1 ss. La stagione è definita con parole di Guglielmo IX («rius e fontanas esclarzir», Pus vezem, v. 3), per poi istituire il parallelismo fra il canto dell’usignolo, voce e melodia della primavera, e il canto umano, voce e melodia dell’amore; Jaufre Rudel si rifà dunque al primo trovatore con la citazione, ma non con la specificazione del tema. L’analogia del «movimento di pensiero» iniziale delle due canzoni autorizza — come ha fatto notare il Casella — ad attribuire a quan il valore causale di pus.
2. sol. Avendo spesso in antico il presente di “solere” valore consuetudinario d’imperfetto, si potrebbe tradurre “soleva” per porre in migliore evidenza la ciclicità dell’evento.
4. rossinholetz. Diminutivo con valore affettivo. Come osservato da M. Allegretto, l’usignolo, qui come nella canzone sesta, «costituisce l’esempio cui vuole uniformarsi il poeta-amante, esattamente perché [...] compare nel tempo propizio della primavera maestro d’amore e di canto, gioioso della gioia della natura; e poiché il messaggio della natura è amore e gioia in un tutto armonico, è in quanto ‘nota armonica’ che l’usignolo costituisce per il trovatore elemento d’imitazione» (p. 28). Tale apprezzamento dell’animale è già nelle fonti mediolatine della topica dell’esordio primaverile. Lo Spitzer (Classical and christian ideas of world Harmony, edited by A. Granville Hatcher, Baltimora 1963; trad. it. L’armonia del mondo. Storia semantica d’un’idea, Bologna 1967) ha citato al riguardo il De Luscinia di Fulberto di Chartres («Hilarescit philomena, dulcis vocis conscia; Et extendens modulando gutturis spiramina, Reddit veris et aestivi temporis praeconia»), anche per l’opportunità di adeguamento del poeta al modello naturale («Tempus adest ut solvatur nostra vox harmonica»).
5. volf. Da volver VOLVERE, che nei Brutus ciceroniano, detto di oratore, vale «pronunziare con armoniosa fluidità di parola».
refranh ez aplana. Terminologia tecnica del canto gregoriano (Roncaglia: cantus fractus e cantus planus).
6. afina. A. Roncaglia ritiene che in tale verbo — anche in Marcabruno XV 4, nonché nell’aggettivo fis in Bernart de Ventadorn XV 50 — sia implicito il riferimento alla dialettica di natura e doctrina, oggetto di una questione che Quintiliano (Inst. or. II 19) dice molto dibattuta ai suoi tempi riguardo all’eloquenza. Se in Bernart «naturaus si riferisce alla nozione oggettiva di natura, assunta come matrice ideale, fis suppone l’applicazione soggettiva espressa [...] con il verbo afinar: insomma la manifestazione d’una doctrina» («Trobar clus» cit., p. 47).
8. de terra lonhdana. Non sembra genitivo oggettivo, come credeva G. Frank («love of a distant land»), ma neanche genitivo di provenienza, come riteneva L. Spitzer («amor venant de terre lointaine»); semmai genitivo epesegetico o di specificazione qualitativa («amore caratterizzato dalla terra lontana»), come nella formula equipollente amor de lonh («amore caratterizzato dalla lontananza»). La possibilità di raggiungere l’amata viene pertanto ad essere esclusa per definizione: si comincia quindi a precisare l’amore trobadorico come desiderio perenne non realizzabile.
9. totz lo cors. Jeanroy «tout mon coeur». Certo, la norma delle Leys d’amor (II, 176; ed. Anglade, III, 84) che raccomanda di tenere distinti cors CORPUS e cor COR è prova dell’esitazione nell’uso precedente, anche se forse non fa altro che ratificare una tendenza da tempo in atto (abbastanza visibile nella tradizione manoscritta di Rudel). Lo scambio delle due voci è favorito dalla loro frequente vicendevole fungibilità nei contesti: ammissibile anche nel caso presente, ma assai meno al v. 22 dove mos cors è la ben nota perifrasi per «io», eppure Jeanroy traduce ugualmente «mon coeur». Questa assoluta preminenza del cuore nella vicenda dell’amore lontano, questa spiritualizzazione ad oltranza che induce ad obliterare il resto della persona, sono abuso ermeneutico imputabile alla lettura di gusto romantico del canzoniere di Jaufre Rudel. I testi non sembrano autorizzarlo. Il “paradosso amoroso”, infatti, di cui l’amore lontano è la più felice e coerente espressione, coinvolge necessariamente l’intera personalità dell’amante: sussiste anzi, a rigore, in quanto questi è sede di contrastanti inclinazioni, insomma di un’inquietudine esistenziale per il conflitto fra le nature, spirituale e carnale, di cui è fatta l’umanità.
11. vau al sieu reclam. Lezione di Stimming, a cui sono opportunamente tornati Casella e Roncaglia; Jeanroy, invece, aveva optato per la variante au vostre reclam («si je n’écoute votre appel»). La metafora venatoria di cui è sicuro indizio reclam (Donatz proensals «reclam .i. caro ad revocandum accipitrem», cit. da Roncaglia), infatti, esige vau.
12. ab. Valore comitarivo-causale.
amor doussana. Per la Frank sarebbe «a more human passion» avversa all’amore lontano (dalla Frank interpretato — come si è visto nella parte introduttiva — quale allegoria della Terrasanta); Spitzer ha confutato agevolmente tale asserzione («Je défie n’importe qui de me fournir un passage de poésie amoureuse anc. provençale (en dehors de l’école de Marcabru) où “doux” appliqué à l’amour ait un sens despectif!»).
14. dezirada companha. Cfr. Bernart de Ventadorn, Estat ai com om esperdut, vv. 33-34: «Ma domna fo al comensar / franch’ e de bela companha».
15. aizina. È propriamente l’occasione all’intimità amorosa. Essa topicamente si offre o è vagheggiata, nei trovatori, dinz vergier o sotz cortina (v. 13), i luecs aizitz della canzone Pro ai del chan, v. 50.
17 ss. L’espressione «né crestiana, né ebrea né saracena» è forma concreta della negazione assoluta; cfr. Peire Vidal, Car amiga dols’ e franca, vv. 36-38: «non a saura ni danca / tan avinente cristiana / ni juzeva ni pagana».
18. non la vol. Ovviamente, genser crestiana ecc. L’assolutezza della negazione, dunque, risponde all’inderogabile volontà divina.
20. pagutz de mana. Allusione a Exodus, XVI, 14 ss. La manna è il pane del Signore, quindi “cibarsi di manna” vale metaforicamente “gustare le gioie del paradiso”.
23. ren. Si insiste sul dato esistenziale e non sulle specificazioni: come la donna è detta amors e la sua compagnia companha, così la sua persona è detta ren nel senso di “creatura”.
24. volers. È la volontà che tende verso l’oggetto, la quale diventa fallace quando è dominata dalla concupiscenza. Il poeta sta in una situazione di tensione permanente a causa di un amore de! tutto immaginario: la plenarietà dello stato è dunque nella contemplazione, che viene radicalmente distrutta dall’istanza di un esito nella realtà.
26 ss. Il desiderio di ciò che è assente è dolore, una malattia che però trova in sé la sua guarigione: il poeta non ottiene quel che vorrebbe e ne soffre, ma non vuole che si pianga sul suo caso perché la realizzazione del desiderio interromperebbe la tensione emotiva essenziale per la sua vita.
29. Cioè senza scrivere, con messaggio orale.
31. plana. Senza gli abbellimenti artificiosi dell’ornatus difficilis. La presa di posizione tecnica di Rudel è qui dunque in direzione del trobar leu.
32. Filhol. Nome d’arte del giullare.
33. bo·m sap. Per quanto del solo C, è l’unica lezione che consenta di spiegare in modo soddisfacente l’eziologia delle varianti nei due rami della tradizione: per commutazione sinonimica (AB), oppure per alterazioni diverse del contesto sintattico e semantico ipotizzabili a partire dalla concrezione grafica di verbo e congiunzione (sap car, sapcar, sapcha).
35. lui. Verosimilmente si riferisce ad Ugo Bruno, di cui dunque si fa l’elogio (se il signore della dinastia dei Lusignano dominava sulle terre del Poitou, del Berry e della Guyenne e i suoi sudditi si rallegravano per lui, vuol dire che era prode e giusto); ma potrebbe anche alludere al vers. Nella tradizione c’è la variante leis, accolta da Stimming, ovviamente riferita a colei che col suo pregio inestimabile allieta, ovvero nobilita (alcuni codici hanno val mais in luogo di s’esgau) chi le sta vicino. Dal punto di vista della coerenza contestuale sembra tuttavia improbabile che, all’atto dell’invio del componimento a personalità eminente, si passi repentinamente alla lode di un’altra persona.
Strofe apocrife
1
Mss. CRU.
Quan pensar m’en fai aizina,
adoncs la bais e l’acol;
mas pueis torn en revolina,
per que·m n’espert e n afllam
quar so que floris non grana. [5]
Lo joi que mi n’ataina
tot mos cujatz afaitanha.
2
Mss. MUa¹ (vv. 5-7)
Si·n sui de lonja taïna
e mais seinha non susfrainh,
ço dis li gens anciana
q’ab sufrir venz savis fol,
q’ades s’en ven de rabina; [5]
mas ieu aten causa vana,
q’ailhor remanc en la fainha.
3
Ms. U.
Sa contenensa es soldana
qe joi me grup e m’asol
e non fai amor vizina,
q’en abanz non cant q’eu bran;
tan desir l’amor decusana,
cui jois e jovens aclina,
cum fos lai en terra straingna.
4
Ms. eb¹ (vv. 1-2)
Entre grec e trasmontana
volgra esser dins el mar,
et agues can’ e traina
ab que m’anes deportar,
fuec e lenha e sertana
e pron peison per cozina[r],
e midons per companha.
5
Mss. a¹ ζ.
Ben agra bona setmana
qi de leis agues son vol,
qe duguessa ni regina
non es qi de leis nos clam;
boc’ha vermeilla cun grana
e sembla roza d’espina
mesclad’ab neu de montagna.
6
Ms. ζ.
Ensi com cottidienne
com chascuns die et retor
lou cors ke per sumelainne
ait tenue son redol:
ensi amors mi demainna
et tient pres de sai saixaine
et paist de dousor prochainne.
1
1. can lo pessamen mafaina R, sem pensier lam fai proçana U. 2. [...] e l’a. R; ladoncs U. 3. mais pois dinz mi rimolina U; trop aroina R. 4. p. q’eu m’esperc e a. U. 5. [...] que no f. R; qar sai si f. ni g. U. 6. per quem pert [...] mon cors [...] R; le j. qera de ço camina U. 7. ni hom nos quei remanha R, tro qua mos guabs a fac tangna U.
2
1. trop foi de l. traina U. 2. qe messatgiers non fraing U. 3. e diz la gent a. U. 4. qe sufrent U. 5. qar pus es pungent q’espina U, plus tost s’en vai de r. a¹. 6. ma dolors qe per joi sana U, e eu son con c.v. a¹. 7. don ja non voil com me plaingna U; las qi r. a¹.
5
3. c’ains contesse ne rodainne X. 4. non ot tant avenant cors X. 6. r. en e. X. 7. blanche est cum n. X. |