In un sirventese scritto durante la cattività di Riccardo Cuor di Leone (fra il 14 febbraio 1193 e il 4 febbraio dell’anno successivo (1)), Peire Vidal aveva espresso considerazioni molto simili a quelle di Folchetto: già Stroński (cfr. p. 176) annoverava il testo, PVid 364,35 A per pauc de chantar no·m lais (VI), fra quelli che avevano preparato il terreno alle allusioni non del tutto trasparenti del marsigliese (2), mentre rapporti con le coblas III-IV sono stati segnalati da Avalle 1960, I, p. 69 (3). Ma anche l’inizio del componimento (vv. 1-4):
A per pauc de chantar no·m lais
quar vei mort jovent e valor
e pretz, que non trob’on s’apais,
c’usquecs l’enpeinh e·l gieta por;
|
ha notevoli assonanze con l’ incipit folchettiano, dove la difficoltà del canto è motivata dalla morte di chi, Barral, incarnava i valori di «pretz e messios / aissi cum s’anc res non fos» (vv. 70-71); altri rapporti significativi con PVid sono mostrati nella parte I, § 3.2.1.2.4.
1-12. Una motivazione del tutto analoga per la composizione di un sirventese è in BtBorn 80,34 (XXI), 17-18: «C’om ses dompna non pot far d’amor chan, / mas sirventes farai fresc e novel» (si vedano in proposito le considerazioni di Beltrami 1998, pp. 26-31): esiste infatti un legame diretto fra ‘buon canto’ e fin’amor, come si ricava, per fare un esempio tanto noto quanto paradigmatico, dalla prima cobla di BtVent 70,15 (XV), 1-7: «Chantars no pot gaire valer, / si d’ins dal cor no mou lo chans; / ni chans no pot dal cor mover, / si no i es fin’ amors coraus. / Per so es mos chantars cabaus / qu’en joi d’amor ai et enten / la boch’ e·ls olhs e·l cor e·l sen».
7. la: nel confrontare l’attacco del componimento con un celebre esordio rudeliano: «Non sap chantar qui so non di / ni vers trobar qui motz no fa, / ni conois de rima co·s va / si razo non enten en si» (JfrRud 262,3 [I], 1-4; miei i corsivi), oltre che con PVid 364,2 (III), 1-7 e GuiUss 194,7 (IV), 1-6, Gruber 1983, pp. 99-100 riferisce la particella pronominale a 6 razo, anziché a 5 chansso come invece fa Stroński, commentando: «Der Text ist indes eindeutig, da razo, motz und so auf derselben Ebene liegen, während chanso die übergeordnete Einheit bildet» (p. 100, n. 1). Sui termini tecnici qui menzionati si veda Chiarini 1985, pp. 59-60; e su razo anche Meneghetti 1992, p. 79, n. 34.
9-12. Cfr. PVid 364,16 (V), 9-12: «E s’ieu chant cum hom forsatz, / pus Mosenher n’a sabor, / non tengatz per sordeyor / mon chan...».
10. chan per deute de follor: Stroński seguendo Lewent 1907 scioglie «deut’ e» e traduce a p. 133: «je chante [...] par obligation et à cause de sottise»: mentre Salverda de Grave 1911, p. 503 prova a spiegare: «je crois que de follor a ici le sens de “en l’air, non inspiré par des sentiments personnels”», è l’espressione chant [...] de follor a non soddisfare Schultz-Gora 1921, p. 147: «Sollte aber de follor wirklich ‘aus Torheit’ bedeuten, so könnte Folquet doch nur seine eigene Torheit meinen, und das ist wenig wahrscheinlich». Di qui la proposta da me accolta: «Hat man vielleicht per deute de follor zu schreiben und zu verstehen: der Torheit der anderen gezwungen nachgebend, ihr einen Tribut entrichtend?», sebbene lo studioso rimarchi la difficoltà del passo (cfr. anche Schultz-Gora 1906, coll. 289-90). La ‘follia’ è quella di coloro che non andando in crociata lo inducono (o meglio: lo costringono) a cantare: cfr. per questa interpretazione Beltrami 1998, p. 28, n. 17. Segnalo infine che Seto 1995b, tornato alla lezione di Stroński, commenta: «Après tout, de follor ne sera-t-il pas interpréter: “de la folie, au sujet de la folie (étant donné que le poète ne sait comment ni sur quoi chanter)”? On peut tenir dans ce cas les vv. 11-12 pour l’ironie de Folquet» (p. 55).
17. en luoc: traduco l’espressione seguendo l’osservazione di Schultz-Gora 1921, p. 147 suscitata dal «comme» proposto da Stroński.
18. Stroński oppone alla traduzione di Lewent 1907, p. 431: «wenn man (etwas) hinzufügt», la specificazione che ad essere aggiunti alla finestra sono «des ornaments», spiegando poi a p. 229: «L’observation de Folquet se rapporte simplement à l’architecture des fenêtres et vise le style nouveau de leur construction qui débuta précisément vers la fin du XIIe siècle, de façon que notre troubadour y fit allusion à quelque chose d’actuel: l’ancienne fenêtre romane, entièrement ouverte ou simplement partagée en deux fenêtres jumelles commençait à être remplacée par une fenêtre plus ou moins remplie d’arcatures, de roses, de meneaux, de façon que les dimentions des espaces à vitrer s’en trouvaient diminuées». Lewent 1912, col. 335 ribadisce la sua interpretazione, incontrando l’appovazione di Schultz-Gora 1921, p. 147: preferisco anch’io mantenere nella traduzione la genericità del testo (e così Seto1995b, p. 56 che ritiene l’interpretazione di Lewent «moins subtile mais plus convaincante»).
35-36. Un’analoga figura etimologica, ma declinata in àmbito amoroso, è in PVid 364,6 (XXVII), 38-40: «qu’a temps vens om vensedors / e per temps e per sazo / vencutz fai gran venzeso»; cfr. anche RmJord 404,6 (VI), 6: «e qui vencut vens mout fai pauc d’esfors» e l’articolata nota di Asperti 1990, pp. 302-304.
41. cortes geins: ritenuta difficilior rispetto a bels digs delle precedenti edizioni, l’espressione si legge nell’ed. Chiarini di JfrRud 262,2 (IV), 26-28: «Adoncs parra·l parlamens fis / quan drutz lonhdas er tan vezis / qu’ab cortes ginh jauzis solatz»: la scelta editoriale di Chiarini, giustificata a p. 96, è stata confermata e valorizzata da Bologna-Fassò 1991, in partic. pp. 77-83 e 84-88; l’ipotesi contenuta nell’Appendice III del lavoro (pp. 136-38) di considerare bels digs variante d’autore è ritenuta «improbabile» da Lazzerini 1993, p. 202, n. 153, la quale in ogni caso si dimostra d’accordo con il recupero di Chiarini. Il sintagma cortes engienh si ritrova «in diverso contesto e con diversa funzione» (Bologna-Fassò 1991, p. 84, n. 1) in AimPeg 10,12 (XII), 11, in una canzone il cui rapporto con FqMars 155,10 ( VII) è stato evidenziato da Mancini 1991, pp. 221-24 (ne tratto nella parte I, § 3.2.2.1.1).
45-46. Stroński, che considera incidentali i vv. 43-44 (li pone fra trattini), collega il 45 mas al v. 42 traducendo (a p. 133): «que le puissants [...] obtiennent toutefois pardon en combattant [vd. oltre] glorieusement»; mettendo poi due punti alla fine del v. 45 Stroński ottiene un periodo a v. 46 che comincia con «n’a Dieus»: questa scelta è contestata da Lewent 1912, col. 335 il quale piuttosto che n’a = ne a preferisce intendere ni a e quindi difendere la sua scelta editoriale in Lewent 1907: «ni dieu presen son labor» (trad. «und manch einer seinen Reichtum Gott darböte»). La soluzione da me accolta è quella di Schultz-Gora 1921, p. 148, il quale, nel ribadire che al v. 46 «ein Aussagehauptsatz mit en (‘n) beginnt, was bekanntlich nicht angeht», specifica (ibid., n. 1) che il mas «ist zwar nicht logisch, erklärt sich aber leicht als durch den Inhalt von V. 43-4 hervorgerufen». In subordine, si potrebbe isolare il v. 45 (come nella versione b), traducendolo: «eppure conquistano con lode» (né può escludersi, ma considerata la varia lectio la scelta mi pare onerosa, che conqueren si riferisca a Dio, così da avere: ‘ma, vincendo con lode, Dio ne ha presi al suo servizio...’).
45. conqueren: mantengo, come Lewent 1907 e d’accordo Schultz-Gora 1921, p. 148, la lezione del gruppo a, nonostante Stroński la dichiari «condamné par le classement del mss.» (p. 229), preferendole combatten, lezione peraltro diffratta all’interno del gruppo b e a mio parere più banale. Accetto inoltre l’interpretazione proposta da Schultz-Gora di conqueren (e delle sue varianti) come participio presente: lo stesso fa Seto 1995 b che tuttavia traduce con «combattants glorieux» (p. 54) la lectio singularis di C defenden ab lauzor messa a testo in ossequio ai suoi criteri editoriali (discussi nella parte I, § 2.2), ma mentalmente scartata a favore di combatten al momento di tradurre.
47. mains que: segnalo la lunga nota di Stroński (cfr. pp. 229-32) su que con valore di «adverbe relatif», originata dall’osservazione di Schultz-Gora 1906 a Lewent 1907: «In V. 47 ist es nicht nötig que als relatives Adverb zu fassen; es kann ganz gut = ‘denn’ sein» (col. 290), il quale precisa in Schultz-Gora 1921, p. 148, n. 3 che «ich [...] nicht behauptet habe, que m ü s s e = ‘denn’ sein», e che anzi la soluzione di Lewent e Stroński ora lo soddisfa maggiormente.
48. aquo: rigetto aqui di ABDT+RUc a favore della lezione di IKNP+CQ: concordo con Stroński (cfr. p. 210) che aqui ha il significato, banalizzante, di ‘in Terrasanta’ (l’editore rimanda a una correzione analoga nell’altra canzone di crociata, FqMars 155,15 [ XVIII], 28: e de larma non a nuill espauen > del lanar lay non a nuill espauen CE [om. lay E]).
49-60. La quinta cobla, davvero «interessante und schwierige» (Schultz-Gora), pone problemi di interpretazione a vari livelli. Si dà preliminarmente per acquisito che 54 preiso significa ‘presa’, e non ‘prigione’ (rimando alla parte I, § 1.3.1.10 per le opinioni espresse anteriormente all’ed. Stroński), e che l’ engan di v. 52 è il reis engles a subirlo (per Schultz-Gora 1921, p. 148 l’idea contraria, che sia cioè Riccardo Cuor di Leone a ordirlo, attribuita a lui e Lewent da Stroński alle pp. 177-78 è frutto di equivoco). Problema principale è indicare il referente dei vv. 57-60: Lewent 1912, col. 335 e Schultz-Gora 1921, pp. 149-50 rilevano l’apparente contraddizione di Stroński che a p. 179 sgg. riferisce i vv. 57-60 all’imperatore Enrico VI per poi affermare che la cobla «est destinée toute entière, avec la mention incidentelle de l’empereur, à l’attention du roi anglais, auquel elle s’adresse dès le début, de même que la strophe suivante est entièrement consacrée au roi français» (p. 181; corsivo mio); basta leggere le righe che precedono per comprendere il senso dell’affermazione: «Il était évident, en effet, que la croisade de l’empereur ne manquerait pas de substituer l’influence imperiale en Orient à celle que Richard y avait établie à son profit lors de la troisième croisade. Cette chose évidente, Folquet la dit à l’adresse de Richard» (pp. 180-81; corsivo mio). Ma esclusa la contraddizione la problematicità permane, il nucleo delle difficoltà essendo il v. 58. Per Stroński Enrico accorrerà in Terrasanta se Dio, rappresentato come signore feudale al v. 56, gli rimetterà la sua terra in feudo: così tanto ricco è il dono, cioè il soccorso prestato da Enrico, altrettanto dovrà esserlo la ricompensa di Dio, cioè i feudi in Palestina. Ma tale interpretazione del v. 58 cozza, a parere di Lewent 1912, coll. 335-36, col contenuto del v. 56: Dio dovrebbe dare in feudo a Enrico una terra che questi si sforza di recuperare. La proposta è di considerare anche il v. 57 come parte dell’incidentale riferita all’imperatore (trad.: «Denn der Kaiser bemüht sich, Gott sein Land wieder zu gewinnen, denn ich glaube, dass er als erster dabei hilft») e di riferire i vv. 58-60 di nuovo a Riccardo (trad.: «Wenn Gott ihm (Richard) sein Land wiedergibt (Anspielung auf Richards Befreiung), geziemt es sich wohl, so reich ist die Gabe, das der Lohn ebenso gross sei, d. h. dass Richard Gottes Land wiedergewinne»). Pur concordando sulla pars destruens, alla quale aggiunge che il significato di rendre sa honor proposto da Stroński manca di paralleli trobadorici, Schultz-Gora 1921 ritiene troppo brusco un cambio di soggetto al v. 58: «Allein wie konnte der Dichter erwarten, daß der Hörer das verbundene Fürwort li mit einem Male als auf Richard gehend ansehen sollte?» (p. 150). Lo studioso non è neppure soddisfatto della possibilità di riferire anche il v. 57 a Riccardo e di riconoscere nel sa honor i possedimenti in terra francese riconquistati dal re fra il maggio e il novembre 1194 combattendo con Filippo Augusto: in quei mesi Folchetto non può conoscere gli intendimenti di Enrico per la crociata, visto che l’imperatore prese la croce solo nella primavera dell’anno successivo. Allo stato attuale delle ricerche tenderei a preferire all’ottimismo di Stroński: «notre sirventes est d’une précision remarquable et [...] une situation historique s’y reflète fidèlement» (p. 181), la cautela di Schultz-Gora: «so wie der Text lautet, ist es gelinde gesagt, mehr als schwierig, ein halbwegs klares Bild von der historischen Situation zu gewinnen» (p. 150).
53. messio: a fronte delle interpretazioni di Zingarelli 1899, p. 65 («spese della spedizione»), Toraca 1897, p. 160 («spesa», ovvero «se egli ha seminato e un altro raccoglie») e Lewent 1907, p. 431 («Aufwand»), circostanziata quest’ultima da Schultz-Gora 1906, col. 290, in implicita consonanza con Torraca: «d. h. wenn er im Morgenlande gekämpft und die Besitzergreifung desselben bewz. Jerusalems vorbereitet hat», Stroński rileva che «messio implique une idée d’argent» (p. 176): il riferimento sarebbe al forte riscatto (100 o 150 mila marchi d’argento) pagato da Riccardo all’imperatore per la sua liberazione. Ma Schultz-Gora 1921 oppone un’occorrenza di mession in BtBorn 80,2 (XXVI), 17-20: «Que ja malvestatz dolenta / no·il valra mession genta, / ni sojorns ni estar ad ais / tant cum gerra, trebails e fais», che con Stimming traduce «Wagnis» (ma Gouiran 1985, II, p. 541 traduce «noble dépense», come negli altri casi: BtBorn 80,29 [XXVIII], 31; 80,8 [XXXV], 15; 80,43 [XXXIX], 12; e cfr. inoltre SW, V, p. 75, s.v. malvestat) e rilancia il senso di «’Rührigkeit’ < ‘Aufwand’, ‘Einsatz von Kraft’» (p. 149); e anche se Stroński avesse ragione sul senso di messio – aggiunge – lo sforzo finanziario sarebbe comunque quello sostenuto per la crociata, perché «ich einen inneren Zusammenhang zwischen dem Lösegeld Richards und den Kreuzzugsvorbereitungen Heinrichs VI. nicht zu erkennen und aus den Worten Folquets schlechterdings nicht herauszulesen vermag».
61. laus: per lausar nel senso di ‘consigliare’ si veda SW, IV, p. 341 (s.v. lausar, n° 2): «rathen, empfehlen»: negli esempi indirettamente addotti da Levy, GlRain 231,1a [= BtBorn 80,6] (Stimming 1879, p. 136), 10, BtBorn 80,15 (VI), 45, BtBorn 80,32 (XXIII), 30, GrBorn-Alamanda 242,69-12a,1 (LVII), 22, MoMont 305,12 (XIII), 37, il verbo è tuttavia sempre seguito da que.
61-62. refassa ·l tornar: mantengo, d’accordo con Schultz-Gora 1921, p. 151, testo e interpretazione di Stroński: «le tornar honteux que le roi français est exhorté à “réparer”, c’est son “retour” de la Terre Sainte en 1191; il avait abandonnée en pleine campagne, laissant à Richard seul le soin de la croisade» (p. 181; sulla vicenda cfr. Runciman 1966, pp. 730-31); di diversa opinione Lewent 1912, col. 336: «Da tornar der term. techn. für eine Fahrt ins Heilige Land ist, so könnte man faire in refaire tornar auffassen [Lewent elimina l’enclitica: vd. infra], als dasjenige, das mit dem Infinitiv verbunden nichts als dessen Tätigkeit ausdruckt, und das re- als desjenige, das die Wiederholung der durch das Simplex angegebenen Handlung bedeutet».
Anche l’enclitica in apertura di verso (giustificata da Stroński a p. 181, n. 1), è criticata da Lewent 1912, col. 336 che nota come la forma, tramandata «nur in zwei sich sehr nahestehenden, nicht eben besonders guten Handschriften», sia peraltro assente nel canzoniere folchettiano, aggiungendo: «Dieses l dürfte also von den Schreibern der späteren Zeit, in der diese Art Anlehnung nichts Seltenes war, eingeführt worden sein»; tale analisi non è però condivisa da Schultz-Gora 1921, p. 151. Per parte mia aggiungo che i due mss. latori dell’enclitica (Uc) costituiscono pur sempre la metà della tradizione della prima tornada; è anzi normale che i copisti tendano ad eliminarla, come si può verificare nello spoglio seguente.
i) Bartsch 1856, pp. 323-24 registra Anon 461,123 Flor de Paradis, cobla IV, 10-11 (cito da Spaggiari 1977, p. 314): «que del mortal abisme / ·m siatz defendens» (enclitica solo in R = A di Spaggiari), c. XVII, 10-11: «que m’arma trobes fina / ·l reys celestials» (enclitica solo in R?); c. XIX, 4-5: «ab oracio cara / ·l ten entre sas mas» (enclitica ricostruita); due tenzoni unica di R di GrRiq-FqLun 248,43-154,2b (LXXXVI), 33-34: «En Guirautz, de temor branda / ·l fis enamoratz» (cito dalla tesi di dottorato di Maria Pia Betti, Univ. di Roma ‘La Sapienza’ 1997, n° VII) e GrRiq-GlMur 248,41-226,7 (XCII), 37-38: «Lo rossinhol per semblansa / ·us don que vieu ab alegransa» (Betti, n° XIII); i discordi GlAug 205,5 (VII), 17-18: «pos la plus corteza / ·m vol ses tort aucir?» (enclitica solo in CD) [segnalo inoltre i vv. 33-34: «volhatz que·us desplaia / ·l greus mals don endur!» (enclitica solo in CMW), 40-41: «mi pejura / ·l greu mal que m’auci» (enclitica in CDIMRSc) e 76-77: «ab temensa, / ·us quier, dompna, si·us plai» (enclitica solo in CMW)] e GrCal 243,5 (X), 50-51: «e grazida / ·us ai totas sazos» (unicum di E; aggiungo il punto all’enclitica); Taur-Falconet 438,1-148,2 (De Bartholomaeis 1906, p. 173), 1-2: «Falconet, de Guillalmona / ·us veig enamorat» (i due testimoni, Oa, leggono uos; aggiungo il punto in alto all’enclitica). Non confermata dall’edizione più recente l’occorrenza nel discordo ElCair 133,10 (X), 38-39 (dove l’enclita ‘enjambante’ è del solo N), ma nello stesso componimento segnalo il v. 31: «quan ieu remire ·l color benestan» (enclitica in AIKSa).
ii) Levy 1880, p. 84, n. 42, nel commentare GlFig 217,2 (II), 41-42: «Roma, avetz aucis, c’ab falsa predicanssa / ·l traissetz de Paris» (enclitica solo in CR; aggiungo il punto all’enclitica), ricorda che le Leys d’Amor ritengono scorretto il fenomeno, esemplificato nel trattato coi vv. 600-604 dell’epistola Si tot non es enquistz di AtMons: «Dever especial / e general hy ha; l’especials se da / trebalh, per ops de vida / ·l general per grazida» (cfr. Gatien-Arnoult 1841-43, II, pp. 130-32 e Anglade 1919-20, III, pp. 65-66; tuttavia il testimone unico R [c. 128r e] ha: trebalh per obs de uida. general per grazida; cfr. Bernhardt 1887, p. 71); e segnala RbVaq 392,9 (XV), 12-14: «e chaia / de plaia / ·l gelos anz qe·m n’estraia» (l’enclitica è conservata solo dalle due versioni in M, rispettiv. alle cc. 106v e 250r).
iii) J. Hengesbach, Beitrag zur Lehre von der Inclination im Provenzalischen, Marburg, Elwert 1885, pp. 7-8, § 9 registra, oltre alle due tenzoni di GrRiq censite da Bartsch, GlCapest 213,5 (V), 46-47: «Tot jorn m’agenssa / ·l desirs, e m’abellis» (Cots 1985-86, come già Långfors 1924, mette il punto in alto dopo agensa); Marcabr 293,17 (nell’ed. Bartsch-Koschwitz 1904, col. 57), 1-3: «Dirai vos en mon lati / de so qu’eu vei e que vi: / ·l segles non cuit dure gaire» (L’enclitica è in A e cfr. lo seigles K; Dejeanne [n° XVII] preferisce al v. 3 la versione di CR: «non cuich que·l segles dur gaire»); non sono invece confermate dalle edizioni di riferimento le forme rintracciate in BnVent 70,44 (XLIV), 3-4 e PRmToul 355,5 (IV), 34-35.
iv) Agli esempi prodotti aggiungo: BnVent 70,25 (XXV), 85-86: «Domna, mo coratge, / ·l melhor amic qu’eu ai» (l’enclitica è nel solo A: cfr. Appel 1915, p. 149, n. 86); RbVaq 392,16 (XVII), 26-27: «qu’alegransa / ·m fo fermansa» (l’enclitica è in CR); RmJord 404,7 (VII), 19-20: «e metrai / ·m al sieu chauzimens» (unicum di C); e RmGauc 401,6 (Azaïs 1869, p. 37), 31-32: «no·y vey cosselh mas qu’en una carreta / ·us en traverses, e no·us cal espero» (unicum di R: introduco i diacritici): P. Bec, Burlesque et obscénité chez les troubadours. Pour une approche du contre-texte médiéval, Paris, Stock 1984, p. 93, che riproduce il testo Azaïs «légèrement modifié», emenda in «vo’n traversetz»; A. Radaelli, Raimon Gaucelm de Béziers, Poesie, Firenze, La Nuova Italia 1997, p. 220 elimina us perché renderebbe ipermetro il verso; cfr. anche le pp. 235-36). Segnalo inoltre la ricostruzione di Perugi 1978 per ArnDan 29,2 (VII), 61-62: «re no·l demanda / ·l meu cor ni no·l fai ganda» (cfr. il commento al verso in I, p. 200, dove tale «sinafia» è definita rara): Eusebi mantiene la lezione attestata dall’intera tradizione: «mos cors ni no·ill fai guanda» (solo mon cor C).
v) Altra ricostruzione è in ElBarj 132,13 (III), 34-35: «nuilla manentia / [·m] vengues»; l’emendamento è giustificato dai vv. 44-45: «tant de manentia / ·l vengues»: Stroński 1906, pp. 46-47, nel commentare il suo intervento, nota che in tutti i casi citati da Hengesbach, ma anche negli altri qui aggiunti, tranne che nei testi di Marcabr e RmJord, l’enclitica si appoggia a un rimante a uscita femminile, «sans que le détriment qui en résulte pour la clarté de la rime soit trop sensible». Lo stesso accade in UcSt-C 457,1 (V), 28-29: «car ges oblidat non so / ·l dig ni·l faich ni·l si ni·l no» (Jeanroy e Salverda de Grave stampano «L·dig» e giustificano l’intervento alle pp. 177-78). Infine, segnalo una ricostruzione in GcFaid 167,64 (XV), 7-8: «q’una voluntatz pessiva / ·m fai estar tot jorn pessiu», proposta da Arcangela Caragnano nella sua tesi di laurea (Univ. di Siena, a.a. 1995-96): l’unico relatore C legge me fai estar e Mouzat emenda in «me fai ’star».
62. teng’ a bo: mantengo la lezione di Stroński, conforme alla tradizione, nonostante la nota di Lewent 1912, col. 336: «Ebensowenig leuchtet mir der Konjunktiv tenga ein. Vielleicht stand ursprünglich tenc a im Texte», in questo caso pienamente approvata da Schultz-Gora 1921, p. 151; d’altronde in Lewent 1907 aveva stampato «ten a bo».
71. Giustamente criticata da Schultz-Gora 1921 la traduzione di Stroński «comme s’il n’y avait plus rien» (p. 134): «etwas dem ‘plus’ Entsprechendes steht nicht im Texte und paßt auch nicht hinein, da der Sinn doch ist: als ob pretz und messios gar nicht vorhanden gewesen wären» (p. 151).
Postilla 2009
Sull’enclitica a inizio verso, sommariamente esemplificata alla n. 61-62, rinvio ora a Squillacioti 2006.
Note
(2) In particolare nella cobla V, per cui rimando alla relativa nota del Commento; gli altri testi sono, oltre al sirventese dello stesso RichCdeL 420,2 (Riquer 1975, II, p. 752; Spetia 1996), BtBorn 80,8 (XXXV), 25-40 e ancora PVid 364,14 (XXI), 19-22. (↑)
(3) «E mou de Fransa totz l’esglais, / d’els qui solon esser melhor, / que·l reis non es fis ni verais / vas pretz ni vas Nostre Senhor. / Que’l Sepulcr’a dezamparat / e compr’e vent e fai mercat / atressi cum sers o borzes: / per que son aunit siei Frances. // Totz lo mons torn’en tal biais / qu’ier lo vim mal et huei peior; / et anc pus lo guit de Dieu frais, / non auzim pueis l’Emperador / creisser de pretz ni de bontat. / Mas pero s’ueimais laiss’en fat / Richart, pus en sa preizon es, / lor esquern en faran Engles» (vv. 17-32). (↑)
|