1. conssir: è il pensiero fisso all'essere amato, che sfuma nel desiderio.
2. scemblant: un italianismo per Pelaez 1921, ma cfr. la recens. di Giulio Bertoni, AR, V (1921), pp. 274-78; a questi due interventi sulla grafia di L rinvio per il commento di alcune grafie notevoli del nostro testo (hai 1; deszir 4; aicho22, facha 23). Per la grafia sc-, anche di N, cfr. inoltre Gianfranco Folena, Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete, in Storia della cultura veneta, I, Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp. 453-562, p. 463; poi in Id., Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, pp. 1-137, p. 14.
qi·m fai scemblant ... e salvage: come in "semblan me fa que·l sia trop salvatge" PEsp 342, 2, 24.
3. e fai pechat: Kolsen 1917 emenda il primo emistichio del verso in "et ai pechat", attribuendo alla coordinazione e 4 significato avversativo e interpretando 'e ho sbagliato a renderle omaggio, eppure tutti i miei desideri sono tesi a lei'. Il riferimento mi pare invece essere al dovere della donna di non essere altera e di essere riconoscente a chi le è devoto, per cui cfr. ivi anche il v. 38.
l'hai: Kolsen 1917 lh'ai.
l'hai fach homenage: è una delle formule di ascendenza feudale di cui si sostanzia la lirica trobadorica: cfr. "anc no falsei mon viatge | vas lieis, cui mos cors s'autreja, | pus l'aigui fait homenatge" GcFaid 167, 34, 55; "e·l dezirers m'en fes far homenatge | a leis qi·l ten e son poder assis, " BtBornFils 81, 1a, 20 ecc.
7. fei: il passaggio e>ei della serie rimica fei 7 : mei 8 : mercei 15 : sei 24 (e cfr. forse, all'interno del verso, dei 25 e 26) è un fenomeno mistilingue, tipico di "Grenzzonen": dunque settentrionale (Poitou), ma anche meridionale (Aragona, Navarra, Catalogna), sud-occidentale (Aquitania, Linguadoca) e sud-orientale (Provenza, Velay; ma anche l'Italia: cfr. § 3.3.5). Tali esiti sono "peraltro attestati nella lirica dei trovatori e da ritenere tradizionali" Asperti 1990, p. 100 e p. 336 n. 25-26, con altri ess. Cfr. inoltre Spaggiari 1996, pp. 375-77; Giuseppe Noto, Intertestualità e congettura: proposte di lettura del verso 14 di Compaigno, non puosc mudar qu'eu no m'effrei di Guglielmo IX (con un'appendice sulla rima -ei ), in Filologia romanza e cultura medievale. Studi in onore di Elio Melli, a c. di A. Fassò, L. Formisano, M. Mancini, 2 voll., Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1998, II, pp. 595-621; e Maurizio Perugi, La "licence excusée par la rime", in Métrique du Moyen Âge et de la Renaissance, Textes édités et présentés par Dominique Billy, Postface de Marc Dominicy, Paris, L'Harmattan, 1999, pp. 233-49, p. 242, con altra bibliografia.
8. Si noti la mancanza di elisione in domnacon conseguente sinalefe tra vocali contigue, fenomeno che ricorre in tutto il testo: facha 23, domna 34, joia 40.
9. soplei: nella linguaggio feudale soplegar indica la professione di ossequio e di rispetto nei confronti del signore, omaggio che viene poi esteso alla dama con la supplica d'amore (cfr. Cropp 1975, pp. 212-13).
vas autra no·m vir: cfr. V, 27 e nota.
11. en son ostage: 'come suo ostaggio', oppure 'nella sua dimora, nella sua prigione'. Per quest'ultima accezione del vocabolo (< HOSPITATICUM, attestato in Du Cange 1885, IV, p. 240b; e cfr. FEW 1954, IV, pp. 491-492 e TL 1965, VI, coll. 1352-57) cfr. Asperti 1990, p. 524 s.v. e Gresti 2001, p. 39 n. 45.
12. q'ela·m degnhes auçir: secondo la tipica richiesta di attenzione all'amata, per cui cfr."bona domna, si·m degnatz escoutar" AlbSist 16, 15a, 4 ecc. Per l'accezione del verbo servile degnar in simili giunture, cfr. Maria Grazia Capusso, L'Exposition di Guiraut Riquier sulla canzone di Guiraut de Calanson Celeis cui am de cor e de saber (II), SMV, XXXI (1985), pp. 5-189, p. 165.
13. sol d'aitan: Kolsen 1917 traduce il sintagma con 'so lange'.
14. acuillimen: non è solo 'accoglimento', ma anche 'ospitalità', e perciò 'gentilezza, amabilità', come l'acuillir di Pist 372, 1, 22 ("Al cortes rei, qu'es reis sens vilania | e reis de gauz e reis de largetatz, | reis de domnei e reis de bon solatz, | reis d'acuillir e de dousa paria, | [...] | t'en vai, chansos").
All'origine elemento del cerimoniale feudale della corte, riferito al dovere dell'ospitalità che si imponeva alla nobiltà, il termine passa nel vocabolario della lirica a designare i gesti con i quali la dama accetta il servizio d'amore e ricompensa il poeta: un saluto, uno sguardo, l'invito ad accostarsi a lei, persino l'amore sensuale: cfr. Cropp 1975, pp. 164-66. Acuillimen e gen acoindar rappresentano in questo contesto la riconoscenza minima con cui la dama deve gratificare l'innamorato, la condizione senza la quale il contrat della fin amor non è più rispettato.
16. conort: indica il riconfortarsi, l'incoraggiamento, la consolazione capace di far dimenticare sofferenza e tristezza.
de mos oillz vei: espressione ridondante nella quale, analogamente alla formula epica piangere dagli occhi 'piangere a dirotto' ("qu'ab los huelhs plor, aitan l'am coralmen" ArnMar 30, 12, 24 ecc.), l'azione espressa dal verbo vezer risulta intensificata. Cfr. anche "o no i vei clar dels olhs ab que·us remir" BnVent 70, 1, 56; "En Plus-Leial, s'ab los hueilhs vos vezia" FqMar 155, 21, 27; "e qar non vei dels hueills so que em pes" AimBel 9, 3, 21 ecc.
17. chausir: accompagnato aen significa propriamente 'dirigere la propria scelta su', per cui cfr. SW 1894, I, p. 231 n. 2 e, ad es., "qu'eu ai chauzit en leys cui amarai, | e vos avetz chauzit, si cum eu sai, | en un tal drut que·us fara dechazer" PBar 326, 1, 24-26.
19. coind[e]: 'graziosa, amabile', quasi sempre in coppia con gai.
de tot bon estage: ho preferito dare al sintagma l'accezione figurata di 'buone maniere' (come in "Eu sec cela que plus vas me s'ergolha | e cela fuih que·m fo de bel estatge" BnVent 70, 42, 22-23;"E si mon corage | y met ni assage | d'aver alegrage | del sieu gen cors car, | gentil d'agradage, | de plasen estage, | non cre far follage | car non li truep par" RostBer 427, 3, 29-36 ecc.), che in questo contesto mi pare, nonostante il riferimento al lignage18,prevalente su quella di classe ("Tant es de bel estatge, | rich' e de gran linhatge, | qu'eu no cre, s'ilh o jura, | refut mon omenatge" RbVaq 392, 27, 21-24; "que l'amor | no vol aver ni onor, | ni bels ditz ni bel estage | no·ill donon nuill alegrage | ni dousor, | anz li son fer e salvage" UcSt-C 457, 38, 55-60).
21. al mieu scemblan: la costruzione aggettivo possessivo + sostantivo astratto ha spesso in antico provenzale la funzione di una proposizione subordinata, come ha osservato Frede Jensen, Remarques sur la syntaxe des possessifs en ancien provençal, in Actes du XVIIe congrès international de linguistique et philologie romanes (Aix-en-Provence, 29 Aout - 3 septembre 1983), 8 voll., vol. IV, Aix-en-Provence, Université de Provence, 1986, pp. 215-22, p. 216.
22. lauszar: 'dire soddisfatto' (cfr. SW 1904, IV, p. 342 n. 8 'seine Zufriedenheit bezeugen, sich für befriedigt erklären, zufrieden sein'), o anche 'vantare', come in "ni de sa compagnia no·m lau" Cercam 112, 1a, 1; "D'amor no·m lau, qu'anc non pogey tan aut | qu'atertam bas non sia dessendutz" RbVaq 392, 10, 1-2; "mas d'amor no·m lau de re" GlAdem 202, 5, 3 ecc.
23. m'autrei: 'mi dono, mi sottometto'.
25. dei: come nel v. successivo, III pers. sing. dell'ind. pres. (a. prov. deu), che Billy 1995, p. 130 registra quale "poitevinisme" in W; il tratto verrebbe confermato da ou 30, forma a sua volta presente in W. Mi chiedo se tale forma debba essere collegata alle altre forme in -ei segnalate nella nota al v. 7.
Si osservi la posizione anastrofica del soggetto, ma domna.
retenir: termine tecnico del vocabolario cortese, ancora una volta proveniente dal linguaggio feudale, dove designa propriamente la relazione giuridica tra signore e sottoposto con il senso di 'tenere come vassallo, prendere al proprio servizio': cfr. Du Cange 1886, VII, p. 161 s.v. retinere n. 1; e Melli 1978, p. 166 n. 27. Nei trovatori il verbo allude all'atto con cui la dama accettava per suo cavaliere il poeta che le indirizzava le proprie canzoni: cfr. Glynnis M. Cropp, L'apr. retener: son sens et son emploi dans la poésie des troubadours, in Mélanges Rostaing, I, pp. 179-200; Ariane Loeb, Le sens de la dépendance à travers la poésie courtoise (XIIe siècle), in Les sociétés méridionales à l'âge féodal. Hommage à Pierre Bonnassie, textes réunis par Hélène Débax, Toulouse, CNRS-Université de Toulouse, 1999, pp. 305-10.
26. alqes: 'una parte considerevole'.
27. fe clar visage: in segno di benevolenza nei confronti dell'innamorato.
28. fai: nel manoscritto il verbo è seguito dall'apice ) che nel manoscritto L indica il punto interrogativo, per cui cfr. Maria Careri, Interpunzione, manoscritti e testo. Esempi da canzonieri provenzali, in Miscellanea Roncaglia, I, pp. 351-69.
29. be leu: nella lingua dei trovatori il sintagma serve ad esprimere "une possibilité, une situation hypothétique, une supposition, etc. concernant un événement, une conjoncture, un état de choses" (Lars Lindvall, Remarques sur l'usage et l'histoire de l'adverbe occitan lèu, RR, XVI (1981), pp. 74-97, p. 81).
31. penria: per il significato di prendre, cfr. SW 1910, VI, 510 n. 9 'annehmen'. Si osservi la cesura femminile.
en luoch de rei: espressione topica, per cui cfr. "ni vuelh esser en loc d'emperador" BgPal 47, 8, 20; "Qu'ieu no vuoill reis esser ni emperaire | que non agues en lieis mon pessamen" Peirol 366, 3, 21-22 ecc.
32. domnei: è propriamente la corte che si fa a una dama, il servizio cortese d'amore, per cui cfr. Cropp 1975, pp. 216-17.
33. graszir: è qui intransitivo e significa, 'piacere, farsi amare e apprezzare'.
34. tot bel usage: locuzione simile in Gaucelm Faidit "bell'es e pros, franch' e de bel usatge" 167, 59, 51, verso tradotto da Mouzat 1965, 30, p. 249 'elle est belle, et accomplie, franche et de commerce agréable'.
36. fa: la correzione è proposta da Jeanroy 1914; Kolsen 1917, che unisce il v. 36 al v. 33, propone invece en so jovent.
Secondo Spitzer 1914, i due infiniti del v. 36 dipendono dal sintagma avinen e sage 35, "et tous ses faits sont plaisants et avisés à faire valoir sa jeunesse".
37-38. Per l'espressione topica, cfr. "et enqer m'es plus greu a sofertar | car en midonz trob ren ad esmendar; | mas ja no·il calgr' esmendador, | si·lh preses dols de ma dolor" GuiUss 194, 8, 43-45.
39. aicel qi: Guida 1983, p. 124 ricorda come sia una caratteristica dei poeti e dei prosatori occitanici ed oitanici del XII e XIII secolo far riferimento a qualcuno con una frase o addirittura con un insieme di proposizioni, quasi sempre introdotte da cel que, cil que; tale tendenza è confermata nel nostro corpus da V, 4; VIII, 10; XIII, 8.
fesz: è verbo scritturale per indicare l'attività creatrice di Dio.
en sa lei: Giulio Bertoni interpreta questi versi 'colui che fece nella sua legge il suo bel corpo', cioè 'Dio che la fece cristiana', e propone quindi di tradurre 'Dio, che la creò nella sua religione, mi conceda di gioire di lei' (AR, I, 1917, p. 135). E se il sintagma valesse 'a sua immagine'?
40. me don sa joia: letteralmente 'mi doni la sua gioia (della donna)'.
o·m seiornei: credo che la -n della lezione manoscritta (en) possa nascere dalla sbagliata collocazione da parte del copista di un titulus che indicava presumibilmente il pronome enclitico di I pers. sing. -m. A questo punto basta l'integrazione di una s- per dare quella che potrebbe essere un'interpretazione plausibile.
Quanto al verbo seiornar, preferisco conferirgli l'accezione pregnante di 'provare piacere, avere gioia' (cfr., tra tutti, "car en s'amor me deleih e·m sojorn" BnVent 70, 12, 6), rispetto al significato più neutro di 'trattenersi, soggiornare', perché è proprio nella cambra che spesso si realizza l'ideale amoroso: cfr. "jausirai joi en vergier o dins chambra"ArnDan 29, 14, 6; "q'en breu de temps m'auran li sospir mort | se eu a vos en chambra no·m deport" FqRom 156, 8, 22-23 ecc.; cfr. inoltre il sintagma "joy de cambra" in Gavaud 174, 6, 43 'gioia di talamo', mentre per la contiguità di sojorn (qui s. m.) e cambra, cfr. "Mal resembla al bon prebost son oncle, | en cui bons pretz fai per soiorn sa chambra" GlSt-Greg 233, 2, 5-6.
Kolsen 1917, che legge nel manoscritto o en dornei, ha adottato per il secondo emistichio del verso la lezione en chambr'o en arnei, traducendola "in der Kammer (im vertraulichen Umgang) oder im Putz (in Gesellschaft)". Spitzer 1914 ha invece proposto altre due interpretazioni: il testo potrebbe essere corretto in on me domnei (da domnejar 'praticare la cortesia', al congiuntivo) e tradotto "que celui qui fit son gentil corps d'après son image [lei 'manière'], [c.-à-d. Dieu], me donne sa joie [de la dame] dans la chambre où elle devrait m'accueillir"; oppure, ma l'ipotesi convince meno, si ricostruisce un sost. domnei che, a differenza della rima 32 dove significa normalmente 'servizio d'amore', sarebbe una formazione su domejon 'donjon', e il sintagma en cambr'o en domnei diventerebbe allora una variante della formula en cambr'o en vergier. Partendo dalla lezione manoscritta letta da Kolsen o en dornei, Bertoni opterebbe per la forma "donei (o sta per dosnei, forma secondaria di donei, domnei? [cfr. a. franc. dosnoi, dornoiement ecc.]: 'in camera, o durante le nostre conversazioni amorose'. Penso anche a un possibile emendamento, dato che donei non piaccia e che dosnei non paia accettabile, di en dornei in a desrei" (AR, I, 1917, p. 135 n. 1).
41. bel estar: variante, ugualmente in rima, di bon estage 19r. Il verbo è sostantivato anche in"q'es larcs e pros, francs e de bel estar" CtRod 185, 1, 2.
42. qe no·i pod hom nuilla ren esmendar: in quanto la donna amata è perfetta per definizione, come già ribadito al v. 37; cfr. inoltre "car en midonz trob ren ad esmendar" GuiUss 194, 8, 43.
43. q'ieu: Jeanroy 1914 corregge il testo in q'ie·m.
44. membrara: si noti la costruzione impersonale del verbo membrar, analoga ad alcuni verbi latini che indicano un sentimento dell'animo (misěret, paenĭtet ecc.): la persona che ricorda è in accusativo, la cosa o la persona ricordata in genitivo. Cfr. inoltre "lo vers tramet midons per tal coven | qu'a tot lo menhs, s'autre pro no m'en ve, | quan l'auzira, li membrara de me" Peirol 366, 21, 43-45; "quan del sieu honrat senhoratge | nos membrara e de l'honor" GlAug 205, 2, 33-34.
Per il futuro utilizzato anche come imperativo, cfr. Jensen 1986, § 786, p. 265 e § 807, p. 273. |