp. 295-307; E. Siberry, Troubadours, trouvères, minnesingers and the crusades, in SM, XXIX (1988), pp. 19-43 e la raccolta di canzoni di crociata francesi e provenzali curata da S. Guida, citata supra.
 
1. complida amistansa: “perfetta amicizia”, concordemente a I, 37-38: «e doncx be fa tot hom gran gazanhatge / qu’El retenga per amic», in cui ricompare il motivo della dilezione di Dio per i suoi fedeli, cfr. Gv 15,13-14: «Maiorem hac dilectionem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis. Vos amici mei estis, si feceritis quae ego praecipio vobis» (cfr. nota a I, 38); si veda anche, rivolto alla Vergine, V, 46-48: «Totz preguem Sancta Maria, / qu’a sobre totz poder gran, / quez elha amigua·l sia». Guida preferisce tradurre con “intera benevolenza”.
 
2. e qui·l volra servire: la spedizione crociata era intesa come umile servizio reso a Dio, cfr. ad es. Marc XXII [BdT 293,22] 57-59: «veign’a Diell sai son fieu servir! / Qu’ieu non sai per que princes viu / s’a Dieu no vai son fieu servir»; GrBorn LXIV [BdT 242,41] 21-24: «Per qu’estan / c’al servizi Dieu no van / de paians e d’avol gen / desliurar lo monimen»; FqMars XIX [BdT 155,15] 3-5: «Si ja Dieu volem servir, / pos tant enquer nostre pro / que son dan en volc sufrir»; Gavaud V [BdT 174,10] 32-33: «Que anc mais negus mielhs no poc / A servir Dieu esser propdas».
Su servire, verbo legato originariamente alla struttura economica del feudalesimo, cfr. Hollyman, Vocabulaire féodal, 14, pp. 60-64 e 17, pp. 78-82. Per la vocale atona d’appoggio, cfr. Appel, Lautlehre, § 42b.
L’omissione, molto probabilmente un refuso tipografico, della congiunzione e al v. 2 nell’edizione di Mahn, rende il verso ipometro.
 
4. venjar la deshonransa: vendicare la morte del signore e riscattare la sua terra fa parte dell’obbligo vassallatico, ma anche il cristiano deve vendicare l’offesa subita dal Figlio di Dio, sulla croce, e dalla cristianità, con l’occupazione dei luoghi santi: il richiamo verso questo impegno di fedeltà è insistente e martellante, ritorna infatti due volte nella medesima cobla ai vv. 4-5 e 7-8 («e sïa be de sa mort demandans / e de l’anta qu’El per nos autres pres»), e inoltre ai vv. 28-29 («Anc vos autres non demandetz venjansa / de la mia mort»).
Il motivo è ricorrente nei canti di crociata, cfr. Marc XXXV [BdT 293,35] 35-36: «Ab sol que vengem Dieu del tort / que·ill fan sai e lai vas Damas» e, in ambito oitanico, fra gli altri Conon de Béthune, Ahi! amours, con dure departie [S 1125] XXVI, 43-46: «S’irom vengier la honte dolereuse / Dont chascuns doit estre iriez et honteus, / Qu’a nostre tanz est perduz li sains lieus / U Dieus soufri pour nous mort glorïeuse» (ed. A. Lerond, Chansons attribuées au Chastelain de Couci, Paris 1964, pp. 187-190 (appendice); Renaut de Beauvais, Pour lou pueple resconforteir [S 886] VII, 25-28: «Saveis por coi Deus l’ait souffert? / Il veult esproveir ces amis, / Ki servise li ont offert / A vengier de ces anemis» e 53-54: «.../ Ke Damedeu vengier ne vont / Et delivreir la sainte croix» (ed. Bédier-Aubry, Les chansons de croisade, 78-81); Thibaut de Champagne, Seigneurs, sachiéz: qui or ne s’en ira [S 6] LIII, 5-7: «Qui a en soi pitié ne remenbrance, / Au haut Seigneur doit querre sa venjance / Et delivrer sa terre et son païs» (ed. A. Wallensköld, Les chansons de Thibaut de Champagne, roi de Navarre, Paris 1925, pp. 184-185).
 
5. per nos: è continuo il ricordo che le sofferenze e le umiliazioni subite da Cristo sono state «pres per nos», «per nos autres» (cfr. vv. 8, 9, 37): in questo modo RmGauc fa leva sul senso di colpa e sulla consapevolezza dell’indegnità dei cristiani di fronte al sacrificio di Dio per la redenzione degli uomini. Cfr. a titolo esemplificativo, ElCai [ed. Jaeschke, p. 164, BdT 133,11] 4-6: «E doncs, per que se vai cascun tarzan / Ni eslonhan d’aquel senhor servir / qui volc per nos mort e pena sofrir?»; in altro contesto, nella vaquieyra di JoEst IV [BdT 266,9] 51-56: «Vuelh servire / tro·l fenire / Aquelh que per nos / volc suffrire / ab martire / greu mort en la cros» (e nota relativa dell’ed. Vatteroni); e nel dominio d’oïl: Anonimo, Chevalier, mult estes guariz [S 1548a] I, 19-20: «A celai voz con presentez / Ki pur vus fut en cruiz drecez» e 32: «Ki pur nus fut en croiz penez» (cfr. Bédier-Aubry, cit., 8-11).
 
6. passe: è la prima occorrenza che si presenta del verbo passar (che ricorre pure ai vv. 18, 19, 21, 24, 37, 40, 41, 48, in aggiunta al sostantivo passatge del v. 14) che nelle canzoni di crociata assume il particolare significato di “passare il mare, imbarcarsi, partecipare alla spedizione santa”; numerose sarebbero le attestazioni nella tradizione trobadorica dei canti per l’oltremare ma, oltre a VII, 24: «que de passar negus homs non covida» (e nota relativa), si veda solo a titolo d’esempio: BtBorn XXXIV [BdT 80,40] 24-25: «mas per so·l fatz qe·ls crosatz vauc reptan / del passage q’an si mes en obli», e vv. 38, 50; RbVaq XIX [BdT 392,3] 25: «Val q’el sieu guit passon mar tuich li bon», e vv. 30, 72; LanfCig XX [BdT 282,23] 37-38: «e del valen Rei Richart li soveingna, / e pas la mar ab poder e no·s feingna» e vv. 42, 57; etc.
passe tost: cfr. al v. 24 «tost passera» quasi in risposta all’esortazione di Raimon; il senso di tost non è qui solo “subito, immediatamente, presto” ma anche “senza indugio, senza esitazione”.
lai: locuzione avverbiale di luogo frequentissima nelle canzoni di crociata ad indicare “la Terra Santa, al di là del mare” (spesso in opposizione a sai, “da questa parte, nel continente europeo”, come al v. 24); si veda anche ai vv. 15, 37, 40 e VII, 12-13: «ans devem pus afortidamens / totz anar lai ab armas, gent garnitz».
fon trespassans: “visse la sua agonia”; Guida, mantenendo il valore processuale dell’azione nel passato, traduce “fu morente” (come Azaïs «il fut trépassant»). La costruzione perifrastica verbo essere + participio presente, indica propriamente un’azione in via di svolgimento (cfr. Jensen, Syntaxe, § 510), ma nella canzone la locuzione, assai frequente [«sïa ... demandans» (v. 7), «so ... duptans» (v. 14), «serem li agradans» (v. 39), «sïa aiudans» (v. 42), «sui esperans» (v. 43), «sïa duptans» (v. 47)], è stata più spesso tradotta assumendo il modo e il tempo verbale con cui sono espresse le forme di esser; a questo proposito si veda anche la nota a VII, 9.
fon: 3ª ps. sg. del perfetto di esser, che Grafström trova attestata una sola volta in una carta albigese del 1188 (c. 238,12, Morpholgie, § 64), accanto alle più numerose forme fo. Generalmente la si ritiene una forma analogica su influenza delle terze ps. plurali in -o(n), come so(n), foro(n), e degli esiti soggetti alla caduta di -n instabile (bo(n), mo(n), so(n), to(n)). Ronjat (Grammaire istorique, III, § 635) pensa si tratti invece di un’agglutinazione di fo e (e)n da inde, e Grafström, pur non escludendo la spinta dell’influsso analogico, si trova concorde con lui (cfr. Morphologie, § 66). In questo caso dunque si potrebbe interpretare graficamente la forma con fo·n ma lo stesso non può valere per il v. 10 («que·n fon batutz») e il v. 37, anche se ricalcato sul v. 6 («passem tost lai on Elh fon per nos pres»).
trespassans: da trespassar “morire”; RmGauc impiega un’altra volta l’immagine della morte come “transitus” in I, 16: «lo jorn que nos penrem trespassamen» (cfr. nota al verso).
 
7. de sa mort demandans: «demandar de» ha il significato di “Rechenschaft fordern für”, cfr. SW, II, 75,5 e T.-L., III, c. 1359, s.v. demander (“etw. jem. vorwerfen, jem. verantwortlich machen für”); si veda anche ai vv. 28-29: «non demandetz venjansa / de la mia mort».
 
9-12. Il viaggio oltremare si configurava per molti come l’adempimento di un voto, l’occasione di poter rivivere la passione di Cristo nei luoghi dove egli patì e morì; cosicché le crociate secondo Delaruelle divenivano «à proprement parler, un chemin de croix à la suite du Seigneur» (cfr. E. Delaruelle, L’idée de croisade chez Saint Bemard, in AA.VV., Mélanges Saint Bernard. XXIVe Congrès de l’Association Bourguignonne des Sociétés Savantes, Dijon 1953, p. 60).
In molti canti di crociata sono menzionate le diverse tappe della passione di Cristo; espressioni simili a quelle usate da RmGauc, si ritrovano in RbVaq XIX [BdT 392,3] 34-40: «Dieus si laisset vendre per nos salvar, / e·n soffri mort e·n receup passion, / e l’auniront per nos Juzeu fellon, / e·n fon batutz e liatz al pilar, / e·n fon levatz el trau q’er’en la faigna / e correjatz de correjas ab noz / e coronaz d’espinas en la crotz»; in ambito francese si veda Richard de Fournival, Oiés, seigneur pereceus par oiseuses [S 1020a = 1022] XX (chanson douteuse), 5-8: «Il fu lïés en l’estache au lïen / et fu batus d’escorgies noueuses; / nous savons bien q’il fu en la crois mis / pour nous geter des paines dolereuses» e 19-21: «Et mousterra ses plaies a delivre / en ses costés, en ses mains, en ses piés / q’il ot pour nous et fendus et perciés» (ed. Y. G. Lepage, L’œuvre lyrique de Richard de Fournival, Ottawa 1981, pp. 119-120).
 
11. volc ... murire: l’accostamento voler + infinito indica l’imminenza di un avvenimento: la morte di Gesu’ dopo la passione; l’espressione è stata pertanto interpretata come verbo semplice, cfr. Ageno, Il verbo, p. 453 e Jensen, Syntaxe, § 473.
 
12. e·i: nella traduzione si è preferito rimarcare lo stato in luogo: “lì sopra, sulla croce”. Azaïs invece stampa ey e traduce: «il fut blessé».
 
13. fals: mi è sembrato più opportuno impiegare un’espressione ingiuriosa, “menzogneri e traditori”, consona alla figura di severo predicatore quale intende essere in questi versi, e nella cobla successiva, Raimon: «aquelhs que so del passatge duptans», sono menzogneri perché simulano ipocritamente una convinzione che non hanno («fan semblansa que passaran»), e sono traditori perché vengono meno al votum crucis che hanno fatto davanti a Dio e agli uomini. Guida traduce fals con “immeritevoli di stima”.
quan be m’o pes!: mi pare che la traduzione di Azaïs e Guida («quando ben ci penso»), poco s’adatti all’atteggiamento censorio assunto da RmGauc. L’esclamazione introduce e anima l’immagine dei pellegrini nudi e scalzi dei versi successivi.
 
14. passatge è termine proprio del vocabolario tecnico delle crociate, col significato di “passaggio oltremare sotto il segno della croce, spedizione verso la Terrasanta”, in RmGauc però questa non è l’unica attestazione: si veda I, 7 in cui il termine assume il diverso significato di “trasgressione” (cfr. nota al verso).
 
15. deuram: per questa rara forma di condizionale, cfr. quanto detto al proposito nella nota a I, 23. SW, II, 121, corregge l’esito in degram.
deuram quascus: cfr. nota a I, 18.
enans: ho reso con l’avverbio “anche”, con l’intenzione di unire il valore enfatico di “persino” a quello esortativo di “senz’altro, senza esitazione”. Vicina la traduzione di Guida che sceglie “addirittura”. Un’altra eventuale interpretazione, che segue Azaïs («aller en avant»), potrebbe vedere l’avverbio legato al predicato: «anar enans» con il significato di “precedere nel tempo, passare prima degli altri” e quindi “arrivare al più presto”.
 
16. nutz o descaus: alle prime crociate, molti intervennero effettivamente “nudi o scalzi”: uomini disarmati, poveri, donne e bambini che aderirono con entusiasmo agli appelli dei predicatori, desiderosi di vendicare l’onore di Dio oltre che di aprirsi nuove prospettive di riscatto. Ora invece, alla fine del XIII secolo, l’incitamento di RmGauc suona piuttosto come un’esagerazione retorica, quasi un paradosso (cfr. J. Steinruck, Aspects religieux des croisades, in Les Épopées de la croisade, Premier Colloque International (Trèves, 6-11 août 1984), Stuttgart 1987, pp. 50-57).
qui = si quis, cfr. Jensen, Syntax, § 458.
 
17-24. In questi versi RmGauc dipinge con vivo tratto i sentimenti di esitazione e diffidenza che, sempre presenti nelle ragioni di chi era chiamato a partire, si inseriscono appieno in fine secolo con l’accenno al sout del rei, che manca nei canti precedenti.
I giudizi su coloro che si rifiutavano di partire oltremare, sono sempre molto severi, cfr. BtBorn su Filippo Augusto e Riccardo Cuor di Leone XXXIV [BdT 80,40] 19-21: «Ar fos usqecs d’els em boia / d’En Saladi, pos van Deu galian, / qar son crosat e d’anar mot non fan»; e nelle canzoni francesi, Conon de Béthune, Ahi! amours, cit., XXVI, 21-24: «Sachiez cil sunt trop honi qui n’iront, / s’il n’ont poverte u vieillece u malage; / et cil qui sain et joene et riche sunt / ne pueent pas demorer sanz hontage»; Thibaut de Champagne, che li definisce «morveus, cendreus» in Seigneurs, sachiéz, cit., LIII, 8-11: «Tuit li mauvès demorront par deça, / qui n’aiment Dieu, bien ne honor ne pris; / et chascuns dit: «Ma fame, que fera? / Je ne leroie a nul fuer mes amis»; Rutebeuf, La complainte d’outre mer, 51-56: «Jhesucrist dist en l’Evangile, / qui n’est de trufe ne de guile: / “Ne doit pas paradis avoir / qui fame et enfanz et avoir / ne lest por l’amor de celui / qu’en la fin ert juges de lui”» e 118-121: «Diex veut que vous l’alez vengier / controver nul autre essoine, / ou vous lessiez le patremoine / qui est du sanc au Crucefi» e Id., La nouvele complainte d’outremeir, 98-102 (ed. E. Faral - J. Bastin, Œuvres complètes de Rutebeuf, Paris 1976 3, pp. 444-450 e 497-509).
Sui movimenti d’opinione che circolavano in Europa intorno alle spedizioni crociate nei secoli XII e XIII, cfr. Guida, Canzoni di crociata ed opinione pubblica del tempo, Atti Verona 1992, pp. 41-52.
 
17. trop d’omes: cfr. Leys: «devetz saber que gran re de locutios son que han aquesta habitut de que non son de genitiu cas cant al significat, ans son de nominatiu o d’autre cas» (ed. Gatien-Arnoult, II, 114); cfr. inoltre Meyer-Lübke, Grammaire, III, § 238.
 
18. dezire: ho mantenuto nella traduzione il senso più letterale del termine “voglia, desiderio”, ma riconosco che interpretare, come Guida, “intenzione”, coglie più profondamente la natura del rifiuto dei suoi contemporanei.
 
19. se sabran ... escondire: cfr. SW, III, 186,4 se escondire “sich weigem etw. zu thun”, “frei machen (von e. Verpflichtung)”, con un rimando a Mistral, II, 1000 escoundre: «cacher, dissimuler, nier».
 
20. ganren: cfr. SW, IV, 36, ganren, granren “viele Menschen”.
ses duptansa: ho preferito la traduzione “senza timore”, per sottolineare la sfumatura di impudenza nelle scuse accampate quasi “senza ritegno”, sapendo di mentire. D’altra parte anche l’interpretazione di Guida “senza esitazione” è senz’altro pertinente perché contrappone la sicurezza nel rispondere in coloro che invece si dimostrano esitanti e incerti («duptans») a partire.
 
21. si·l sout del rei agues: abbiamo testimonianze che negli anni 1269-1270, il rapporto tra il re e i suoi vassalli riguardo alla partenza oltremare, era governato da veri e propri contratti che impegnavano ambedue le parti. Tra gli obblighi che il cavaliere aveva nei confronti del suo signore si trovano: «personam vestram & res vestras salvare, custodire & deffendere ubique, & vos non deserere nec a vobis recedere quousque, Deo volente, reversi fueritis ad has partes [...]». Nella carta del 7 marzo 1270 in cui il nobile Bernart de Durban si impegna, bona fide solemniter interposita, a seguire il primogenito del visconte di Narbona, Aimerico (a cui è indirizzato questo invito di RmGauc), ad honorem Dei & illustris domini regis Francie ac subsidium Terre Sancte, si legge anche che egli ha ricevuto dal visconte di Narbona, ex causa mutui, 100 lire tornesi bonas & percurribiles, supra vadiis, che, se la morte o un’altra ragione gli avessero impedito il passagium, si impegna a restituire juxta conditionem condictam inter dictum dominum Regem & stipendiarios suos, oppure a sostituire, mandando al posto suo in Terra Santa, due valenti cavalieri. Da parte loro, il visconte ed il figlio Aimerico, promettono «dicto Bernardo de Durbanno, quod nos dabimus & dare faciemus tibi & socio tuo militi vadia & restaurationem equorum tibi & eidem faciemus, sicut dictus dominus rex nobis dicto Aymerico & sociis nostris & aliis stipendiariis suis dare & solvere ac restituere tenetur» (HGL, t. VIII, coll. 1706-1707). Anche per Roger de Béziers, figlio di Raimon Trencavel, ultimo visconte, è testimoniato un simile contratto; si legge infatti «dans le trésor des chartres du roi, un acte par lequel Roger de Béziers, fils de Trencavel dit vicomte de Béziers, reconnut en 1269 que le roi lui avoit prêté deux cens livres Tournois, en cas qu’il fit le voyage de la Terre-Sainte, comme il s’y étoit engagé, avec six chevaliers & quatre arbalêtriers de sa suite» (HGL, anc. éd., t. III, liv. XXVI, p. 519).
Negli stessi anni anche GlMurs denunciava la medesima situazione in un sirventese del 1269 [BdT 226,2] in Appel, Provenzalische Inedita, pp. 144-146, vv. 23-26: «quar Dieus vol cor fin ab volontat neta / d’ome, que pas mais per luy que per do. // Don tem que moutz n’i aura d’escharnitz, / quar mais los aug querre·l sout que·l perdo». Appare in tutta evidenza dunque come fosse necessario un ingaggio, e quindi un guadagno immediato, per stimolare gli uomini a lasciare abitudini ed interessi quotidiani.
La correzione della lezione del manoscritto in sout risale ad Appel, che ha considerato il lessema al caso obliquo sg.: “la paga, il soldo” del re per i suoi stipendiarii. L’emendamento è stato ripreso anche da Guida.
 
22-23. l’autre dira·n: sono intervenuta sulla persona verbale (dira per diran) perché in questa canzone le occorrenze del plurale dell’indefinito sono sempre sigmatiche: autres (cfr. caso retto ai vv. 28, 34, 35 e obliquo ai vv. 8, 30). In questo caso autre, singolare, è in rapporto correlativo: “l’uno...l’altro”. Tutti gli editori precedenti mantengono la 3ª ps. pl. diran; Guida traduce infatti: “Altri diranno... Altri ancora si giustificheranno...”.
 
25. ve·us: si veda D. T. Mériz, The old occitan verb ve (vec) < vide (eccum), in NM, LXXX (1979), pp. 202-208.
d’aquelhs lur: il rafforzamento del genitivo mediante raddoppiamento è fenomeno frequente nella lirica trobadorica (cfr. Stimming, Bertan von Born 1, p. 238).
 
26. mar: è la forma della congiunzione avversativa attestata con maggiore frequenza nelle poesie di RmGauc (cfr. nota a I, 30), quindi non ritengo opportuno emendarla in mas come banno fatto tutti gli editori precedenti.
 
27. al jutjamen: notevole è in tutta la strofa V e nei primi due versi della VI la suggestione dei passi scritturali in cui si parla del giudizio finale. A quanto già detto nella nota a II, 28 sulla minaccia della dannazione eterna, si aggiunga il seguente passo di FalqRom VIII [BdT 156,12] 25-33, che può essere avvicinato a questi versi di RmGauc: «Quan Dieus dira: “Selh qu’an freytz ni calors / sufert per mi ni lur sanc escampat / e m’an blandit e temsut et amat / e m’an servit e fag be et honors, aquilh seran ab gaug, ses marrimen, / e selhs qu’auran de mi tort e peccat, / ses falhimen, que no·ls er perdonat, / cayran laÿns el foc d’ifern arden” // Adoncs er fag l’ira e·l dols e·l plors». Nel dominio d’oïl, cfr. Thibaut de Champagne, Seigneurs, sachiéz, cit., LIII, 22-28: «Deus se lessa por nos en croiz pener / et nos dira au jor ou tuit vendront: / “Vous qui ma croiz m’aidastes a porter, / vos en iroiz la ou mi angre sont; / la me verroiz et ma mere Marie. / Et vos par qui je n’ai onques aïe / descendroiz tuit en Enfer le parfont”»; Rutebeuf, La complainte d’outremer, vv. 141-143: «Se il vous demande la terre / Ou por vous vout la mort soufferre, / Que direz vous? Je ne sai qoi» (ed. Faral-Bastin, cit.).
 
29. siatz: il gruppo vocalico ia qui non è dieretico, ma conta per una sola sillaba.
 
30. et als autres: la congiunzione, in posizione preminente assume forte valore avversativo.
suffertz affan: un’espressione simile quanto a significato, si ritrova in I, 30-32: «mar selhs qu’auran fag bon captenemen / vais elh, e <qu’en> sofriran caitivatge, / auran s’amor sobre tot majormen» (cfr. nota a I, 31). Cfr. inoltre AimSarl I [BdT 11,1] 16-17: «lo don / c’ai sufert ni l’afan» e 48-49: «mais am sufrir l’esglai / e l’afan...»; BtBorn XXXIV [BdT 80,40] 6-7: «Secora·l Deus, qe·l socors vai tardan! / Sols aura·l prez, qar sols soffre l’affan». Per afan cfr. P. Bec, La doleur et son univers poétique chez Bernard de Ventadour, in CCM, XI (1968), pp. 545-579, XII (1969), pp. 25-33.
 
32. que tot m’avetz conques: il verbo conquerre ricorre frequentemente nelle canzoni di crociata: la riconquista dei luoghi santi significa infatti anche la conquista del paradiso: cfr. Conon de Béthune, Ahi! amours, cit., XXVI, 35-36: «que cele mors est douce et savereuse / donc on conquiert le regne precïeus»; Thibaut de Champagne, Au tens plain de felonnie [S 1152] LV, 17-18: «Cil essauceront son non / et conquerront sa meson» e 23-24: «Phelipe, on doit Paradis / conquerre par mesaise avoir» (ed. A. Wallensköld, cit., pp. 190-192); Anonimo, Tous li mons doit mener joie [S 1738a] XXII, 47-49: «Et li miens cors i ira, / se Dieu plaist, et conquerra / la terre seur Sarrasins» (ed. Bédier-Aubry, cit., 240-243); Rutebeuf, La nouvele complainte d’outremeir, 332-333: «Il n’ont cure de Dieu servir / por conquerre saint paradis» (ed. Faral-Bastin, cit.).
Cfr. anche al v. 48 «pus tost n’er tot conques» in cui si allude ai vantaggi che deriverebbero dall’intervento di Aimerico in Terrasanta per le sorti della crociata, ma anche all’immediata conquista della gratitudine del Signore e quindi del paradiso.
Per tot nelle dichiarazioni di completa e assoluta appartenenza, cfr. Dragonetti, Technique poétique, pp. 283-284.
 
33-34. alegransa: (dol e) cossire: antonimia in rima. Il richiamo è al Vangelo secondo Matteo 13, 49-50: «Sic erit in consummatione saeculi: exibunt angeli; et separabunt malos de medio iustorum, et mittent eos in caminum ignis: ibi erit fletus, et stridor dentium».
 
35. si·ns volem nos altres far grazire / a Jhezu Crist: far grazire è stato inteso nel significato di “rendersi gradito, accontentare, farsi accogliere con riconoscenza” (cfr. SW, IV, 180.6: «“bewirken, dass man an etwas Gefallen findet, beliebt machen”; refl. “sich beliebt machen”»). Al v. 39 agradarserem li agradans»), assume invece il significato di “ottenere gratitudine (e quindi la ricompensa)”, soddisfacendo la richiesta di riparare l’offesa subita da Dio. Guida traduce in questo modo i versi in questione: “Pertanto se vogliamo rendere noi altri diletti / A Gesù Cristo ... /... / ... / E così saremo a lui benaccetti”. Per la costruzione faire + inf., cfr. Jensen, Syntax, § 630.
altres: unico esempio nella canzone di mancata vocalizzazione della l davanti a dentale, di contro alla più frequente forma autres. Sulla sporadica presenza in C di tale esito, cfr. Zufferey, Recherches linguistiques, § 28, p. 149. Azaïs stampa autres, ripreso da Guida che però emenda in autre.
 
37. tost: l’intervento su non del manoscritto è necessario per il senso. La lezione congetturale tost è indotta dalla presenza puntuale dell’avverbio di tempo accanto a passar, quasi a formarne un sintagma: cfr. al v. 6 («passe tost lai on Elh fon trespassans»), al v. 24 («tost passera») e, in modo diverso, al v. 48 («s’ilh passa, pus tost...»). Raynouard e Mahn, volendo mantenere la lezione del codice, hanno invece posto i vv. 37-38 in forma interrogativa: «Passem non lay on elh fon per nos pres / Cominalmens trastotz ab bos talans?», mentre Appel ha preferito emendare in no·n, ma l’interpretazione del verso restava comunque poco chiara. La correzione nos, invero la più economica possibile, risale ad Azaïs ed è stata riprodotta da Guida, che traduce “passiamocene là dove...”.
 
40. temps e razos es: cfr. VII, 17 e nota: «Ar fora temps». Frequente in locuzioni di questo tipo è anche il termine sazos, cfr. per es. AimPeg [ed. Shepard-Chambers, p. 85, BdT 10,11] 31: «A! vengutz es lo temps e la sazos»; PoCapd [ed. Napolski, p. 49, BdT 375,2] 14: «Ar es sazos facham son mandamen», etc.
 
45. Amicx Miquels, digatz me·l sirventes: l’importanza del veicolo letterario come efficace strumento di propaganda e di sostegno all’attività di predicazione ecclesiastica in favore delle spedizioni in Terrasanta, è messa in luce da Guida, Canzoni di crociata ed opinione pubblica, cit., pp. 42-43.
Per il tentativo di identificazione dell’amico “giullare” Michele, al quale Raimon affida il suo sirventese, cfr. capitolo I, «Ricerca biografica e contesto storico-letterario».
Per il vocativo sigmatico, cfr. nota a VIII, 17.
 
46. n’Aimeric de Narbon(a): si tratta molto verosimilmente del futuro visconte Aimerico V di Narbona, figlio di Amalrico IV (1239-1270). Mentre per il padre non si ha alcuna prova documentaria, dalle carte pervenute sappiamo con certezza che egli prestò giuramento e prese la croce, ma non partì, poiché è testimoniata la sua presenza a Narbona nel marzo del 1271. Anche Guida, seguendo le conclusioni di Anglade, propende verso questa identificazione, citando però Amalrico per Aimerico, confondendolo cioè col figlio minore del visconte, Amauri de Pérignan. Notizie più dettagliate a questo proposito si trovano nel capitolo I, «Ricerca biografica e contesto storico-letterario».

 

 

 

 

 

 

 

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