2-3. Accolgo la divisione delle parole, l’interpunzione e l’interpretazione proposte dal MUSSAFIA, Zur Kritik und Interpretation rom. Texte, in Sitzungsberichte d. Kais. Akad. d. Wiss. di Vienna, Phil. - hist. Klasse, CXXXIV, 1895, IX Abh, p. 13, che mi sembrano del tutto sicure. Il De Lollis poneva punto e virgola alla fine del v. 2, dopo mes, leggendo all’inizio del v. 3 sa vidas trai. L’espressione se traire a vida per se tener a vida, «tenersi in vita», «vivere», si ritrova anche nell’ Ensenhamen (XLIII), v. 1304. Si cfr. S. W., VIII, p. 364, 31, ove è citato anche questo passo di Sordello.
5. per .... esperan: il per va unito al gerundio, come ha ben chiarito il MUSSAFIA, ibid., p. 14 (la cui interpretazione fu approvata anche dallo SCHULTZ GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil., XXI, 1897, p. 254). Preceduti da preposizioni i gerundi assumono il valore di infiniti sostantivati: cfr. F. DIEZ, Grammatik der roman. Sprachen, Bonn, 1882, p. 953, n. 1, e specialmente A. TOBLER, Vermischte Beiträge, Leipzig, 1886, I, p. 44. Cfr. anche la ricca esemplificazione raccolta dallo STIMMING, Bertran de Born, Halle, 1879, p. 256, n. al v. 2 del n. 14. Le costruzioni più comuni sono quelle con a, con de e con en. Cfr. XXVIII, v. 10.
9. de … flor: tali espressioni formate con flor sono, come è noto, assai comuni, e non è necessario riferirne qui degli esempi. Si cfr. (oltre a L. R., III, p. 342 e S. W., III, p. 509, 2) STOESSEL, Die Bilder und Vergleiche der altprovenz. Lyrik,Marburg, 1886, p. 12 e 15; J. COULET, Le troub. Guilhem Montanhagol, Toulouse, 1898, p. 115 (n. al v. 20 del n. VII); G. BERTONI, I trovatori d’Italia, Modena, 1915, p. 495 (n. al v. 24 del n. IV) e 497 (n. al v. 1 del n. VI).
11. defendre ... que: qui defendre ha il senso di «impedire». Cfr. L. R., IV, p. 360.
15. retenen grat: retener grat vale «cattivarsi la gratitudine» di qualcuno. Cfr. Paulet de Marseilla, canz. Ara qu’es, v. 16-18 tan sap valer / que de totz sap retener / grat que vezon son cors gai (ed. E. LEVY, in Revue des langues romanes, XXI,1882, p. 274), e planh Razos non es, v. 19-20 quar selh es mortz que sabia renhar / retenen grat de Dieu e de la gen (ibid., p. 278); Bemart de Rovenac, sirv. Ja no vuelh, v. 1-3 Ja no vuelh don ni esmenda / ni grat retener / dels ricx ab lur fals saber (ed. G. BOSDORFF, Erlangen, 1907, p. 40). Cfr. S. W., IV, p. 172, 16.
16. Si potrebbe anche, come suggerisce il NAETEBUS, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Archiv f. das St. d. n. Spr. u. Lit., XCVIII, 1897, p. 205, accettare la lezione di T f que (o quez) a valor, con la quale scomparirebbe la violazione delle regole della flessione che si ha con la lezione di C R. Cfr. però la n. a V, 15-16.
18. que·m lonha: si potrebbe anche tradurre «mi rifiuta»: cfr. Guilhem Montanhagol, canz. Non estarai, v. 14-15 pero a cels que·n son aissi lognat / logna ilh [l’amore]joi, pretz e tota bontat (ed. COULET, p. 119) che il Coulet traduce appunto «refuse-t-il joie, honneur…». Cfr. anche S. W., IV, p. 437, 1.
19. endreg ... clamar: di solito se clamar è costruito col de: basti citare Bernart de Ventadorn, canz. Be m’an perdut, v. 7 ni de ren als no·s rancura ni·s clama (ed. C.APPEL, Halle, 1915, p. 68).
21. no ... tan ni quan: preceduta da negazione l’espressione vale «gar nicths»: cfr. S. W., VIII, p. 44, 7; e C. APPEL, Prov. Chrest., Leipzig, 1930, gloss. Cfr. L. R., V, p. 300.
24. aman: intenderei: col mio amore, manifestandole il mio amore, ossia: con le manifestazioni del mio amore.
25. Hon ... estey: una delle solite frasi formate con on que, assai frequenti anche in Sordello; cfr. IV, v. 16; e cfr. in questa canzone, v. 39. azor: per azorar usato in riferimento a un luogo cfr. Bertran de Born, sirv. Rassa, tan creis, v. 21-22 cilh que se fant conoissedor / de mi vas cal part ieu ador (ed. STIMMING, p. 203).
26. cortes: è usato qui come sostantivo; ma non nel senso di «uomo di corte», come talora accade (cfr. ad es. Folquet de Romans, Una chanso-sirventes, v. 39-40 que fay / gran sofrait a nos cortes; ed. R. ZENKER, Halle, 1896, p. 46), bensì in quello, pure attestato (cfr. ad es. la vida di Guglielmo di Poitiers, si fo uns dels majors cortes del mon [ed. J.BOUTIÈRE, A. H. SCHUTZ, Biographie des troubadours, Toulouse-Paris, 1950, p. 81]; Bertran de Born, Mon chant fenisc, v. 15 Reis dels cortes e dels pros emperaire [ed. STIMMING, p. 176]) di «gentiluomo», «uomo dotato di tutte le virtù ‘cortesi’ e cavalleresche». Preferisco, col NAETEBUS (ibid.), togliere la virgola posta dal De Lollis dopo cortes e trasportarla dopo il pros del v. seguente.
28. de cors, de cor: cfr. II, v. 42 e la nota relativa.
29. de bel gran; letteralm. «di bella statura», «di bella conformazione», «di bella figura» (dall’APPEL, Prov. Chrest., gloss., gran è spiegato con «Grösse», «Wuchs»). Cfr. Amanieu de Sescas, A vos qu’ieu am, v. 81 vis anc dona de tan bel gran (ibid., p. 140), e Bertran de Born, Dompna puois, v. 57 sa gajeza e son bel gran (ed. STIMMING, p. 149). Lo Stimming però nel glossario della sua ed. dà a gran in questo ultimo passo il significato di «Art», «Wesen». Cfr. L. R., III, p. 495; S. W., IV, p. 166.
30. Lo JEANROY, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Revue critique d’hist. et de littérat., XLII, 1896, 2, p. 286, propone di leggere [e] fresca: ma tale emendamento non è indispensabile.
36. tan m’azire: l’espressione ricorre anche nel v. 13 della canz. Non es meravelha di Bernart de Ventadorn: Ja Domnedeus no·m azir tan / qu’eu ja pois viva jorn ni mes / pois que d’enoi serai repres / ni d’amor non aurai talan (ed. APPEL, p. 188, che traduce a p. 193 «Nimmer möge Gott mich also hassen...»; e S. BATTAGLIA nella sua ed. delle canzoni di Jaufre Rudel e di Bernart de Ventadorn, Napoli, 1949, p. 210, traduce a sua volta «Il signore Iddio non mi disprezzi tanto...»).
37. per paguatz: cfr. V, v. 47 e la nota relativa - ab aitan: non ha qui il consueto valore temporale di «frattanto», «allora», «in quel momento», che ha anche ab tan e che è copiosamente documentato (cfr. L. R., V, p. 302; S. W., VIII, p. 46, 25; APPEL, Prov. Chrest., gloss., cfr. aitan e tan; V. CRESCINI, Manuale per l’avviamento, Milano, 1926, gloss., cfr. tan); ma è da mettere in relazione col que del verso seguente, e da intendere «per questo», «con questo» (in rapporto naturalmente con paguatz). Il DE LOLLIS, Vita e poesie di Sord., Halle, 1896, p. 283, traduce «con così poco». Il MUSSAFIA, ibid., rende il senso di tutta la frase con: «ich bin damit zufrieden, dass...».
38-39 d’aquo: «di ciò», «riguardo a ciò». Il DE LOLLIS, ibid., traduce il passo: «almeno di ciò (e questo gen. al pari che d’amor dipenderebbe da paguatz) che io desidero». - autr’aman ... tem: il poeta cioè non teme la concorrenza di un altro amante. Il LEVY, S. W., VII, p. 528, 12, citando questo passo, pone una lineetta dopo aitan e un’altra dopo tem, mostrando così di legare l’ab aitan al que del v. 39 (interpretazione che mi sembra assai discutibile, e che io scarterei), e dichiara che il senso del v. 38 e di parte del v. 39 (da savals a tem) non gli è chiaro. Il MUSSAFIA, ibid., si domanda se autr’ aman, in rapporto ai v. 41-43, non debba interpretarsi come equivalente a alteram amantem: ma è costretto a confessare che non saprebbe in tal modo come spiegare il passo.
39-40. Il DE LOLLIS legge il v. 40 Cridar: segur, merce, de la gensor, considerando segur e merce come due esclamazioni, e traduce tutto il passo (ibid., p. 283): «giacché (di questo io mi contento, e troppo poco sarebbe per un altro amante) io posso nella mia insegna, dovunque io mi volga, implorare (gridando): salute, mercé, dalla più gentile». Dal De Lollis dissente il MUSSAFIA (ibid.), il quale non reputa esclamazioni né segur né merce, ma considera segur avverbio e merce oggetto di cridar (da intendersi nel senso di «implorare»), e quindi traduce: «dass ich keinen anderen Liebenden zu fürchten habe, dass ich unbesorgt um Gnade flehen kann». Una via intermedia tiene lo SCHULTZ-GORA (rec. al vol. del DE LOLLIS, ibid.), che, pur respingendo la tesi del De Lollis, in quanto in tal modo (a suo giudizio) de la gensor rimarrebbe senza appoggio, ritiene che nemmeno la tesi del Mussafia sia del tutto accettabile, poiché trascura en ma senh’; e per questo ritiene segur una esclamazione, citando a sostegno della sua tesi i v. 11-12 della canz. Nulha res di Guiraut de Borneill (c’obs m’es que mos chans se melhur / pos en ma senha crit: segur; ed. A. KOLSEN, Berlin, 1894, p. 52, ove però si legge Segur con la maiuscola, dato che il Kolsen ritiene che si tratti di un Versteckname: interpretazione accennata già nel vol. su Guiraut del 1894, p. 25 [e riaffermata nel commento che costituisce il secondo vol. dell’edizione, Halle, 1935, p. 31 e seg.], e che lo Schultz-Gora non condivide) e i v. 33-34 della canz. Ges del joi di Peire Vidal (Ai! quan poirai cridar: segur! / ni quoras serai benenans?; ed. J. ANGLADE, Paris, 1923, p. 7). Mi sembra che l’interpretazione data dallo Schultz-Gora al tormentatissimo passo (che è stata accolta anche dal LEVY, S. W., VII, p. 528, 12) sia la più ragionevole, specialmente per il riscontro con Guiraut de Borneill, dove si ritrova la stessa immagine di Sordello. En ma senh’ sarà da tradurre, piuttosto che «nella mia insegna», «nel mio grido di guerra» («Feldgeschrei» sec. il Kolsen e S. W., III, 32 e VII, p. 569, 2; e cfr. L. R., V, p. 226 e 229). Per l’immagine, desunta dal linguaggio guerresco e cavalleresco, sono da tenere presenti anche il descort Engles, un novel descort di Raimbaut de Vaqueiras, v. 46-48 mas lo ben grazirai, / e l’onrad’ensenha / del sieu nom cridarai [ove sieu si riferisce alla donna amata] (C. APPEL, Prov. Inedita, Leipzig, 1892, p. 273) e la canz. No·m puosc sufrir di Peire Raimon de Tolosa, v. 80-83 per q’ieu, on qe·m teigna, / ades crit s’enseigna, / e vau ressonan / son pretz... (ed. A. CAVALIERE, Firenze, 1935, p. 56). L’espressione verisimilmente sarà da intendersi in senso figurato (cfr. ibid., p. 62). L’espressione cridar:segur (a proposito della quale si potrebbe anche citare, come esempio interessante, perché la locuzione vi è usata in senso proprio, il v. 47 segur! poirem cridar, reial! del sirventese Emperaire, per mi mezeis di Marcabru; avvertendo però che tale interpretazione è discutibile, tanto che il DEJEANNE nella sua ediz. e recentemente il RONCAGLIA nel saggio I due sirventesi di Marcabru ad Alfonso VII, in Cultura neolatina, X, 1950, p. 161 intendono segur come aggettivo, «sicuri») è tradotta nel S. W., VII, p. 528, 12 dubitativamente «Viktoria rufen», anche per questo passo di Sordello: ma io credo che qui sia meglio intendere l’espressione come equivalente a un «sta sicuro!», «sii sicuro!», cioè come una affermazione di sicurezza nell’amore in rapporto al non tem che precede (anche l’Anglade traduce il passo di Peire Vidal sopra citato con «quand pourrai-je crier: sûr!»). Secondo lo Schultz-Gora l’espressione merce de la gensor non va compresa nell’esclamazione, ed è da considerarsi un accusativo assoluto, col valore di «vermöge der Gnade des Schönsten, dank der Schönsten». (Si potrebbe però formulare anche l’ipotesi che anch’essa faccia parte dell’esclamazione, in rapporto con segur; «[sii] sicuro (tranquillo), per la grazia della...»). - on qe·m vire: cfr. v. 25. La ricostruzione della frase mi sembra sicura, nonostante che sia data chiaramente solo da T: la lezione ques (= que·s) non darebbe un senso soddisfacente.
41. autra: emendamento proposto dallo Schultz-Gora (al posto dell’autre del ms.), che mi sembra necessario.
42. no sia: felice supplemento proposto dal Mussafia, confrontando la frase qui usata con i v. 1215 e segg. dell’ Ensenhamen (XLIII), e accolto anche dallo Schultz-Gora.
44. Il paragone fra lo stagno e l’oro è quasi un luogo comune della lirica trobadorica, tanto frequentemente si trova ricordato. Sarà sufficiente rimandare agli esempi raccolti dallo STIMMING, Bertran de Born, p. 259, n. al v. 51 del n. 13 e a quelli citati dal DE LOLLIS, Vita e poesie di Sord., p. 283. Tra i passi ricordati, particolarmente notevoli i v. 85-87 della canz. Jois e chans di Guiraut de Borneill (car be·n barganh, / s’eu per estanh / do mon aur? Que folors...; ed. KOLSEN, p. 296), assai simili ai versi di Sordello. Cfr. anche E. CNYRIM, Sprichwörter, sprickwörtliche Redensarten u. Sentenzen bei den prov. Lyriken, Marburg, 1887 («Ausgaben u. Abhandlungen»,p. LXXI), n. 817, 819, 826-29. |