Vermillon, clam vos faç è, secondo la definizione tradizionale, una cobla, composizione appartenente al genere dialogico («tensons réduites» è la definizione di Jeanroy) e, almeno in origine, di carattere giullaresco ( 1): Jeanroy 1934, II, pp. 274-81, che indica nelle «coblas jongleresques» e «politiques» i tipi fondamentali, limita la sua analisi essenzialmente alle coblas dialogiche: questa di Folchetto, considerata da Jeanroy l’esempio più antico del genere ( 2), andrebbe classificata come cobla esparsa ( 3), forma che Martín de Riquer invita a non confondere con la cobla dialogica ( 4). Tale distinzione è il punto d’avvio dell’elaborazione di Angelica Rieger ( 5) di una fenomenologia su base tematica della « cobla esparsa anonima», intesa come genere a sé, che tuttavia ha trovato il dissenso di Maria Luisa Meneghetti e ora di Stefano Asperti ( 6): in effetti una valutazione contenutistica dei testi in questione non può prescindere da un’indagine complessiva della loro tradizione manoscritta che ridiscuta le conclusioni di Gröber 1877, pp. 649-55, integrate dagli studi specifici successivi di Bertoni 1905 su Q (in part. pp. xliv-xlvi), Bertoni 1912 su G (in part. pp. xxxviii-xxxix), di Careri 1990, pp. 293-301 su H.
Per quanto riguarda la definizione di genere offerta nella Scheda metrica, ritengo sia da accogliere la proposta di Vatteroni 1990 di allargare a Vermillon, clam vos faç, la definizione di estribot, tradizionalmente riconosciuta soltanto a due testi, PCard 335,64 Un estribot farai que er mot maistrat[ z] (XXXIV; Vatteroni 1990, p. 78) e Palais 315,5 Un estribot farai don sui aperceubuz (Ricketts 1986, p. 236), in ragione del fatto che le tre poesie condividono la struttura metrica (strofa isolata di alessandrini monorima) e il registro stilistico: l’analogia metrica diventa sostanziale sovrapponibilità fra il testo di Folchetto e quello di Palais, che con i suoi nove versi rientra nell’estensione media della cobla, mentre da essa esorbita l’ estribot di Cardenal lungo 39 versi. Nonostante le dimensioni di quest’ultimo testo, pare lecito, seguendo Vatteroni, avvicinare l’ estribot alla cobla piuttosto che alla lassa di alessandrini, categoria sotto cui István Frank scheda i testi di Cardenal e Palais nel suo Répertoire métrique ( 7).
1. Vermillon: su questo giullare e il contesto in cui è nato il componimento si veda nella parte I, il § 3.2.1.2.2.
avol: ‘lâche, méchant, mauvais, vil’ ( LR, II, p. 159), è di etimo controverso: Coromines difende l’etimologia habilis, peraltro del REW, n° 3960, da ultimo nel suo DEC, s.v. àvol: da ‘abile’, passando per ‘leggero, incostante’, si arriverebbe a ‘malvagio’ (se così fosse si avrebbe i postonico > o per influsso della labiale: cfr. G.B.Pellegrini 1958, § 14); nella «refonte du tome 1er» del FEW (= vol. XXIV, p. 46) viene invece accolta l’ultima proposta di L. Spitzer, Prov. catal. avol ‘mauvais, vil’, Rom, LXV (1939), pp. 537-39, per la quale si deve risalire al greco aboulos ‘leggero, sconsiderato’. Resta la frequenza del termine per indicare la leggerezza di costumi delle donne, su cui DEC, I, p. 521 b; porta nuovi elementi in difesa dell’etimologia del REW L. Lazzerini a partire da un avols hom di Marcabr 293,4 (IV; Lazzerini 1992, p. 12): si veda la Postilla 1992 in coda all’intervento in Atti Messina 1993, II, pp. 646-47. Per le forme aol, aul si veda Pfister 1970, p. 279. Altre occorrenze in FqMars 155,7 ( XIV), 12 e Perd 370,9 (I; Stroński 1910, p. 101), 53; si veda inoltre la schedatura di Cropp 1975, p. 442, n. 83 (cfr. p. 90).
pega: è il femminile di pec ‘sot, stupide’, per cui si veda LR, IV, p. 475, s.v. pecorin, n° 2 (il termine etimologicamente connesso a PECUS: cfr. FEW, VIII, p. 116); come sostantivo pec risulta attestato anche in AimPeg 10,15 (XV), 20: «[Amore rende] e·l fol savi, e·l pec conoissedor» e nella versione occitanica del Vangelo di Nicodemo (Suchier 1883, p. 1), 837-38: «Perdona lur, que ieu t’en prec, / que no sabon que fan, li pec» (la virgola dopo fan è di Raynouard). Segnalo infine che nel glossario provenzale-italiano contenuto alle cc. 78r-79r del ms. P pega è glossato con «p(er)sona biescia o semplece» (con biescio ‘sbieco, obliquo’: GDLI, II, p. 221) (cito da A. Castellani, Le glossaire provençal-italien de la Laurentienne (ms. Plut. 41,42) [1958], in Saggi di linguistica e filologia romanza (1946-1976), t. III, Roma, Salerno 1980, pp. 90-133, a p. 127).
pemcha: Bartsch 1880, p. 506 ha peincha. La rima in -encha deriva dall’esito «meridionale» di -NTC- latino (lo stesso dello spagnolo), che nella scripta trobadorica coesiste con l’esito settentrionale -int-, condiviso dal francese (cfr. Roncaglia 1965b, p. 68).
2. degolada: di degolar il LR riporta due significati sotto un solo lemma: ‘précipiter, renverser’ (III, p. 418) e ‘décoller, couper la gorge’ (ibid., p. 419); il TdF, I, p. 714 separa la voce degoula ‘précipiter du haut d’une colline, démolir, ecc.’ (< COLLIS) da degoula ‘décoller, couper le cou’ (< COLLUM). La proposta di Mistral è accolta con formula dubitativa da Levy che separa i due verbi (SW, II, pp. 51-52, e cfr. PD, p. 108). Il FEW, II, p. 904 registra colar da COLLIS con il significato di ‘tirer en haut’ da cfr. con l’it. ant. collare ‘alzare le vele’ (Rinaldo d’Aquino, Già mai non mi conforto [Panvini 1994, p. 162], 3-4: «le navi son giute a porto / e [or] vogliono collare»; e cfr. Decameron, II 7,33) oppure ‘abbassarle [scil. le vele]’: si veda GDLI, III, p. 281. Il verbo italiano è fatto risalire al lat. volg. *COLLARE, prestito dal gr. kolázo ‘punire’ e rimanda all’atto di tirare la colla (corda) nella tortura: cfr. C. Battisti, G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, vol. II, Firenze, Barbèra 1951, p. 1011, s.v. collare³. L’uso di degolar, nel senso di ‘precipitare, rovesciare’, è registrato in Marcabr 293,38 (XXXVIII; Perugi 1995, p. 67), 3: «[la fuoilla] que·l vens deromp e degola», imitato poi da ElCair 133,1 (I), 3-4: «si tot lo vens romp e degol’ e part / lo fuolh del ram [...]», e, con un senso simile a quello del nostro testo, da PCard 335,48 (LXIX), 19-20: «Dieu prec que trachors barrei / e los degol e los abais». Ad ogni modo, sia che degolar valga ‘abbassare’ e quindi, con valore figurato, ‘rovinare, distruggere’, sia che si connetta con il significato greco di ‘punire’, il senso del verbo non cambia nella sostanza. Zingarelli 1986 traduce «scannata», quindi «guasta» in Zingarelli 1899; Stroński ha «detruit» (p. 132).
5. Il ramo che si spezza senza sforzo equivale in metafora alla donna che cede facilmente all’amante, contravvenendo così alla norma cortese codificata nella lirica trobadorica. Il senso metaforico di franher è registrato nella tradizione manoscritta di BnVent 70,19 (XIX): Appel 1915 stampa ai vv. 37-38: «(Que) dreihz es que domna s’afranha / vas celui qui a cor d’amar», avvertendo che «Es kann auch dompa·s [sic] franha gelesen werden» (p. 112, n. 37).
leu: da LEVIS, ha valore avverbiale: equivale quindi a leumen; in occitanico le due forme sono semanticamente equivalenti, al contrario del francese moderno dove la forma in -ment ha generalmente senso figurato (cfr. C. Nyrop, Grammaire historique de la langue française, Paris-Copenhague 1914-1960, V, §§ 108-11, in part. § 109). Jensen 1994, § 108 (e cfr. 1986, § 146), fa risalire gli aggettivi avverbiali alla confusione, dovuta alla caduta della vocale finale, degli aggettivi neutri latini con gli avverbi in -E, ma soprattutto al fatto che già in latino gli aggettivi neutri avevano valore avverbiale (cfr. V. Väänänen, Introduzione al latino volgare, a cura di A. Limentani, trad. di A. Grandesso Silvestri, terza ed. ital. rived. e corr. dall’autore, Bologna, Pàtron, 1982, § 365).
ni: non è affatto necessario emendare in ni·s come, seguendo Zingarelli 1899, propone Stroński: cfr. la nota di Levy in SW, VIII, p. 438.
trencha: si noti che la forma non palatalizzata trenca, rimante dei vv. 4, 20 e 36 di 389,16 Ar resplan la flors enversa (XXXIX) di RbOr, costituisce l’unico caso di rima in -enca della lirica trobadorica: cfr. Beltrami-Vatteroni 1988-94, I, p. 52 e II, pp. 134-35.
6. vo[ i] l: la correzione del uol del ms. si trova in Zingarelli 1899, p. 79, ma è stata sollecitata da De Lollis 1897, che, pur non presentando il testo provenzale, traduce: «né voglio toccar ramo...» (p. 132). Confermo l’emendamento che tuttavia è solo grafico: se la forma uoil < VOLEO è quella usuale in Q, noto un col a c. 20r in FqMars 155,21 ( VII), 24 laddove gli altri mss. leggono colh; inoltre vol 1ª sg. è registrato nella tav. 2 di Meliga 1993, pp. 788-89 (mai in Q comunque); si può aggiungere uol in G c. 4v in FqMars 155,3 ( VI), 23 laddove gli altri mss. leggono uuolh, uuelh. Più in generale, si ricordi con Perugi 1990 b che «esiste comunque – pur se minoritario nella tradizione manoscritta trovadorica – anche / l/ per / lh/» (p. 144).
leu: è il cong. pres. di levar, con l’usuale passaggio di -v a -u, su cui Roncaglia 1965b, p. 75.
Note
(1) Osservazione, già in Jeanroy 1934, ripresa più recentemente da Leube 1980 che ricorda la Supplicatio di GrRiq Pus Dieu[s] m’a dat saber: «l’autre [scil. i giullari] fan senes sal / coblas, sirventes, dansas» (vv. 816-17 dell’ed. Bertolucci Pizzorusso 1966). Nonostante la caratterizzazione stilistica ‘bassa’, la Leube, studiosa di formazione köhleriana, assegna al genere la fondamentale funzione di permettere, con la sua varietà tematica e propensione al ‘comico’, l’uscita dall’impasse del «paradoxe amoureux» (cfr. p. 71). (↑)
(2) La data di composizione, certo mutuata da Stroński, p. 74*, è fissata al 1190 circa: cfr. Jeanroy 1934, II, p. 275, n. 1; si tratta però di una datazione infondata come ho mostrato nella parte I, § 1.3.3.3. (↑)
(3) L’indicazione di genere si trova nella rubrica che apre la sezione dedicata a Bertran Carbonel nel ms. R, c. 56: «Aiso son coblas triadas esparsas d’en Bertran Carbonel de Marcelha» (cito da Jeanroy 1913b, p. 143). (↑)
(4) «Cobla es un debate breve, en una o dos estrofas, a veces con tornada, y es término que no debe confundirse con la denominación genérica de la estrofa que integra una composición larga ni con la cobla no dialogada, por lo general moralizadora, epigramática o satírica» (Riquer 1975, I, p. 69). (↑)
(5) La cobla esparsa anonyme. Phénoménologie d’un genre troubadouresque, in Actes du XVIIIe Congrès International de Linguistique et de Philologie Romanes, Université de Trèves (Trier) 1986, vol. IV, Tübingen, Niemeyer 1988, pp. 202-18. (↑)
(6) Meneghetti 1991, p. 52, n. 21 e Asperti 1995, p. 165, n. 18; per inciso, mi pare particolarmente interessante il collegamento istituito dalla Meneghetti (pp. 55-56) fra i mss. contenenti excerpta lirici trobadorici, in gran parte copiati in Italia, e la tradizione della poesia italiana delle Origini, cui giova l’accostamento alla tesi di Antonelli 1987 sulla cobla occitanica quale modello del sonetto (cfr. le analogie di estensione e utilizzo dialogico: pp. 22-23, 52-56 e passim). (↑)
(7) Vatteroni 1990, p. 66 e cfr. Frank 1953-57, I, p. XX (testi schedati nel vol. II, p. 200 fra le «Poésie non lyriques»); sulla scorta di Frank, gli estribot sono esclusi dall’analisi di Sakari 1961, p. 117, n. 1. La definizione di Frank è accettata anche da R. M. Ruggieri, Protostoria dello strambotto romanzo, in Saggi di linguistica italiana e italo romanza, Firenze, Olschki 1962, pp. 13-85 e da D.Rieger 1976, pp. 128-32. Per ulteriori osservazioni e indicazioni bibliografiche rimando a Vatteroni 1990, cui si può aggiungere, sul genere estribot, P. T. Ricketts, L’estribot: forme et fond, in Misc. Bec 1991, pp. 475-83; su Palais, da identificare col giullare cui Folchetto affida la canzone FqMars 155,11 (XIII), si veda nella parte I, il § 3.2.1.2.2. (↑)
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