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Del Monte, Alberto. Peire d'Alvernha, Liriche. Torino: Loescher-Chiantore, 1955.

323,015- Peire d'Alvernha

Questa canzone, la piùfamosa dell’Alverniate, èun esemplare dello stile poetico della lirica trovadorica: la gelosa segretezza dell’ispirazione, lo strenuo impegno delle parole, l’attenta adozione delle rime rare si risolvono in un linguaggio sapiente e distaccato, epurato tuttavia d’ogni residuo della fatica letteraria; in cui le immagini, pur mantenute in un clima allusivo, acquistano un’impreveduta suggestione e certe pause prosastiche, pur serbando il loro valore di noncurante sprezzatura, non incrinano la tensione del discorso: e in questa fusione è il  più duraturo acquisto della tecnica letteraria di Peire e in genere dei trovatori. La canzone è l’esaltazione del sentimento amoroso e quindi della vitalità etica nel gelo e nella tenebra invernali. La metafora naturalistica del «sapere» che «ramifica e germoglia» «di una novella gioia che fruttifica e fiorisce» ha un valore di contrastante vitalità nel monotono pallore della stagione («i brevi giorni e le lunghe notti» «le querce si schiariscono delle dolci foglie»). A questo trascolorare della vita («si ritrae tra i rimpianti e i geli») il poeta contrappone («di contro a ciò») la propria immutevole dedizione all’amore, di cui è asserita la dispotica potenza ed è riconosciuta la legge: «chi gioisce nell’ora in cui ha tristezza». E il poeta celebra il suo ioi,malgrado la sua inibizione a rivelarsi alla perturbante presenza della donna, malgrado che l’unica speranza sia che essa presagisca i suoi inconfessati sentimenti, malgrado che l’unico godimento sia la fuggevole vista di lei: il solo amarla investe di primaverile vitalità la stagione invernale. La solitudine del poeta, le sue possibilità di corrispondenza amorosa e di contro l’interiorizzarsi del suo amore in pura nostalgia, s’è andata restringendo sempre più fino a un suggello d’immobilità, col perpetuare un istante nella tenacia della propria amorosa memoria: «non ti sradicare...». E, invero, tutta la canzone è tessuta su una vicenda coerentemente graduata, il cui ritmo è però condizionato da un’iniziale immobilità sentimentale: e la conquista di questa concede il distacco contemplativo per quella.
Cfr. anche VOSSLER, Die gottl. Kom.,p. 50.
 
4. qe·m fruich e·m floris: è un hysteron proteron.
 
5. Cfr. ARNAUT DANIEL, ed. Lavaud, 9, 3.
Il MONACI e il VISCARDI adottano la lez. isolata di R: pos de·ls verts folhs (che invece è: pos de·ls folhs verts). Non s’intende perché il Viscardi abbia seguito il testo MONACI, quando poteva disporre di quello ZENKER.
 
6. I precedenti editori: entre las neus, ch’è lez. di CN²R ed è anche lectio facilior rispetto a entre·ls enois.
 
7. Cfr. HENSEL, Die Vogel in prov. u nord fr. Lyrik des Mittelalters, in R. F., 26, 1908.
 
8-9. parers d’amor: cioè = appartenente, fedele, ligio all’amore.
 
9. amor loindan’e devezis: cfr. JAUFRE RUDEL, ed. Jeanroy, 2, 8 e 5, passim.
VISCARDI seguendo MONACI: londans e de vezis, sintatticamente stentando il vero significato della strofa.
 
10. levars ni iazers: trascorrere il giorno e la notte, vivere. L’espressione è in corrispondenza dell’altra ls breus iorns e·ls loncs sers.
 
10-11. Esaltazione della nostalgia amorosa nei suoi più segreti valori.
 
11. MONACI e VISCARDI, emendando V: a lieis ses lui que l’es aclis, non si sa con qual significato.
 
12-13. Cfr. le note proemiali di V e VI; cfr. anche le note a XI 9-11, XIII, 31-35 e XV, 29.
 
14. Anacoluto. MONACI e VISCARDI: ben par que cel li volri ‘esser a (lez. isolata di R).
 
15-28. MONACI e VISCARDI seguono l’ordine delle strofe di R.
 
15. MONACI e VISCARDI adottano la lez. di R. S’adotta qui quella di AB, contrariamente allo ZENKER.
 
16. Cfr. SCHELUDKO, Zts. f. franz. Spr. u. Lit., 60, 221; Arch. Rom., 15, 154.
 
17. MONACI e VISCARDI, secondo C: l’autr’ab dir vers (?).
 
19-20. MONACI e VISCARDI seguono R invertendo l’ordine dei versi.
 
21. MONACI e VISCARDI adottano la lez. isolata di C.
 
22-23. MONACI e VISCARDI seguono R.
 
26. Cfr. nota precedente.
 
28. Cfr. GUGLIELMO DI POITIERS, ed. Jeanroy, 7, 17-18. MONACI e VISCARDI, secondo C: on plus mon cor me ditz.
mi pens: cfr. nota a II, 37-40.
 
29-32. MONACI e VISCARDI adottano la lez. di R, correggendola al v. 32 con C (de so per que ecc.).
 
33. MONACI e VISCARDI: qu’anc (R) no·l sai ecc.
 
35. morrai me’n tota antics: VISCARDI, nel gloss. compilato da C. CREMONESI = me ne morrò tutto triste (vecchio?). S’intenda: s’ella non è presaga del mio animo, io invecchierò nell’attesa ch’ella lo conosca vivrò finché ella l’avrà conosciuto. Questa frase ispirò forse l’espressione del Petrarca «il vecchio Pier d’Alvernia» (cfr. ZENKER, Arch. Rom., 12, 714).
 
36-38. MONACI e VISCARDI seguono R.
 
40-42. MONACI e VISCARDI seguono CR.
RIQUER, fraintendendo, traduce: pues dejé de ser cobarde y miserable cuando la vi un istante, y al punto me convirtió de pobre en rico.
 
43-48. MONACI e VISCARDI s’attengono ad R.
 
49. Cfr. STOESSEL, Die Bilder und Vergleiche, p. 50. Vertz e blancs sono i colori della giovinezza e dell’innamoramento (cfr. HUIZINGA, L’autunno del Medioevo, p. 161 ss. e 379 ss.): ma qui v’è anche un ambiguo suggerimento a un nics vertz, a una neve miracolosamente verdeggiante, a un inverno reso primaverile.
 
50-55. MONACI e VISCARDI seguono l’ordine delle strofe di R, il testo di R per i vv. 50, 51, di C per 52-53-54 (fino a on ilh), di R per il resto.
 
50. mi pens: cfr. nota al v. 28.
desrazics: il termine par riprendere l’immagine dei vv. 3-4.
 
52. I precedenti editori fanno derivare seis da sezer, traducendo all’incirca: dove ella mi pose, [perché io lo stimo] più che se...: interpretazione stentata, anche perché non si conosce altro esempio di seis da sezer, ché una forma simile di Giraut d’Espanha fu dimostrata provenire da cenher e non da sezer per merito dello JEANROY (Rom., 45, 318). Né vale ricorrere, col LOMMATZSCH, a m’aleis, lezione isolata di R. L’interpretazione qui addotta largisce perfetta perspicuità al passo.
 
53. L’emendamento sapchan vilan dei precedenti editori è inutile.
Audrics: un Aldrics del Vilar (probabilmente d’Auvillars) è nominato nel testo A della vida di Marcabru (cfr. BOUTIÈRE-SCHUTZ, 64). Di lui ci rimane un componimento (PILLET, 166, 1) diretto a Marcabru, che, insieme con la risposta di questo (ed. Dejeanne, 20) forma un dialogo diviso in due componimenti (cfr. JEANROY, La poésie lyrique, II, 250). È impossibile decidere se Aldrics sia il destinatario della canzone di Peire o il vilans.
 
55. Si noti la ripresa delle immagini naturalistiche, come anche ai vv. 48-50.

 

 

 

 

 

 

 

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