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Boni, Marco. Sordello, Le poesie. Nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario. Bologna: Palmaverde, 1954.

437,002- Sordel

1 e segg. Si noti il giuoco di parole fondato sulla ripetizione di vida e di viure, del quale abbiamo qualche esempio altrove (cfr. ad es. la canz. S’eu fos en cort di Peire Vidal, v. 20: si tot me viu, mos viures no m’es vida). Tali ripetizioni di parole della medesima radice erano la caratteristica delle coblas refranchas, su cui cfr. le Leys d’Amors, ed. GATIEN-ARNOULT, Toulouse, 1841-43, I, p. 250, ed. J. ANGLADE, Toulouse-Paris, 1919-20, II, p. 129 (e cfr. gli esempi dati dal COULET, Le troub. Guilhem Montanhagol, Toulouse, 1898, p. 65 e dallo JEANROY e dal SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint Circ,Toulouse, 1913, p. 194). Il BERTONI, I trov. d’It., Modena, 1915, p. 533 pensa che da questa strofe Uc de Saint Circ abbia tratto il senhal Ma Vida con cui egli designa Sordello nella sua nota danseta (cfr. p. XLVI). Ritengo però che tale ipotesi debba essere scartata, in quanto la danseta di Uc è verisimilmente anteriore a questa canzone di Sordello, composta con ogni probabilità in Provenza per Guida di Rodez - ses plus: letteralm. «senza più», «e non più»; rafforza l’aitant (cfr. S. W., VI, p. 398, 4, ove è citato anche questo passo di Sordello; cfr. anche COULET, ibid., p. 66).
 
8. ten a vida. Il BERTONI, ibid., p. 293 e 533, considera qui tener a come avente il senso di tener en (cfr. S. W., VIII, p. 147, 12) e traduce «poiché nient’altro mi tiene in vita». Ma qui, come osserva lo JEANROY, A propos des «Trovatori d’Italia» de M. G. Bertoni, in Annales du Midi, XXVII-XXVIII, 1915-16, p. 208, si riprende l’idea esposta nei v. 1-2. D’altra parte, per avere il senso voluto dal Bertoni dovremmo avere en vida. Il S. W., VIII, p. 759, 14 segue il Bertoni.
 
10. La lezione temps di C, accolta dal DE LOLLIS, è certo da scartare, avendo contro di sé tutta la tradizione, ed è evidentemente il ritocco di un copista, forse del copista di C, che, come si sa (cfr. BERTONI, ibid., p. 182, n.) intervenne spesso con emendamenti, talora ottimi, quando si trovava dinanzi un testo guasto o che non gli pareva chiaro - falh’: congiuntivo, come intendono lo JEANROY, ibid., il LEVY, rec. del vol. del BERTONI, in Archiv f. das St. d. n. Spr. u. Lit., CXL, 1920, p. 113, il LEWENT, rec. del vol. del BERTONI, in Literaturblatt f. germ. u. rom. Phil., XXXVI, 1915, p. 354 e l’APPEL, rec. del vol. del BERTONI, in Deutsche Literaturzeitung, 1917, p. 863. Il BERTONI, ibid., p. 534, dà qui a falhir il senso di «fallire», «pensare» e crede che si tratti dell’indicativo falh; cosicché traduce (p. 293): «che sempre temo di fallire pensandola (cioè: temo di non pensare a lei con abbastanza raccoglimento)». Ma qui si ha falhir riflessivo, che vale «non essere sufficiente» (S. W., III, p. 401, 4 «nicht hinreichen, ungenügend sein»).
 
14. sos genz cors: si ha qui il solito uso di cors per indicare la persona. Qui è usato col possessivo, ma si trova anche senza il possessivo. Sul costrutto cfr. A. TOBLER, Vermischte Beiträge zur franz. Grammatik, Leipzig, 1886, I, p. 30 e segg.; e cfr., fra l’altro, L. R., II, p. 494; S. STROŃSKI, Le troub. Elias de Barjols,Toulouse, 1906, p. 42; A. CAVALIERE, Le poesie di Peire Raimon de Tolosa, Firenze, 1935, gloss.; C. APPEL, Prov. Chrest., Leipzig, 1930, gloss.; A. STIMMING, Bertran de Born, Halle, 1879, p. 297 (n. a XLI, 31).
 
15-16. Il DE LOLLIS, pur leggendo «con la nau en mar guida / La tramontana el fer el caramida», notava (Vita e poesie di Sord., Halle, 1896, p. 277): «Il senso dovrebb’essere: così come la stella del nord guida la nave in mare e la calamita [attrae] il ferro» e sosteneva la sua interpretazione osservando che «non si capirebbe come e perché il ferro fosse messo insieme con la stella e colla calamita» e che «la tramontana che guida la nave in mare e la calamita che attira a sé il ferro son due similitudini che ricorrono spesso, e qualche volta insieme, ma sempre distintamente, presso i poeti del sec. XIII»; ma poi era costretto a confessare che la lezione dei mss. contrasta con tale interpretazione. Contro l’interpretazione del De Lollis prese subito posizione il MUSSAFIA, Zur Kritik und Interpretation rom. Texte, in Sitzungsberichte d. Kais. Akad. d. Wiss. di Vienna, Phil. - hist. Klasse, CXXXIV, 1895, IX Abh, p. 8, mostrando che per il consenso della tradizione e per l’impossibilità di riferire il verbo guidar anche all’azione della calamita che attira il ferro, nonché per il fatto che qui si insiste esclusivamente su guidar e guida [quasi certamente in rapporto con Guida di Rodez, come si è visto], è necessario considerare caramida come soggetto di guida las naus. L’interpretazione del Mussafia venne accolta e convalidata con nuove osservaz. dal BERTONI, ibid., p. 534 e seg.; e certo coglie nel vero. Sulla questione cfr. anche F. TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, in Giorn. dant., VII, 1989, p. 7 e segg.; P. E. GUARNERIO, rec. del vol. del DE LOLLIS, in Giorn. stor. d. lett. it., XXVIII, 1896, p. 400 [che combatte con ragioni non convincenti la tesi del Mussafia]; A. JEANROY, rec. del vol. del DE LOLLIS, in Revue critique d’hist. et de littérat., XLII, 1896, p. 286; A. LǺNGFORS, rec. del vol. del BERTONI, in Romania, XLIV, 1915-16, p. 606 e seg. Tramontana è usato sostantivamente, sottintendendo estela, e indica la stella polare; fer è l’ago calamitato, caramida la pietra magnetica. In favore della lezione las naus e contro la lezione la nau, che pure si potrebbe sostenere sulla base della tradizione manoscritta, sta il v. 18, che ha decisamente il plurale.
 
17. ferm’estela. Anche qui è necessario discostarsi dal De Lollis, che legge guid’al ferm l’estela, considerando ferm come aggettivo sostantivato, nel senso di «luogo sicuro d’approdo» (ibid., p. 278, e cfr. gloss. p. 314), perché la tradizione manoscritta non ci permette di giungere a questa ricostruzione: cfr. MUSSAFIA, ibid., p. 9; APPEL, Prov. Chrest., p. 72; O. SCHULTZ-GORA, rec. del vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil., XXI, 1897, p. 253; BERTONI, ibid., p. 535, Ferm’ è da tradursi — seguendo il BERTONI (ibid., p. 293 e 535), la cui interpretazione è accolta anche dal CAVALIERE (ibid., p. 405 e 570) — «fissa», «ferma», poiché tale appunto appare la stella polare. Non è necessario intendere col MUSSAFIA (ibid.) o coll’APPEL (ibid., gloss. s. ferm) «z uverlässig, sicher leitend».
 
18. la mar. La variante lo mar di C R, benché da scartare (cfr. v. 20), è interessante come esempio dell’uso (raro) di questo nome al maschile (cfr. S. W., V, p. 117).
 
20. Evidentemente Sordello si compiace qui di riprendere il bisticcio tra la mar e l’amar non infrequente nella lirica trobadorica: cfr. gli esempi citati dal DE LOLLIS, ibid., p. 278 e dal BERTONI, ibid., p. 535. La forma femminile data da questo verso, attestata senza deviazioni da tutta la tradizione, e il bisticcio mostrano che la variante lo mar del v. 18 è da scartare.
 
21. esvaratz: esvarar qui vale «smarrire» (cfr. S. W. III, p. 359 eK. STICHEL, Beiträge zur Lexicographie des altprov. Verbums, Marburg, 1890, p. 57).
 
28. Si noti la coppia di gerundi concomitanti, usati asindeticamente: costrutto assai frequente nell’antico provenzale, su cui cfr. O. SCHULTZ-GORA, Unvermitteltes Zusammentreten von zwei Adjectiven oder Partizipien im Provenzalischen, in Zeitschr. f. rom. Phil., XVI, 1892, p. 515 e seg.; V. CRESCINI, Manuale per l’avviamento, Milano, 1926, p. 124. I gerundi possono essere anche tre (cfr. Granet, Comte Karle, v. 41 en batalla cazen feren levan: ed. A. PARDUCCI, in Miscellanea di letteratura del medio evo, Roma, 1949, p. 22).
 
32. Il va riferito alla donna, non alla morte, come intende il BERTONI che traduce (ibid., p. 293; e cfr. p. 536): «La morte mi giova, perché non mi sarà altrettanto dolorosa, non sopportando essa, come me, il dolore della ferita d’amore». Si cfr. JEANROY, A propos, e LEWENT, rec. al vol. del BERTONI. Accolgo anche il no·n in luogo di non, proposto dal LEVY, rec. al vol. del BERTONI: il n va riferito al dartz o a amor.
 
36. esser... partentz. Su questa costruzione cfr. F. DIEZ, Gramm. der romanischen Sprachen, Bonn, 1882, p. 908. Evidentemente la lezione data da C in questo verso è una correzione, forse escogitata dal copista di C per sanare un testo già corrotto (cfr. la lacuna di R).
 
37. e: Serve spesso, specialmente in unione con doncx, a introdurre una frase interrogativa (cfr. DIEZ, ibid., p. 1059).
 
38. Anche qui la lezione di C è evidentemente una correzione, forse suggerita da una corruttela nel testo che il copista aveva dinanzi (cfr. la lez. di R).
 
39-40. enans ... que: cfr. S. W., II, p. 413, 6.
 
40. partir: ha il senso ben noto di «cessare di amare».
 
41. N’Agradiva: è certo la lezione esatta, essendo questo senhals usato da Sordello in altre poesie (XXII, v. 36; XLIII v. 1300 e 1326). - razitz: espressione non infrequente: cfr. Bertolome Zorzi, sirv.-canz. Totz hom q’enten, v. 53-54: et amors cim’ e rassitz / de mainz affars cabalos (ed. E. LEVY, Halle, 1883, p. 57).
 
45-46. La varietà di lezione di C R nel v. 45 fa sospettare che il testo nel capostipite della famiglia fosse corrotto, e consiglia di accogliere la lezione dell’altra famiglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

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