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Boni, Marco. Sordello, Le poesie. Nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario. Bologna: Palmaverde, 1954.

437,021- Sordel

1-2. Non pueis mudar... gronda: cfr. Guiraut de Borneill, tenz. S’ie·us quier v. 17 No posc mudar que contr’orgolh no gronda (ed. A. KOLSEN, Berlin, 1894, p. 368); Bertran de Born, sirv. Non puosc mudar, v. 1 Non puosc mudar un chantar non esparga (ed. A. STIMMING,Halle, 1879, p. 183); Guiraut de Cabreira, Cabra juglar, v. 2-3 non puesc mudar / qu’eu non chan... (ed. V. CRESCINI, Manuale, Milano, 1926, p. 186). Per non poder mudar que non cfr. S. W., V, p. 341, 6; C. APPEL, Prov. Chrest., Leipzig, 1930, gloss.; KOLSEN, ibid., gloss. -luecs es: cfr. L. R., p. 88.
 
4. an comprat fonda: espressione di interpretazione assai incerta. Il DE LOLLIS, Vita e poesie di Sord., Halle, 1896, p. 250 osserva che fonda «deve essere, benché non registrato dai lessici, nel senso di ‘fondaco’, ‘magazzino’, ‘luogo da accoglier mercanzie’ (cfr. F. DIEZ, Et. Wort.5, 143, 151); e s’ha da intendere, sempre però in senso figurato, che i baroni hanno acquistato in comune un locale riposto per accogliervi le rendas e i ses del v. 15, che val quanto dire per accentrarvi le loro forze». Il S. W., III, p. 529, 2 cita il passo, limitandosi a trascrivere la nota del DE LOLLIS. Il TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, in Giorn. Dant., 1897, VII, p. 18, nega che vi sia una relazione tra questo v. e il v. 15, e, dopo aver osservato che il fundacum «era aperto, mantenuto, vigilato dal sovrano, al quale i mercanti pagavano una tassa», si domanda: «giacché i baroni s’eran procurato un fondaco proprio (e non c’è ragione di non ammettere il senso letterale) vuol dire che miravano a riscuotere essi la tassa?».
 
5-6. assesmat es: assesmar o assermar (anche acermar) vale «apprêter, préparer, disposer» (L. R., V, p. 207), quindi il passo letteralmente significa: «voi siete tutto pronto che vi si rasi e tosi...». Il conte di Provenza, cioè, come osserva il DE LOLLIS, è minacciato di essere spogliato dei suoi domini. - c’om: ho mantenuto, seguendo il suggerimento del LEVY, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil., XXII, 1898, p. 251, la lezione del ms., perché il verso non appare ipometro, se si ammette lo iato tra rasa ed e. Il DE LOLLIS stampa invece, emendando, que om. - rasa e tonda: per questa espressione cfr. STIMMING, ibid., p. 277, n. al v. 9 del n. 28; E. LEVY, Guilhem Figueira, Berlin, 1880, p. 86; DE LOLLIS, ibid., p. 250; G. BERTONI, I trov. d’It., Modena, 1915, p. 515 (n. al v. 1 del n. XVII) e 525 (n. al v. 27 dei n. XXIV); L. R., V, p. 35 e 372.
 
7. en redon: il codice ha en rendon, che può ritenersi equivalente a en randon, «impetuosamente», «rapidamente», «d’un tratto» (L. R., VII, p. 41; S. W., VII, p. 31 e 132, 2). Ma credo sia preferibile accogliere l’emendamento, del resto facilissimo, en redon, adottato dal RAYNOUARD, L. R., V, p. 59 (ove è citato questo passo) e dal DE LOLLIS, e approvato anche, a quanto riferisce il De Lollis, dallo CHABANEAU.
 
8. per piez... contramon: il DE LOLLIS osserva che piez «deve aver qui un valor di comparazione, quantitativo oltre che qualitativo, in modo che si abbia da intendere: ‘per montare sempre più’ (al poeta par mal fatto, e perciò dice ‘peggio’)». Credo però preferibile l’interpretazione del LEVY, ibid., il quale propone, benché dubitativamente, di tradurre: «damit ihr weniger gut emporsteigen könnt». Per puiar contramon cfr. L. R., IV, p. 260 e la nota del DE LOLLIS (però contramon, come osserva il Levy, significa ‘in alto’, non ‘assai in alto’ come traduce il De Lollis).
 
10. Peire Bremon. Secondo il DE LOLLIS si tratta di Pietro Bermond, vassallo di Raimondo VI di Tolosa, che nell’anno 1209 col padre suo Bernard d’Anduze e con altri baroni giurò obbedienza alla Chiesa nelle mani del legato, dopo che Raimondo VI ebbe ottenuta l’assoluzione (DEVIC-VAISSETE, Hist. gén. de Languedoc, VI, p. 278) e che quando Raimondo VI, di cui aveva sposato la figlia primogenita, si recò nel 1215 a Roma per presentarsi al concilio lateranense, nel quale si doveva decidere la sua sorte, si recò anch’egli a Roma per raccogliere l’eredità della contea di Tolosa nel caso che ne fossero stati privati suo suocero e suo cognato (cfr. G. CATEL, Histoire des comtes de Tolose, Tolose, 1623, p. 305; J. P. PAPON, Histoire générale de Provence, Paris, 1777, II, p. 292). A questa andata a Roma di Peire Bermond, secondo il DE LOLLIS, alluderebbe appunto Sordello per ammonire il conte di Provenza che, come i contrasti tra la Chiesa e Raimondo VI di Tolosa avevano indotto Peire Bermond, genero di quel conte, a sperar di ottenere la successione della contea tolosana, così l’odio dei baroni provenzali contro di lui poteva far sorgere e favorire le aspirazioni della corte di Francia al dominio sulla Provenza (avendo appunto Luigi IX sposato nel 1234 Margherita, primogenita di Raimondo Berengario). Si potrebbe però forse spiegare l’allusione anche riferendola a quel Peire Bermond, figlio del precedente, che nel 1226, quando Luigi VIII si preparava alla guerra col conte di Tolosa, si affrettò a fargli omaggio dei suoi possessi (DEVIC-VAISSETE, ibid., VI, p. 601), intendendo che i baroni provenzali sono pronti a fare omaggio dei loro stati a chi venga ad assalire Raimondo Berengario. Il TORRACA,Sul «Pro Sordello», p. 18, vorrebbe scorgere nel personaggio qui nominato Peire Bremon Ricas Novas.
 
12. Gironda. Secondo il DE LOLLIS si tratterebbe di Girona (lat. Gerunda) in Catalogna; ma in tal modo è assai difficile spiegare chi sia il personaggio a cui qui si allude. Lo SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil., XXI, 1897, p. 246, formula l’ipotesi che Gironda indichi qui il territorio in cui scorre la Garonna, e propone pertanto di scorgere nel passo un’allusione al conte di Tolosa. Certo tale ipotesi non è scevra di difficoltà (bisognerebbe, fra l’altro, documentare più ampiamente di quanto non faccia lo Schultz-Gora tale significato della voce Gironda); ma l’identificazione, che lo Schultz-Gora propone, del personaggio oscuramente ricordato da Sordello si adatta al contesto del sirventese e ha notevoli probabilità di cogliere nel segno. Credo inaccettabile la proposta del TORRACA, che vorrebbe leggere gir onda, sostituendo mieilh con miegh e intendendo en nel senso di en lo.
 
13. qi·l mieilh: il ms. ha el mieilh, e il DE LOLLIS, conservando questa lezione, pensa che il v. 13 sia apposizione di tals, e intende «ché in Girona vi è qualcuno, ed è quel che di meglio vi sia nel vostro paese, il quale...»; ma è costretto a confessare di non riuscire a identificare il personaggio a cui questi versi farebbero allusione. Preferisco quindi adottare la congettura qi·l proposta dallo SCHULTZ-GORA.
 
14. e: nel ms. qi, mantenuto dal DE LOLLIS. Anche questo emendamento è stato proposto dallo SCHULTZ-GORA. - rebronda: il De Lollis, citando a riscontro il prov. mod. rebrounda (F. MISTRAL, Tresor. d. felibr., Aix-en-Provence-Avignon-Paris, 1878-86, II, p. 719 «élaguer, émonder, tailler»), assegna a rebrondar, non registrato dal L. R., il significato di «mondare», «sbucciare», ossia «mandare in rovina». Lo Schultz-Gora preferisce mettere il verbo in rapporto con il sobrondar che si trova in Folquet de Lunel, ed. F. EICHELKRAUT, Berlin, 1872, n. I, v. 14, equivalente a «schädigen», «übel zurichten» (diverso quindi dal sobrondar = surabondar cit. dal L. R., IV, p. 372). Il S. W., VII, p. 79 si limita a riferire le opinioni del De Lollis e dello Schultz-Gora. Nel Petit dict. del LEVY il verbo è tradotto con «élaguer, tailler» (in senso figurato). Cfr. anche K. STICHEL, Beitr. zur Lexicographie d. altpr. Verbums, Marburg, 1890, p. 68. Il TORRACA, Sul «Pro Sordello», p. 19, vorrebbe leggere rebonda.
 
15. Am lur rendas e lur ses: ossia: valendosi di tutte le loro forze, raccogliendo tutte le loro forze. Le voci renda eses sono spesso unite: cfr. L. R., II, p. 387, e gli esempi citati dal DE LOLLIS.
 
16. avonda: ho posto qui la virgola, togliendola dal v. seguente (dopo fon) ove la collocava il DE LOLLIS, perché, come ha giustamente osservato lo SCHULTZ-GORA, trosqu’al fon si deve collegare col v. che segue. Abondar è usato qui nel senso di «aiutare», per cui cfr. S. W., IV, p. 371.
 
19. bauc: l’emendamento (il ms. ha bouc) è del DE LOLLIS, a cui fu suggerito dallo CHABANEAU. Sulla voce cfr. LEVY, Petit dict. (che traduce «fou, niais») e il Tresor. d. felibr., I, p. 247, s. bau. Il TORRACA vorrebbe leggere bauç («baldi», «arditi», in senso ironico).
 
20. n’atendon l’aurion: la voce aurion è usata qui nel senso di «specie di aquila», «aquila» (cfr. S. W., I, p. 103; STIMMING, Bertran de Born, p. 288, n. al v. 59 del n. 34; LEVY, Petit dict., s. v.). Il DE LOLLIS, ricollegando questo passo ai v. 37-39 della canz. S’om pogues di Gaucelm Faidit, Poiei tant contramon / que penre cuidei l’aurion / c’om non pot penre (cfr. P. C., 146, 56), e attribuendo all’espressione il senso che sembra avere in Gaucelm, propone di intendere «fanno opera vana», «perdono vanamente il proprio tempo»; ma ammette che aurion potrebbe anche indicare un’insegna o una figura araldica, e in questo caso pensa che potrebbe «stare a contrassegnare il re di Francia» (e per questo rinvia al v. 25 del sirv. Un sirventese vuelh far di Uc de Saint Circ [Lo falcos, fils de l’aigla, quez es reys dels Frances], che egli attribuisce però, per una svista, a Aimeric de Peguilhan): di guisa che la frase sarebbe una allusione al minacciato avvento del dominio francese in Provenza, «come a un pericolo sovrastante non solo a Raimondo Berlinghieri, ma anche ai baroni che si mostravan scontenti». Il confronto con Gaucelm Faidit però non chiarisce il passo di Sordello, come osserva giustamente lo SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 246, in quanto la frase di Gaucelm è assai diversa. Lo Schultz-Gora preferisce pertanto credere che aurion indichi un’insegna, ma non si pronuncia circa il personaggio a cui Sordello fa qui allusione. Accettando tale interpretazione, in verità, piuttosto che al re di Francia si potrebbe pensare all’imperatore. Oppure si tratta di una allusione oscura al conte di Tolosa, ricordato nella cobla seguente? Altra difficoltà è il n’: vale «non» o equivale a en? Come si vede, l’interpretazione del passo è quanto mai ardua. Il TORRACA, ibid., vorrebbe correggere atendon in atenhon, traducendo «non raggiungono», «non riescono a prendere».
 
21. Non so come colmare la lacuna, che si trova nell’ed. del DE LOLLIS, e per la quale né il MUSSAFIA né lo SCHULTZ-GORA né altri studiosi hanno fatto alcuna proposta.
 
22. Argensa: piccola regione sulla destra del Rodano, il cui capoluogo era Beaucaire; era possesso dei conti di Tolosa, e venne occupata durante la crociata albigese dal re di Francia, a cui venne definitivamente assicurata dal trattato di Parigi del 1229. Beaucaire divenne sede di uno dei due siniscalchi reali incaricati di governare le terre tolte a Raimondo VII (C. DEVIC, J. VAISSETE, Hist. gén. de Languedoc, Toulouse, 1886, VI, p. 612; P. FOURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne,Paris, 1891, p. 128; E. LAVISSE, Histoire de France, Paris, 1901, III, 2(par CH. V. LANGLOIS, p. 8 e segg.). Sordello quindi accenna qui indubbiamente a Raimondo VII di Tolosa (non condivido le incertezze dello SCHULTZ-GORA in proposito, pur avvertendo la difficoltà di spiegare l’allusione in tutti i suoi particolari). Un elenco di passi trobadorici in cui si allude al possesso o alla perdita dell’Argenta da parte del conte di Tolosa è dato dal DE LOLLIS, loc. cit.
 
22. duc: secondo il DE LOLLIS vale qui «barbagianni» (cfr. Don. proensal, ed. STENGEL, p. 58 b, ducx i. dux nel quidam auis; e cfr. Tresor. d. felibr., I, p. 830, s. du), significato che gli sembra confermato dal volares e dall’hueilh cluc del v. 25 e dal peluc del v. 28; ma credo che sia preferibile, con lo SCHULTZ-GORA e col TORRACA, intendere duc in senso proprio, intendendo invece in senso traslato volares e hueilh cluc. Forse la frase ha, come suggerisce il Torraca, un senso ironico e vuol dire che davanti al conte di Tolosa Raimondo Berengario sarà costretto a ritirarsi? O si vuole invece dire che Raimondo Berengario trionferà dell’avversario? La soluzione del problema va collegata con il problema dei v. 19-20. Il S. W., II, p. 387, si limita a citare l’interpretazione data dal De Lollis a questi versi e le osservazioni dello Schultz-Gora.
 
25. hueilh cluc: caso obliquo del singolare (il singolare è spesso sostituito al plurale nei nomi che indicano organi del corpo doppi: cfr. A. TOBLER, Vermischte Beiträge, Leipzig, 1886, II, p. 47). Secondo il DE LOLLIS «sembra stia a rincalzare il concetto di sicura rapidità incluso nel volares». Credo però che colga più nel segno lo SCHULTZ-GORA, che intende l’espressione come equivalente a «sorglos, sicher».
 
26. de Roine trosqu’a Vensa: il DE LOLLIS stampa, pur non essendo del tutto soddisfatto di tale lezione, De Rom’ [en]trosqu’ Argensa. Ma nel codice si legge sicuramente roine; e l’emendamento a Vensa, che era già stato suggerito al De Lollis dallo CHABANEAU, ma non era stato da lui accolto nel testo, e che è accettato anche dallo SCHULTZ-GORA e dal TORRACA (Sul «Pro Sordello», p. 19), mi par necessario, non solo per il senso, ma anche per evitare l’inconsueta ripetizione della parola usata in rima al v. 22. Del resto l’espressione ricorre anche in Peire Vidal, canz. Ab l’alen, v. 9 com de Rozer [in I K roine] tro qu’a Vensa (ed. J. ANGLADE, Paris, 1923, p. 60). Sono ricordati due punti opposti del territorio provenzale (Vensa è nell’attuale dipartimento delle Alpi Marittime, non lontano da Grasse), ad indicare l’intero territorio posseduto da Raimondo Berengario.
 
27. qui que n’uc: il DE LOLLIS lo ricollega col v. seg., ma è preferibile con lo SCHULTZ-GORA collegarlo con ciò che precede, ponendo un punto dopo uc. Ho mutato, seguendo l’APPEL (rec. al vol. del DE LOLLIS, in Literaturblatt f. germ. u. rom. Phil., XIX,1898, col. 128) e lo SCHULTZ-GORA (rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 246), il cui del ms. in qui, dato che cui è del tutto eccezionale come forma del caso retto. Il DE LOLLIS invece mantiene cui, rimandando al CLÉDAT, Revue des langues romanes, XIX, p. 61 e al MEYER, Romania, XI, p. 162. Per ucar cfr. L. R., V, p. 443; S. W., VIII, p. 525.
 
30. peçuc: il Donats proensals spiega peçuc con «strictura facta cum duobus digitis» (ed. STENGEL, p. 58b, 9); cfr. S. W., VI, p. 296; Tresor. d. felibr., II, p. 556 s. pessu [tradotto con «pinçon»]. Accetto la correzione remanran proposta dal DE LOLLIS, non potendosi mutare peçuc in peçucs a causa della rima (cfr. SCHULTZ-GORA, ibid., p. 247).
 
31. Anche qui è assai difficile colmare la lacuna. La cobla è fra le più oscure dell’oscurissimo sirventese; e anche lo SCHULTZ-GORA si limita a dire che i v. 31-38 sono di dubbia interpretazione, senza nemmeno tentar di chiarirli.
 
32. de tan n’ai: il DE LOLLIS propone dubitativamente di correggere tan in tau accogliendo un suggerimento dello CHABANEAU; ma forse il tan può essere mantenuto (del resto una soluzione sicura del problema è impossibile, per l’incertezza in cui siamo sul significato del passo, a causa della lacuna al v. 31). Per l’en pleonastico cfr. F. DIEZ, Gramm., Bonn, 1882, p. 808; STIMMING, Bertran de Born, n. al v. 37 del n. 4.
 
33. plus ... sambuc: cfr. Bertran de Born, Mailolis, joglar, v. 22 Dedintz iest plus caus d’un saüc (ed. STIMMING, p. 172, e la n. a p. 272).
 
34. a penedensa: per aver penedensa, «pentirsi», cfr. Nicoletto da Torino, N’Uc de Saint Circ, v. 22 Na Donella sai qe n’a penedensa (ed. G. BERTONI, I trov. d’It., Modena, 1913, p. 255); e cfr. S. W., VI, p. 208, 1. Il TORRACA, Sul «Pro Sordello», p. 25, propone di tradurre «ne porta la pena».
 
36-38. Secondo il DE LOLLIS il personaggio a cui qui si allude potrebbe essere Barral del Baus, figlio di Uc, che nel 1235, creato da Raimondo VII suo siniscalco, accompagnato da Torello da Strada, già podestà di Arles, devotissimo all’imperatore, invase il Venaissin, occupandolo in nome del conte di Tolosa (J. P. PAPON, Histoire générale de Provence, Paris, 1777, II, p. 313; P. FOURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne,Paris, 1891, p. 143 e seg.; V. L. BOURRILLY – R. BUSQUET, La Provence au moyen âge, Marseille, 1924, p. 52; V. L. BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, Aix-en-Provence, 1925, p. 142). Il TORRACA, ibid., p. 22 e segg. e il SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, Toulouse, 1902, p. 10 e segg., ricollegando, come si è visto (cfr. l’Introduzione, p. LXVII e seg.) il passo con la prigionia di Uc e di Gilbert del Baus pensano invece a Uc del Baus (e in questo caso il sembla del v. 38 sarà da intendere nel senso che Uc appare ora ben diverso da quel che sembrava prima della sua sconfitta) o a suo figlio Gilbert. - trapenar: il L. R., V, p. 407 registra la parola citando questo unico esempio, e traduce «s’évanouir»; ma credo che sia preferibile la traduz. «vacillare» proposta dal DE LOLLIS (cfr. Tresor. d. felibr., II, p. 1023, s. trampela; e LEVY, Petit dict., che traduce «chanceler»); cfr. anche S. W., VIII, p. 375. - sa: aggettivo possessivo pleonastico, per cui cfr. XII, v. 40 e la nota relativa.
 
37. faduc: «scimunito»; sulla voce cfr. la nota del DE LOLLIS, e cfr. S. W., III, p. 377, ove è citato questo passo.
 
38. mal sembla: per semblar nel senso di «assomigliare (a)» cfr. S. W., VII, p. 550, 1; e cfr. STIMMING, Bertran de Born, p. 295, nota al v. 5 del n. 40.
 
39. ses truc: cfr. S. W., VIII, p. 507 («ohne Irrtum, ohne Trug») e LEVY, Petit dict. («assurément»?); insoddisfacente il L. R., V, p. 436, che traduceva «sans choc».
 
40. taüc: cfr. L. R., V, p. 307, ove è citato questo esempio; S. W., VIII, p. 74.
 
51. Blacatz: come si è visto, è ricordato da Sordello anche nella tenzone con Peire Guilhem de Tolosa.
 
55. tolles: lo SCHULTZ-GORA osserva che questo presente è strano, e che ci si dovrebbe piuttosto aspettare un tolgues (tolguetz).
 
56. amaria: l’emendamento è del LEVY, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 251.
 
58. pero: secondo ilDE LOLLIS andrebbe unito al qar del verso seguente e equivarrebbe a «perciò» (cfr. DIEZ, Gramm., p. 1020); ma forse si può intendere anche nel consueto senso avversativo.
 
60. scorjatz ... argen: il DE LOLLIS, a proposito di questa frase, richiamando per l’uso figurato di escorjar le osservazioni e gli esempi dello STIMMING, Bertran de Born, p. 277, n. al v. 9 del n. 28 e del LEVY, Guilhem Figueira, p. 86, n. al v. 79, osserva: «si ha qui, considerato il verso nel suo insieme, una maniera di dire proverbiale che risponde assai da vicino a quella di qualche dialetto it.: schiodar Cristo dalla croce per un soldo». In verità gli esempi addotti dallo Stimming non chiariscono, come osserva lo SCHULTZ-GORA, l’immagine qui usata da Sordello, che non è facile spiegare in modo preciso, benché sia chiaro (mi sembra) il significato generale (la frase evidentemente mira a biasimare l’avidità di Raimondo Berengario, che cerca in ogni modo di far danaro e per ottener denaro è pronto a far qualunque cosa). Il TORRACA, Sul «Pro Sordello», p. 22, pensa che si possa alludere alla tosatura delle monete. Il S. W., III, p. 89, riporta il passo, ma si limita ad osservare che non ne è chiaro il preciso significato.

 

 

 

 

 

 

 

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