In questo componimento, il Cigala traccia, per così dire, il suo programma poetico. Egli non ama il «trovar chiuso» contesto di parole oscure, ingegnose e intrecciate con «prima maestria» (v. 4). Egli vuole che i versi siano chiari come la luce del giorno e sdegna coloro che criticano l'altrui lavoro poetico, pur non sapendo fare altrettanto. Si capisce che per il Cigala è cosa più ardua poetare chiaramente e trasparentemente che secondo la maniera «chiusa» con rime «ricche» o «care». Nel che gli daremo ragione, tanto più ch'egli medesimo sapeva, quando voleva, poetare con ingegnosità e quasi con artifizio. Si leggano le nostre osservazioni a p. 154-155 di questo volume. Era, dunque, il Cigala un buon giudice in fatto di poesia, oltre che un buon poeta.
1. prim «arduo, oscuro, serrato». Cfr. la nota al v. 69 del testo n. LX e Coulet, Montanhagol, p. 79.
6. sabers. Ha un senso molto lato; ma non dubito che qui il vocabolo sia applicato specialmente all'arte del poetare. Tutti sanno che quest'arte fu chiamata più tardi in provenzale, con particolare riguardo al «consistori» dei giuochi floreali, gaia scienza anche gai saber. Queste due espressioni erano sinonime. Cfr. Chabaneau, Origine et établissement des Jeux Floraux, Toulouse, 1885, p. 9: «Del gay saber mantenedors»; Rajna, Tra le penombre e le nebbie della «gaya scienza» estr. dalla Misc. Crescini, in corso di stampa, p. 6; F. De Gélis, Histoire critique des Jeux Floraux, Toulouse, 1912 (Romania, XLII, 446). Non è senza importanza, dunque, trovare «saber» nel Cigala usato quasi come sinonimo di «poetare», poichè è certo che nel passo del nostro trovatore si ha un'allusione all'arte della poesia. Si noti, però, che manca ancora l'agg. gai.
11. Tant tost.... qan, «così subito.... come; così bene.... come». Aitan di IKa va naturalmente cambiato in tan, per la misura del verso. Invece di qan, per il secondo termine, si ha anche con, per es. nel «Jaufre» v. 34 (Appel, Prov. Chrest. 4, n. 3): E aitan tost co·l iorns faillis.
15. ab serran lia. Forse lo stesso senso di «legame, corda» si ha nel lhia di Bertr. d'Alamanon: Senhors, ar esgardatz — Si sui ben a la lhia (Salv. De Grave traduce: «lien, corde»; mentre il Rayn. interpretò «lie»). Il Levy, IV, p. 394 si chiede se lya abbia il senso di «legame» o di «lega» nel passo Qu'en breu de temp hom desfassa lor lya (Joyas, p. 63, l. 9). Anche il passo di Bertr. d'Alamanon è oscuro; onde un solo esempio certo rimane di lia «legame».
17. lo. L'Appel (n. 32) corregge lo in la; ma qui potremmo avere un italianismo (v. questo vol. a p. 168) del trovatore italiano.
20. m'abriu, «mi getto a», dunque, a un di presso: procuro di cantare chiaramente.
21. qi m·en tenia. Il pron. relativo in simili congiunture concessive ( si quis) va costruito con l'indicativo. V. nota a XVII, 22.
22. contav' a folia. Ritengo che contar a folia abbia il senso di «rimproverare». Folia ha il senso di «rimprovero» in un passo almeno di P. Cardenal: Mas li autre(s)n'an lauzor — Et ilh la folhia (Mahn, Werke, II, 193).
30. trair'aiga de clar riu. Proverbio citato dal Cnyrim, Sprichwörter, p. 49.
32. envei' ab feunia. L'Appel ha stampato enoi «noia», ma io preferisco leggere envei(a) che meglio si accorda, per il senso, con tutta la frase.
42. bela paria «Paria» significa veramente «compagnia»; «donna... de bela paria» è poi la donna che sa bene accogliere, che è affabile e cortese.
45. val tan per cortezia. Intendo: «è tanto cortese». Appel stampa: que li cal tan cortezia.
48. m'a mes en tal via. Cfr. G. d'Esp., Gen m'ausi, vv. 8-9: E muer mi s'ela no·m met en via — Qu'ieu lai sia on mal' anc la vi.
NOTA SU QUALCHE PASSO DELLE RESTANTI POESIE DI LANFRANCO CIGALA
La ragione, per cui non compaiono qui tutti i testi del Cigala, è già stata indicata a p. 95 n. 3 di questo volume. Faccio seguire qualche osservazione su alcuni passi di qualche componimento non incluso nel numero delle poesie da me criticamente ricostruite e pubblicate.
Raimon Robin, eu vei qe Deus comenza. Componimento conservato in I (c. 84d), K (c. 78b) e a (p. 398) e edito dal MAHN, Ged., 616 secondo il ms. I. Non si sa sicuramente chi sia questo Raimondo Robino o Rubino, ma è probabile che si tratti di un italiano, anzi di un genovese (cfr. p. 134). Il Cigala gli dice (vv. 17-20):
Raimon Robin, en vos no vei guirenza
Si no·us metes del tot en la deviza
De los Frances com son cil de Proenza,
Pois seres sers e per chaut e per biza.
Questo testo è assai duro. Mi fermo su un solo passo, cioè sul v. 4 della str. II: e que tornetz raidelron en camiza. Tutti i mss. hanno raidelron (per errore, il Mahn ha stampato raidelren). Si tratterà di un fallo di un copista, che prese un nu- per rai-, un t per l, un n per r e un u per n, poichè a me par certo che si debba emendare: nud et nou en camiza. La locuzione nud (nut) en camiza è, d'altronde, ben conosciuta, per es. Flamenca² 6130: Ve·us m'aici a vostra guisa — Tota nudeta en camisa. Bernart de Ventadorn: Anar puosc ses vestidura — Nutz en ma camisa (Tant ai). In ant. franc. Fabliaux, IV, 107: E fu toz nuz en sa chemise (KNÖSEL, Das altfranz. Zahlwort, Erlangen, 1884, p. 48). Quanto a nou, si cfr. Peire Raim. de Tolosa: sa gran beutat son gen cors nou e clar (MAHN, Werke, I, 137). Assai frequenti sono le locuzioni nou cors prezan, nou cors gent, ecc.
Lantelm, qui·us onra ni·us acuoill. Testo indirizzato a un giullare chiamato Lantelm. Si legge nel solo ms. H (n. 254), in cui ci è stato tramandato con molte imperfezioni e con parecchi guasti, a sanare le quali e i quali gioveranno, parmi, le osservazioni seguenti: v. 2 ms. saenssa. Corr. scienssa, vv. 9-10: mas entre nos cenom be ioill Da bona semenza. Quel cenom non dà senso. Correggo: cern om, cioè: «tra noi, si distingue bene il loglio dalla semente buona» che è quanto dire: «siamo abituati a distinguere il male dal bene, il buono dal cattivo». V. 11 las. Si corregga: la (Per qe la meton ssai en moill), riferendosi questo la a semenza. V. 12 qar son. Corr. qan es. V. 13 Mas fort faillon Breissan part oill. Il LEVY, Suppl. Wb., IV, 183 pone dei puntolini al posto di part oill, citando questo passo. Credo che si tratti di Oill, cioè del fiume Oglio. I Bresciani rispetto ai Genovesi sono infatti part Oill, «al di là dell'Oglio». V. 29 cusdar. Emenderei in cuidar e correggerei così i vv. 25-32:
E ges no·s taing
Dir aur d'estaing
Ni taing donar
Ni far
Cuidar
[Ioglar]
Uei mais qe·l tegnon car,
Car es [d'avol] tenensa.
Il poeta allude sempre a Lantelm, a cui dice il fatto suo. Il ms., anzi che Uei mais qe·l ha uei qes. Propongo l'emendamento con assai esitazione. Vv. 42-43: Qar vos laisset qes de Cardoil L'enoi per tenenza. In questo qes, sia che lo si accetti tale quale, sia che lo si corregga in Qeus o Qeis o anche Qei, avremo «Keu», il famoso Keu, della cui indole fastidiosa parlano i romanzi cavallereschi. Keu lasciò dunque in eredità a Lantelm il «fastidio», la «noia». V. 54 ab qe dartimalec. Corr. forse aja d'Artimalec e si compari Marcabru (ediz. Dejeanne, p. 101): Del vostre bec, — N' Artimalec, — No is jauzira ja crestians. Suchier (Jahrb., XIV, 150) pensa ad Abimelech della Bibbia. Vedasi, per questo componimento: BERTONI, Due note provenzali (estr. dagli Studi mediev., vol. III), p. 31.
Ges eu no vei com hom guidar si deia. Mss.: I, c. 94a; K, c. 77d; a, p. 396; F, p. 147; Dc, c. 259a (vv. 41-50). Ediz. RAYNOUARD, Lex., I, 476; MAHN, Werke, III, 126; STENGEL, Prov. Blumenlese der Chigiana, 52; TEULIÉ-ROSSI, Anth. de Ferr., p. 60, n. 190.
5 sgg. de tan pauc non es om offendenz — Si tot o fai desapensadamenz — Que non sia malvolgutz e blasmatz ecc. Il poeta vuol dire, in questa prima strofa, che per quanto poco alcuno offenda o nuoccia ad altri, anche se ciò fa senza cattiva intenzione, ne ottiene sempre biasimo. Ora, come mai non ottiene altrettanta lode colui che giova ad altri? Perchè mai il bene non procura gratitudine in misura uguale a quel torto che è procurato dal male? Ciò, dice il Cigala, è un giuoco disuguale, è una partita impegnata a condizioni impari. Ond'egli non vede com hom guidar si deia!
Mi limiterò a riprodurre, criticamente ricostruita, la strofa III (vv. 21-30) di questo componimento dedicato a flagellare i torti e le falsità del mondo:
Dieus fon traitz, per que no·s taing q'om creia
Semblan ni ris ni salut de trachor,
Car denan ri e mostra far honor
E pois detras poing l'amic e·l guerreia;
5 Non pot esser plus mortais faillimenz;
Qar de Juda qui si pendet als venz
Sabem per cert qe no·il fon perdonatz;
Mas ieu sivals meillor coven lur fatz:
Sol pendan si li fals qe trait m'an,
10 Qu'ieu lur perdon mon enueg per lor dan.
[Varianti: 1 Deus F. 2 mais en salutz ni en ris de trachor F. 3 deuan a; ri in a ricavato da ti; e sul rigo in a. 5 e non es tan mortais nultz faillimenz F. 6 quadonc (qadonc a) Judas qui (qi Ka) sen p. IKa. 7 sap hora (hora sottolineato in a dal correttore del ms.) IKa; fon] son a. 8 eu F; lor F. 9 si se pendon li f. qui F; pendan in a con -an corr. su -am; trait ricavato in a da uan. 10 que I; eu lor p. m. enoi F; son dan IKa].
È da notarsi, al v. 6, l'allusione a Giuda «qui si pendet als venz». Anche nel serventese Honratz es hom (edito dal KOLSEN, Archiv, CXXIX, p. 467 e vedasi questo vol. a p. 13, n. 1), che il Kolsen non sarebbe alieno dall'attribuire al Cigala, si legge (v. 45) che Giuda al ven se·n annet pendre. Aggiungasi che Sail d'Escola nel componimento Gran esfortz fai (CHABANEAU, in Rev. d. lang. rom., S. III, T. XI, p. 218) scrive: E [car chanti d'am]or d'amia morta — Menhs ai de sen — Que non ac selh que culhic la redorta — Don fo pendutz al ven. Chabaneau pensava che vi si contenesse un'allusione a un romanzo perduto. Chissà che il poeta non alluda unicamente alla morte di Giuda? Ev. di Matteo, XXVII, 5: «Et proiectis argenteis in templo, recessit, et abiens laqueo se suspendit».
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