Della canzone colpiscono le numerose reminiscenze guglielmine (le rime in -au della IV cobla e in particolare mau 24 : ostau 27 di GlPeit 183, 7, 24 : 30; le rime orgueill 29 : acueill 30 : sueill 31 di 183, 10, 33 : 34 : 35; neent 17 in rima come in 183, 7, 1 e fais 37 come in 183, 10, 31; adonc mi membre 5 | enquer me membre 183, 1, 19; il verbo guerpirai 23, per cui cfr. 183, 10, 41; il topos di 183, 6, 25-26 ecc.) , trama di rapporti che si inseriscono nella cornice di uno schema metrico mutuato da Be voill que sapchon li pluzor GlPeit 183, 2.
Senza chiarirne troppo i motivi, Beck - Beck 1938, II, p. 106 attribuisce A l'entrada del tans florit a Jaufre Rudel. Rostaing 1973 osserva invece che la presunta incoerenza nella successione delle idee farebbe pensare a un autore appartenente all'ultima generazione, ma il fatto che il manoscritto sia stato copiato nel XIII sec. e che le coblas siano singulars, segno quest'ultimo di arcaismo metrico, fa ritenere che la canzone sia stata scritta alla fine del XII sec. o nel corso del XIII sec.
1. A l'entrada del tans florit: cfr. A l'entrada del tens clar An 461, 12; e inoltre Bels m'es l'estius e·l temps floritz JfrRud 262, 1; Pel joi del temps qu'es floritz GcFaid 167, 45; Ja ogan pel temps florit AdNegre 3, 4.
3. lai: ha un ampio ambito semantico che traduce grosso modo il latino cantus. Nel Donatz proensals il termine è infatti chiosato "lais .i. dulcis cantus" e in molti inizi stagionali definisce, insieme a voutas, critz, refrim, sos ecc., una delle possibili modulazioni del vario cinguettio degli uccelli; per l'ampia gamma di significati di lais (di solito al plurale) nell'uso trobadorico, cfr. R. Baum, Les troubadours et les lais, in ZrPh, LXXXV (1969), pp. 1-44 e, su come il termine sia passato ad indicare diversi tipi di componimenti con musica, cfr. Canettieri 1995, pp. 282 sgg.
4. cil: il dimostrativo in funzione di articolo.
auseillon petit: si noti la presenza di due diminutivi; quello suffissale (-llon), in particolare, è francese (oiselon in TL 1965, VI, col. 1051), di contro all'a. prov. auzelet, auzelit.
6. en lonc oublit: amor avrebbe dimenticato il poeta. Il sintagma potrebbe però riferirsi anche a quello stato catatonico dell'amante, sospeso tra "lou viure et morir" 8, legato per sempre all'immagine della lauzeta di Bertran de Ventadorn, "que s'oblid'e·s laissa chazer" BnVent 70, 43, 3; cfr. inoltre "Atressi con Persavaus | ... | qu'eissamen | m'oblit quan vos remir" RicBarb 421, 3, 9-10; "qu'ab un ris et ab un esgar | mi fai mi mezeis oblidar" PVid 364, 22, 51-53 ecc.
Rostaing 1973 traduce 'alors je me souviens d'un amour que j'ai oublié depuis longtemps'.
7. no·n secor: per la rappresentazione con - n della forma ridotta per enclisi del pron. pers. me (presente anche in se·n 12, que·n 27), cfr. § 3.3.4.
Rostaing 1973 'à moins que je ne demande du secours à Fine Joie'.
10. detenir: letteralmente 'trattenere in prigione'.
11. ab: I sg. ind. pf. analogico, per cui cfr. il v. 21? L'ipotesi è formalmente e linguisticamente irreprensibile, ma ha il non piccolo difetto di postulare un hapax sulla base di una forma già di per sé molto rara. Le difficoltà non si supererebbero se anche qui si ipotizzasse un perfetto di III sg. riferito alla donna: le analoghe espressioni reperibili nella COM sono infatti sempre riferite al poeta, come sembra richiedere del resto anche il nostro contesto, e inoltre bisognerebbe conferire a pos l'accezione non attestata di 'una volta che', 'se è vero che'. Appel 1890 ai.
12. tant: le forme tan e tant sono equivalenti e egualmente diffuse, ma l'avverbio termina proprio dove la carta è stata strappata; dalla giustificazione delle altre righe è lecito supporre la caduta di una lettera.
13. que mi laissast ses mans tenir: variazioni sul tema sono quelle di "des q'ie·us baisiei las mans, si·m dolsezi" AimPeg 10, 7, 46e "tro·m denh sas belas mans tendre" BnFon 62, 1, 54.
14. aurai: normale il futuro invece del condizionale nell'apodosi del periodo ipotetico provenzale della possibilità.
15. per oc: con valore coordinante conclusivo rispetto ai vv. 11-14.
hardiment: sul significato del termine, cfr. Antoine Tavera, Ardimen: un topos négligé, in Actes du premier congrès international de l’AIEO, édités par Peter T. Ricketts, London, AIEO - Westfield College, 1987, pp. 494-512.
Rostaing 1973 suggerisce la possibilità di leggere sai dic al posto di s'ai dit.
16. L'interpretazione del v. 16 si appoggia su analoghe movenze di sintassi e contenuto quali «donx, dous'amia, | no·m sia dans | s'ieu ai dit | outracuidamen, | quar languit | ai tan malamen, | per que·us crit | merce umilmen» GrCal 243, 5, 27-34; cfr. inoltre «Ar sai eu be qe dit ai faillimen, | qar no·l pessei qan diss tan grantz folors. | A lei mi ren merce per sas dolchors, | q'ades de cel q'ieu dis ieu me repen» RicBarb 421, 8, 28-31.
Per evitare il brusco passaggio dalla I alla III pers. sg. dei vv. 16-17, un'altra ipotesi potrebbe essere quella di considerare eu un pron. di III pers. sg. maschile per el, che, come è noto, nella lirica trobadorica può essere riferito anche alla dompna ('che essa non consideri alcun errore'). La forma compare ad esempio nel Boeci (cfr. Appel 1930, p. XIII).
17. far me poc de neent: quella di plasmare una nuova creatura dal nulla è facoltà divina ("pres del tieu filh que m'a fach de nien" G lHautp 206, 1, 31; e cfr. gli ess. catalani riportati da DECLC 1985, V, s.v. no p. 942), condivisa anche dalladonna amata ("si no·m aizis lai on ilh jai, | si qu'eu remir son bel cors gen, | doncs, per que m'a faih de nien? | ai las! com mor de dezire! | vol me doncs midons aucire, | car l'am? o que lh'ai falhit? | ara·n fassa so que·s volha | ma domna, al seu chauzit, | qu'eu no m'en planh, sitot me dol" BnVent 70, 27, 46-54; "m'a faih ric ome de nien" BnVent 70, 15, 42; "que vos m'avetz fag de nien" 167, 1, 35; "qu'ela m'a fait de nien" 167, 31, 54; "silh que de nien m'avia" GcFaid 167, 43, 27).
Rostaing 1973 legge pot, III pers. sing. del pres. ind., che propone di emendare in poc, forma interpretata come una I pers. (e non una III) sing. del perf. ind.; nel manoscritto invece io leggo poc, pur con qualche difficoltà dovuta alla contigua presenza di un buco.
18. causiment: cfr. Cropp 1975, pp. 177-82.
20. un an vertent: per l'espressione, cfr. SW 1924, VIII, p. 695 n. 4 e "Si vol triar un drut a desonor | e puois o tard' un an o plus verten, | majer viltatz es, segon sa ricor, | que si·n breu temps ames tal qe·il fos gen" GlSt-Did 234, 4, 41-44.
21. ab: III sg. ind. pf. (< HABUIT), tipo per ora attestato unicamente nel frammento in fancoprovenzale del Roman d'Alexandre di Alberic de Pisançon ("mias non i ab un plus valent" 23 ecc.) e sul qualesi è recentemente soffermato Ulrich Mölk nell'edizione curata insieme a Günter Holtus (Alberics Alexanderfragment. Neuausgabe und Kommentar, ZRPh, 115 (1999), pp. 582-625, pp.597 ss.), con rassegna delle varie ipotesi formulate a proposito (esito schiettamente etimologico, la cui conservazione - si può aggiungere - non dovrebbe sorprendere in zona periferica? 'Mischform'?).
22. me blasm' et lau: dittologia ossimorica frequente con i sostantivi corrispondenti, per cui cfr. "acel q'en vol blasme ni lau" Cercam 112, 2, 53; "e non prezon blasme ni lau" Marcabr 293, 33, 35; "si·lh n'eschai blasmes o laus" GrBorn 242, 67, 7 ecc.
24. lou ben: forma asigmatica di nominativo singolare, che ho preferito non normalizzare; ben soggetto compare anche in AlbSist 16, 2, 24, AlbSist 16, 9, 29, e ci si chiede quante -s siano aggiunte dagli editori nelle occorrenze di bens. Per le numerose infrazioni alle regole flessionali, "già numerose –specie per i sostantivi della terza declinazione – presso i trovatori dell'epoca classica" e "ricorrenti – e per ogni tipo di declinazione – nei testi del XIII sec." cfr. Saverio Guida, L'attività poetica di Gui de Cavaillon durante la crociata albigese, CN, 33 (1973), pp. 235-71, a p. 253 n. 1; cfr. inoltre Luciana Borghi Cedrini, Recuperi linguistici nella tradizione manoscritta dei trovatori (per l'edizione critica delle opere di Peire Milo), in Atti Wien 2001, pp. 17-79, alle pp. 172-73.
26. per oc: si ripete il sintagma del v. 14.
credator: per creadoro creator.
28. preis: la stessa forma del v. 31 per prez / pretz, per cui cfr. § 3.3.5.
emperador: Rostaing 1973 ha giustamente osservato che spesso il paragone con l'imperatore è associato al raggiungimento della donna: cfr. ad esempio “Assatz val mais qu'emparaire, | si desotz son mantel vayre Josta son belh cors m'aiziu" BnMarti 63, 8, 33; “Ben aurai, dompna, grand honor | si ja de vos m'es jutgada | honranssa que sotz cobertor | vos tenga nud'embrassada; | […] | sol del pes ai mon cor gauzen | plus que s'era emperaire!” RbAur 389, 32, 17-24 ((Milone 1998); “Qan sui nutz e son repaire | e sos costatz tenc e mazan, | ieu no sai null emperador, | vas me puesca gran pres cuillir | ne de fin'amor aver mais” BremRasc 104, 2, 17-20.
29. per ceste amor ferai orgueill: quando è imputabile ad amore, l'eventuale atto di presunzione del poeta diventa scusabile ("S'ieu qier mais que non deig, | sa gan beutat n'ochaiso | qe·m forss'e·m fai l'orguoill dire" RmVaq 392, 18, 27-29; "Per qu'ieu fatz orguelh, ben o sai, | quar l'am" Sord 437, 23, 17-18 ecc.). Per il resto, la locuzione faire orgolh (analoga a demenar org. e se dar org.) è diffusissima nei contesti più diversi (riferita all'amore, alla dama, al poeta che, appunto, troppo osa ecc.).
33. ia ... no·n ...: introduce una proposizione ottativa in forma negativa.
34. brueill: rappresenta l'ambiente naturale nel quale, appartati da occhi indiscreti, gli innamorati riescono a concludere. È qui che non a caso sempre avvengono gli incontri tra cavaliere e pastorella. Cfr. inoltre VII, 12.
36. ab un petit: è l'avverbio anche provenzale un petit 'un poco, un poco di', che si fonde con l'uso preposizionale francese a (bien) petit, per cui cfr. TL 1969, VII, s.v. petit col. 859.
37. fais: l'immagine di un pesante fardello (cfr. il Donatz 1599: fais 'onus', in Marshall 1969) è frequente sia come metafora amorosa (le sofferenze generate da un'infelice relazione) che religiosa (i peccati che gravano sull'anima); alcuni esempi se ne trovano in Pfister 1970, p. 689 ( sofrir lo fais); Pasero 1973, pp. 292-93 n. 31; cfr. inoltre VIII, 22 e XX, 14.
38. en biais: 'di traverso'. Spesso sono i lauzengiers a tornar en biais l'amore, a snaturarlo trasformandolo in falsità: "e van dizen qu'Amors torn'en biays" Cercam 112, 3a, 21; "ni l'amors no·s torn en biais" ArnTint 34, 3, 18; "e, quar ades tot lur voler non an, | ill vaun dizen c'Amors torn en biais" GcFaid 167, 49, 12; in un contesto più generale cfr. inoltre "e, si res li torn'en biais | et apro lo ben ven l'esmais" GlSt-Did 234, 7, 46-47 e "e·l dreg tornon en biais" PCard 335, 41, 9. La locuzione non ha invece una sfumatura negativa ma neutra in "totz lo mons torn'en tal biais" PVid 364, 35, 25, tradotto da Joseph Anglade, Les poésies de Peire Vidal, Paris, Champion, 1923, p. 101 'le monde est de telle sorte que...'.
La stessa rima pantais 42 : biais 49 : fais 56 in JfrRud 262, 1; inoltre "ni vir mon fin cor en biais, | pero trop mi carguet greu fais" GcFaid 167, 54, 20-21.
39. en pantais: come è normale quando si tratta di amore; cfr. per tutti " En greu pantais sui feblezitz" BnVent 70, 40, 25; cfr. inoltre VIII, 8 e nota.
41. eschais: l'amore è fonte di scherno anche in "De re non es hom tan sazitz | ni a tan leu jois ni esmais, | ni non port om tant greus eschais | cum Amor" GcFaid 167, 54, 10-12.
42. refretor: per sineddoche il convento, come in "C'auia, car sermonans | me bat, cel nofezans | qu'eu no volh refectors | ni reglas de colors" GrBorn 242, 32, 82-85; "don mil monge dins refeitor | preian, ploran, nostre Senhor" Torcaf 443, 4, 27-28; "E digas me per que | yssitz del refreitor" Falc 192, 2a ~ GuiCav 147, 2, 11-12 ecc.; cfr. inoltre "Que fotres m'ac tal labor | qu'eu'm laissei la clerzia, | e teng mon vet per prior | e lo con per refreitor" Lamb 280, 1 ~ BtAur 79, 1, 7-10.
Il topos del ritiro in convento risale alla chansoneta nueva di Guglielmo IX ("Qual pro i auretz, s'ieu m'enclostre | e no·m retenetz per vostre?" 183, 6, 25-26). |