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Chiarini, Giorgio. Jaufre Rudel. L'amore di lontano. Roma: Carocci, 2003.

262,006- Jaufre Rudel de Blaja

b)
 
1. folhos. È il fogliame rigoglioso che riveste gli alberi a primavera.
 
3. mou. Letteralmente “muove”, con valore ingressivo.
 
4. sa par. Cfr. Arnaut de Maroill «quecs ab sa par s’aizi» (Bel m’es quan lo vens m’alena, v. 11).
 
8. amistat. Anche in Bernart de Ventadorn vale «Freundschaft der Geliebten» (Glossar, s.v.).
enveyos. Da INDIVIDUOS; la traduzione di Jeanroy, «désireux», non rende la connotazione «volutamente peggiorativa» rilevata da Spitzer, nell’ambito di una «antiphrase paradoxale» simile a quella già notata in lechai. v. 43 di Lanquan li jorn.
 
12. Cfr. Bernart de Ventadorn, Pois preyatz me, senhor, v. 36: «so cors blanc, gras e le», dove gras vale «fett, rund (lobend vom Körper der Geliebten)» (Glossar, s.v.); «gras e delguat» il corpo della donna è anche in Berenguer de Palol, I, v. 25. Considerando la «ambiguità effettivamente insita nel testo», M. Allegretto opina che il soggetto logico e grammaticale sia «quell’amors appena nominato a v. 11», a cui alluderebbe nel presente verso que, a suo avviso pronome relativo; malgrado le sue non irragionevoli obiezioni, resta più plausibile l’ipotesi che il soggetto sia invece amistat: l’ambiguità del contesto deriva appunto dall’ambivalenza funzionale (complemento/soggetto) e semantica (“amicizia”/”amica”) del termine.
 
14. bon saher. Anziché «bonne saveur» (Jeanroy), insomma “piacere”, M. Allegretto propone d’intendere «buon sapere», cioè “buona” conoscenza del “buon” amore». È ben probabile, comunque, che anche in questo caso Rudel abbia giocato sull’ambivalenza semantica, portata alla “equivocità” al v. 21.
 
15. cossiros. Da consirar (CONSIDERARE) “pensare”; allude alla intensità e all’inquietudine del pensiero amoroso: di quella che Andrea Cappellano definirà «passio [...] ex immoderata cogitatione».
 
16. Vegliando e dormendo, cioè sempre; l’espressione si trova anche in Cercamon, Quant l’aura doussa s’amarzis, vv. 25-26: «Totz trassalh e bran e fremis / per s’amor, durmen e velhan».
 
17-18. Versi importantissimi, che dichiarano come il joi di questo amore abbia luogo esclusivamente nell’immaginazione e nel sogno. Tale è il genere di amore auspicato ai vv. 11-12 di Pro ai del chan ensenhadors.
 
18. jauzitz jauzen. Cfr. Pro ai del chan, v. 12.
 
22 ss. Spitzer intende «l’image paradoxale du cheval du poète qui, plus il se rapproche de la dame, plus s’en éloigne» come significativa della gratuità di un amore «affranchi de tout pragmatisme», «image de sa folie, si l’on veut appliquer la norme de la raison»: alluderebbe pertanto a quella follia amorosa «qui n’est rien que “l’irréalité réelle” d’un sentiment fort, poussé au paroxysme», perfetta incarnazione della quale sarà Lancillotto. Con il linguaggio intensamente metaforico ed istituzionalmente enigmatico del devinalh, in questa strofa Rudel ribadirebbe dunque l’assurdità della pretesa, sollecitata dalla concupiscenza, di voler dare un esito empirico («pragmatico») all’amore lontano. Si tenga presente che «il cavallo simboleggia, nell’esegesi biblica, la felicità terrena» (A. Del Monte, Civiltà e poesia romanza, p. 62): più specificamente, sarà qui da assumere che il cavallo sia simbolo dell’eros.
 
24. areversos. Propriamente “a ritroso”; cfr. reversar «umkeheren, umklappen» (SW, VII, 316).
 
29 ss. A questo punto il poeta annunzia il suo distacco dall’amore profano, per rispondere all’appello di un amore più alto: «le poète nous dit qu’il cherche “son mieux” et à cause de la supériorité de l’école de Jesus à toute chose, il peut quitter “gaîment” sa dame sans la déprécier: elle reste une valeur inattaquable, seulement la parole de Christ est plus forte» (Spitzer).
 
33. Bon Guiren. Per Cravayat «Le bon garant qui le veut, l’appelle et l’accepte est, non pas Dieu, comme le pense G. Paris, mais son suzerain qui va lui permettre de suivre Dieu à Bethléem»; ma il contesto non suffraga tale interpretazione, mentre guerimen “salute etema” al v. 39, e la «mention expresse» di Dio e di Cristo ai vv. 37 e 41, confermano, come osservato da Spitzer, che il senhal si riferisce al Salvatore.
 
34. m’apell’e·m denha. Il verbo denhar vale qui «seiner Liebe für würdig halten, seiner Neigung werth achten» (SW), come anche in Arnaut Daniel, XVI, vv. 29-30: «Dis tu c’aillors no t’estanchas / per autra que·t deing ni·t cueilla?».
 
35. m’es ops. Cfr. aver ops (que oder a + Inf.) «müssen» (SW, V, 502).
parcer. Propriamente «zurückhalten» (SW, VI, 67).

 

 

 

 

 

 

 

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