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Betti, Maria Pia. Le Tenzoni del Trovatore Guiraut Riquier. "Studi Mediolatini e Volgare", 44 (1998), pp. 7-193.

248,037=226,004- Guiraut Riquier

Si tratta della prima delle quattro tensos con Guilhem de Mur (per il quale costituisce anche la prima testimonianza poetica), ed è definita «historique» da ANGLADE (Guiraut Riquier, p. 218 e pp. 49-53), che la riferisce all'anno 1265 per l'accenno alla riconquista della Murcia (v. 10). Si tratta di una sorta di 'reclamo' verso la scarsa generosità manifestata da Giacomo il Conquistatore nei confronti dei due trovatori che, durante il viaggio in Provenza del re (svoltosi, presumibilmente, nel 1264) per raccogliere uomini e fondi utili alla spedizione, si erano spinti fino a Montpellier al fine di incontrarlo ed esporgli le loro necessità, benché l'aragonese avesse già i suoi poeti favoriti, soprattutto Cerverí de Girona e N'At de Mons. Guilhem si mostra più fiducioso di vantaggi futuri rispetto a Guiraut, che non parlerà più del Conquistatore.
Il tema dell'insufficiente patronato nei riguardi dei poeti è presente nel genere dialogato fin da una delle tenzoni più antiche, quella (per alcuni studiosi fittizia, ma cfr. Cercamon, ed. TORTORETO, pp. 37-39 e p. 203) tra Cercamon e Guilhalmi, Car vey fenir a tot dia, del 1137 (BdT 112.1). Ai lamenti di Cercamon, Guilhalmi replica fiducioso (vv. 14-18; da notarsi che anche qui si parla di un cavallo):
 
[...] lo bos temps ve, so cre,
qe auretz aitai guazalha,
qe vos dara palafre
o renda qe mais vos valha,
car lo coms de Peitieus ve.
[TORTORETO, p. 203: «[...] il tempo buono viene, questo credo, in cui avrete un tale sodalizio, che vi procurerà un palafreno o una rendita, che vi frutti di più, poiché viene il conte di Poitiers»].
In tempi vicini al testo in analisi, anche Io sconosciuto Englés nella sua tenzone con un anonimo (A la cort fuy l'autrier del rey Navar, BdT 138.1, edito da MEYER, Les derniers troubadours, pp. 31-35), databile 1253, accusa Thibaud IV di Champagne, re di Navarra, di aver cessato di essere generoso verso i trovatori. Tra i lavori più recenti che trattano la figura di Thibaud, cfr. CAPUSSO, La novella allegorica, pp. 52ss., che accenna anche alla tenzone di Englés (in particolare p. 52, n. 39).
GUIDA, 'Jocs' poetici, pp. 34-39, ha fornito nuove prove documentarie a conferma delle intuizioni di Anglade (basate solamente sui dati ricavabili dai testi dialogati) circa la figura di Guilhem de Mur, autore di una canzone di crociata (per cui cfr. nota ai vv. 37-40) e interlocutore di altri sei tra partimens e torneyamens conservati oltre alla tenzone qui analizzata. Guilhem de Mur era probabilmente un borghese nato a Mur-de-Barrès, nel viscontado di Carladez allora appartenente ai re d'Aragona, in nome dei quali era amministrata dai conti di Rodez; sembra dunque «logico che il trovatore, di modesta estrazione sociale e bisognoso di autorevoli e generosi appoggi, riverisse e cercasse di ingraziarsi tanto i feudatari e governanti vicini quanto i lontani, legittimi sovrani aragonesi» (GUIDA, 'Jocs' poetici, p. 39). La sua abilità di poeta dovette, comunque, procurargli quella relativa agiatezza economica - sempre perseguita invano da Guiraut - attestataci dai testi Guilhem de Mur, chauzetz d'esta partida (nº 11) e Senhe n'Austorc d'Alboy, lo coms plazens (nº 7 dell'ed. GUIDA); non si ha notizia di altri tentativi di cercare protettori diversi dai signori rouergati, oltre al viaggio a Montpellier del 1264 cui si è già accennato. Per quanto riguarda la datazione degli altri testi, essi «possono in gran parte assegnarsi approssimativamente ad un arco di tempo che va dal 1270 alla penultima decade del XIII secolo e ritenersi quasi tutti presentati per la prima volta alla corte di Enrico II» (GUIDA, 'Jocs' poetici, p. 37).
Il quadro sull'identità di Guilhem de Mur è stato ulteriormente arricchito dalle analisi di PERUGI, che nei capitoli Appuntamento a Rodez (pp. 161-191), Chi era «En Sanguiniers» (pp. 192-216) e Ancora un «partimen» da ascrivere a Guilhem de Murs (pp. 217-229) del suo Trovatori a Valchiusa, arriva ad identificare il trovatore con en Sanguinier, autore della canzone Razo e dreyt ay si·m chant e·m demori, classificata in BdT (233.4) sotto il nome di Guilhem de Saint Gregori, ma la cui paternità, secondo altri studiosi che si rifanno alle intuizioni di Appel, è da attribuirsi ad Arnaut Daniel (1). Per Perugi, inoltre, al numero già significativo dei dialoghi in versi di Guilhem che ci sono giunti, sarebbe da aggiungersi anche la tenzone BdT 313.1, Guillem, raizon ai trobada, disputata con un anonimo oste e trasmessa dai mss. IKd (per l'edizione del testo, cfr. PERUGI, Trovatori a Valchiusa, pp. 222-226).
ANGLADE (Les Catalans, p. 572), sottolinea come questa tenzone mostri «l'état d'âme de deux pauvres poètes du XIIIe siècle dont l'imagination et le talent étaient plus riches que la bourse». Bisogna, comunque, tener presente la pratica usuale, dopo le spedizioni militari, di dare ricompense anche ai trovatori, oltre che ai cavalieri, usanza cui allude Guiraut Riquier ai vv. 23-24.
 
1. que cuia far: cfr. l'epistola IV, Qui conois et entens, v. 475, «secors c'om cuja far»; l'epistola X, A penas lunh pro te, v. 34, «ans cuja tal ben far».
 
2. le franc rey d'Arago: è l'unica citazione di Giacomo il Conquistatore nella produzione di Riquier; d'ora in avanti, quando parlerà di reys aragones (come nel vers XII, S'ieu ja trobat non agues, v. 31, del 1280), si riferirà a Pietro III, l'infante di cui cercherà di conquistare i favori a partire dal 1268 (canzone XIII, De far chanson suy marritz). Per i rapporti con Pietro III d'Aragona, cfr. BOSSY, Cours méditenanéennes, pp. 68-69. Per l'aggettivo franc attribuito a rey, cfr. Supplicatio, v. 99: «francx reis, nobles n'Anfos». Come in numerosi casi già ampiamente riscontrati nei testi, la declinazione bicasuale non è rispettata dalla lezione del manoscritto (cfr., più avanti, anche v. 9).
 
6. Il concetto di bisogno materiale racchiuso nell'espressione a mi a gran mestier lo si ritrova nell'epistola XIV, Sel que sap cocelhar, vv. 38-39, «e que l'a·n gran mestier / sos amicx ademprar», in riferimento ad un amico indigente (cfr. LINSKILL, Les Épîtres, p. 332).
 
7. L'inciso è di interpretazione ambigua: potrebbe riferirsi (come forse ritiene NELLI, Écrivains anticonformistes, p. 307) al comportamento ingeneroso del re, cui lo stesso potrebbe ben porre riparo; credo però più probabile, con ANGLADE (Guiraut Riquier, p. 50), che Guiraut avesse esposto la propria misera condizione a Giacomo d'Aragona e che questi si fosse mostrato «particulièrement bienveillant» verso il poeta, creando attese in seguito deluse. Questo spiegherebbe anche perché Riquier si mostri più amareggiato e meno fiducioso per il futuro di Guilhem.
 
8. esmendar: cfr. l'epistola VII, Si·m fos saber grazitz v. 7, «que no·s pot esmendar». Il termine è utilizzato dai poeti moralisti per indicare la nozione di penitenza e di riparazione (cfr. THIOLIER-MÉJEAN, Les poésies satiriques, pp. 202-203).
 
9-16. La cobla presenta difficoltà di traduzione letterale, dal momento che la prima delle due ragioni cui si accenna al v. 11 (l'una buona per il re, l'altra - evidentemente - solo per i trovatori) non è introdotta, come ci si aspetterebbe, da un correlativo (l'una razos, la primeira) messo in relazione con il secondo elemento (l'autra), ma dalla sola congiunzione e. Una costruzione testuale siffatta è naturalmente legata a necessità metriche.
 
14. Uno dei motivi che spingerebbe Giacomo d'Aragona a portare i due trovatori nella spedizione militare, è espresso da Guilhem (non senza una vena di ironia) per mezzo di una terna sinonimica di aggettivi legati da polisindeto (gran e fort e sobrier), per cui cfr. anche CAPUSSO, La novella allegorica, p. 80, vv. 25-26 e nota relativa a p. 100: «Un cavazier, / Bel e gran e fort e sobrier».
 
15. L'ipermetria è già corretta da ALIBERT, Actualité, ripreso da Nelli, con fara·ns al posto di fara nos del manoscritto. Per l'espressione per so car, cfr., nella produzione di Guiraut Riquier, l'epistola II, Al pus noble, al pus valen, v. 62, e l'Exposition, vv. 104, 655 e 794.
 
16. Pfaff conclude il verso con un punto interrogativo, Alibert con i puntini di sospensione (ma senza virgola dopo fag), e Nelli traduce la seconda parte del verso: «quand nous l’aurons mérité». Ritengo però altresì possibile interpretare perque come sostantivo, con omissione dell'articolo che solitamente lo precede. Per faire lo perque, con il significato di 'fare tutto il necessario per ottenere un risultato', cfr. SW, VI, p. 226, e MISTRAL, Lou Tresor, II, p. 549 («faire lou perqué, faire ce qu'il faut pour arriver à un résultat»). Esempi di impiego del termine nell'accezione di 'motivo' sono offerti dal Roman de Flamenca (ed. GSCHWIND, vol. I, p. 38 e relativa nota, vol. II, p. 323), v. 579, «quar non i trobon lo perque», e Peire Cardenal, Amics non es homs si non par (BdT 461.15, ed. LAVAUD, pp, 546-547), v. 7: «Qu'ieu fui amaz aitan qan fis per qe».
 
18. Nel canzoniere riquieriano l'aggettivo coratjos ritorna solo nell'epistola XII, Tant petit vey prezar, v. 338: «l'autre son coratjos».
 
21. per sol alegrier: lett. 'per la sola allegria'. Per la forma alegrier, al fianco di alegransa e alegratge, cfr. CROPP, Le vocabulaire courtois, p. 322.
 
22. conq[ui]er: per motivi di uniformità rimica, già Pfaff integra la forma tradita del verbo conquer (per cui cfr. canzone XIX, v. 27; pastorella III, v. 33; epistola VII, v. 553) in conquier, utilizzata da Guiraut anche nella canzone VIII, A mon dan suy esforcius, v. 23: «Pero bon laus ne conquier».
 
23. L'emendamento di vos del manoscritto (lezione conservata da Pfaff) con nos, già compiuto da ANGLADE (Les Catalans, p. 573), è più coerente col senso complessivo della frase.
 
24. don: la forma verbale al presente congiuntivo è la norma per la dipendente consecutiva introdotta da per que (cfr. JENSEN, The Syntax, pp. 296-297); la sfumatura di significato assunta dalla frase non può comunque essere resa con una traduzione puramente letterale.
 
26. sieu segre: per questo infinito sostantivato, cfr., nella produzione di Guiraut, il vers XI, Yverns no·m te de chantar embargat, v. 20, «quar sos segres m'es avutz saboros», ed il vers XXI, Res no·m val mos trobars, vv. 4-5, «don m'es amars / lurs segres».
 
27. tratz: per il significato letterale di 'trattenere, togliere', ma anche 'soffiire' assunto dal verbo, cfr. LR, V, pp. 398-399, e SW, VIII, pp. 358-362. L'attesa sofferta delle elargizioni reali è rafforzata dal successivo dos tans trebalhar.
 
28. dos tans: il quantificativo ha la funzione, se preceduto da un numero cardinale, di un nome plurale; esso «designates a quantity that is to be repeated as many times as indicated by the cardinal» (JENSEN, The Syntax, p. 59). Dos tans risulta espressione comune nella lirica provenzale, utilizzata, con il significato di 'doppiamente' o di moltiplicativo generico, come variante di per un dos (per la quale cfr. LONGOBARDI, I 'vers', p. 54, nota al v. 33). Nel canzoniere riquieriano, cfr. le canzoni V, Amors, pus a vos falh poders, v. 6, e XXIII, Pus sabers no·m val ni sens, vv. 10 e 11; vers X, Qui·m disses, non a dos ans, v. 33; Supplicatio, v. 61; partimen nº 11, vv. 37 e 53.
 
30. dobl', en: si intende come sostantivo dobl' e particella onorifica en la lezione del manoscritto, doblē, che ANGLADE (Les Catalans, p. 573) emenda doblenc, 'doppio', rispetto a Pfaff (dobl'en, senza virgola tra i due elementi).
 
32. aiam quecx cor segon com lo cors ve: ANGLADE, in nota (Les Catalans, p. 573), suggerisce: «segon com o (ou lo) conve (cove)? Faut-il lire quecx cors (cursus) = courons chaucun contre les mécréants?». Migliore sembra, comunque, l'interpretazione di Nelli, che mantiene anche la paronomasia (consueta non solo nella lirica provenzale) 'cuore-corpo': «Pourvu que contre les mécréants nous ayons chacun le coeur à la mesure du corps». Guilhem si riferirebbe qui a quanto affermato al v. 14.
 
33-34. Guida sottolinea la vicinanza tra il contenuto di questi versi ed i vv. 19-20 della tenzone Senhe n'Austorc d'Alboy, lo coms plazens, nº 7 della sua ed., p. 245: «e play li may araires o fossors / qu’estar en cort ni entre bona gens». Per pastor e bovier, cfr. Supplicatio, rispettivamente v. 519 e v. 512.
 
35. I Sarrazis sono citati da Guiraut anche nel vers VILI, v. 55, nel vers IX, v. 33, nel vers XXVI, v. 35, e nel torneyamen Senhe n'Enric, us reys un ric avar, nº 5 dell'ed. GUIDA, v. 52.
 
36. qu'ieu remanrai, car non an obs a me: Nelli traduce (p. 309): «Pour moi, je resterai: je n'ai nul besoin de tout cela».
 
37-40. Secondo ANGLADE, Les Catalans, p. 574, la conclusione di Guilhem ben si addice a «ce jongleur matamore, qui adressait plus tard une demand du même genre au compte de Rodez». Lo studioso si riferisce alla canzone di crociata BdT 226.2, D'un sirventes far mi sia Deus guitz (CHABANEAU, Cinq tensons, pp. 124-125, riproposta ora, su testo di Appel, da PERUGI, Trovatori a Valchiusa, pp. 196-198), trasmessa, parzialmente mutilata, dal solo ms. C. Essa è indirizzata a Giacomo d'Aragona per esortarlo alla crociata («L'arcivesque prec de cuy es Toleta / Qu'amoneste lo bon rey d'Arago / Que per complir son vot en mar se meta / E per tener en pes son bon resso», vv. 41-44), ed è dunque databile 1268 o 1269. Nella tornada finale Guilhem de Mur si rivolge direttamente al conte di Rodez, Enrico II, suo interlocutore in alcuni partimens e senza dubbio suo protettore, chiedendogli un equipaggiamento che possa permettergli di imbarcarsi adeguatamente per la Terrasanta («E s'al comte de Rodes platz quem meta / En mai d'arnes, yeu mezeis........... o», vv. 45-46). Come già sottolinea Perugi, però (p. 199), il tono «predicatorio» ed austero della canzone è ben distante da quella «allegra incoscienza» che aveva caratterizzato, pochi anni prima, la tenzone.
 
38. rossi: il ronzino è uno dei doni classici del signore come ricompensa di servigi; ad esempio nella tenzone bilingue di Raimbaut de Vaqueiras (BdT 392.7), Domna, tant vos ai preiada, la donna genovese conclude: «meill varà, per sant Martì, / s'andai a ser Opetì, / que dar v'a fors' un roncì, / car sei jujar» (Raimbaut de Vaqueiras, ed. LINSKILL, p. 101, vv. 93-96).
 
39. l'autr'arnes: cfr. l'epistola VII, Si·m fos saber grazitz, v. 241, «calc'autre bel arnes», tradotta da LINSKILL (Les Épîtres, p. 110) «quelque bel équipement».
 
 
Nota
 
(1) I riferimenti bibliografici riguardanti il dibattito sull'attribuzione della canzone, suscitato dalle affermazioni di PERUGI, sono già stati forniti nell'introduzione, n. 60. ()

 

 

 

 

 

 

 

 

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