1. Le senhers: ha qui funzione di obliquo singolare, ma la forma è quella del caso retto. AZAÏS legge lo senher, mentre OROZ stampa lo senhor (ritenendo l’errore dovuto alla lontananza del verbo reggente), non trascurando l’ipotesi che la lezione sia corretta forse per «attracción del pronombre relativo» (rimanda ad APPEL, Bernart de Ventadorn, III v. 17; XXXVII v. 11). Non ammetto la correzione di OROZ (e di LOWINSKY, p. 269 nota 1) perché il testo contiene altre forme con flessione sospetta non emendabili perché in rima. In secondo luogo lo stesso Oroz nota che «le como oblicuo está documentado (APPEL, Chrest. p. XVI)», a cui si può aggiungere che le obliquo è ampiamente attestato nelle carte della regione di Tolosa, cfr. GRAFSTRÖM, Morphologie, par. 2 b. Per senher come obliquo (senza -s) cfr. JENSEN, Imparisyllabiques, p. 475.
4-6. Dipendono da qu’es v. 1, il che giustifica l’uso del caso retto (cfr. OROZ, p. 297).
5. humil: cfr. ad esempio Guiraut de Bornelh, ed. KOLSEN, LXXIV, vv. 9-10 Senher Deus drechurers, chars, / umils, resplandens e clars. Si noti l’irregolarità flessionale.
8. crotz: cfr. IV v. 56 e la nota.
— pres: AZAÏS lo fa dipendere da fo del verso precedente, mentre LOWINSKY giustamente traduce «als er gefangen».
11. coma: variante di com, registrata in APPEL, Prov. Chrest. gloss. com. OROZ, p. 298 propone in nota la lettura co ma «según es mi creencia, según creo».
13-4. clars bars: per il nom. sing. bars cfr. JENSEN, Imparisyllabiques, p. 486. L’uso di chiamare ‘barone’ Gesù o i santi era diffuso nel medioevo: Dante, Par. XXIV 115 chiama S. Pietro baron, mentre in Par. XXV 17 il barone / per cui là giù si vicita Galizia è S. Giacomo; e cfr. anche Dati, Difesa di Dante: sforzatevi di mantenervi sempre fedeli drudi del barone messer Iesu Cristo (cit. in Enciclopedia Dantesca, I p. 523). Per la letteratura provenzale cfr. APPEL, Prov. Chrest. 116, 13 fo bar e propheta (gloss.: «ausgezeichneter Mann»). Per l’attributo clars cfr. ZORZI, Valori religiosi p. 279: «con grande frequenza [...] si ricorda nella letteratura provenzale la luminosità divina».
15. AZAÏS «Roi seigneur des rois»; LOWINSKY «König, der Herren Könige» ma si veda OROZ, p. 298 nota 15-6.
19. AZAÏS legge m’autreia s’amors; LOWINSKY propone la correzione m’autrei [s]as amors. Aderente al ms., che reca mautreye samors, è OROZ, che interpreta m’autreyes amors, col congiuntivo impf. retto dal pres. ind. prec (costruzione non rara, ma sostenuta impropriamente col ricorso al v. 91, e sulla quale cfr. Bertran de Born, ed. STIMMING, p. 253 nota 12) e amors come obliquo plurale. Migliore soluzione mi sembra interpretare m’autreye s’amors, con amors caso retto singolare regolarmente sigmatico, e intendere: ‘prego (v. 13) che (v. 17 qu’) il suo amore mi conceda (v. 19) che (sottinteso al v. 32) gli sia mercé (v. 32) di ciò che gli domando (v. 33)’. I vv. 20-30 saranno da considerare una parentetica (e come tali sono stati resi nella traduzione) introdotta da qu’ (v. 20 ‘poiché’), con il significato complessivo di ‘poiché sono un peccatore’. L’ellissi di que al v. 32 è fenomeno normale. Tra le soluzioni prospettate da OROZ, m’autreye s’amors ‘me otorgue su amor’ (amors obliquo sing.), rifiutata per «la conocida anomalía de casos», e quella messa a testo, è tuttavia preferibile la prima, perché a) l’irregolarità flessionale non costituisce qui elemento decisivo; b) il testo Oroz elimina il possessivo, mantenuto nella prima soluzione; c) Oroz, convinto della necessità di far tornare a tutti i costi la declinazione, interpreta amors come obliquo plurale, forma rara e difficilmente riferibile all’amore di Dio, nonostante l’esemplificazione addotta (per i tre esempi da APPEL, Prov. Chrest., Oroz ammette che «se duda si será en efecto plural o anomalía de casos»; LR II p. 63 l’amor son en pes levat: si tratta degli Amori, o dei dell’amore; restano due esempi da Guillem de Berguedà, in cui si parla però dell’amore di una donna).
22-3. Già LOWINSKY, p. 270 nota 4 respingeva l’interpretazione di AZAÏS e ne proponeva una propria: «Azaïs: sui avutz pejors cors, so wie seine Uebersetzung: J’ai eu le plus mauvais coeur, ist, schon wegen der Qualität des o, abzulehnen; l.: s’ (Partikel) ai segutz p. c. (= cursus)». Accolgo l’interpretazione di OROZ suy avutz peiors c’ors «he sido peor que un oso». Per suy avutz ‘sono stato’ cfr. T. BERCHEM, Les formations du type soi avutz «j’ai été» en ancien provençal, dans les dialectes gallo-romains et en italien septentrional, in «IV Congrès de Langue et de Littérature d’oc et d’Etudes franco-provençales», Avignon 1964, pp. 33-41. Per il paragone con l’orso si vedano gli esempi forniti da OROZ, p. 299 nota 22-3, cuj si aggiunga CNYRIM, Sprichwörter, n. 21.
24-6. AZAÏS, non comprendendo la sintassi del passo, emenda e v. 24 in ab, e traduce «Et avec mes pensées farcies de haine et d’erreurs», seguito da LOWINSKY «und mit meinen Gedanken, voll-gefüllt von Groll, von Irrtümern». Così anche OROZ («y con mis pensamientos llenos de ira y de errores»), pur rilevando in nota (p. 300) l’errata lezione di AZAÏS. In realtà farssitz non è in relazione con pessars ma dipende da suy avutz v. 22.
24. OROZ ha pesars, ma il ms. reca pessars.
26. AZAÏS omette la congiunzione e; OROZ stampa (con un refuso) sitz s’ir e d’errors. Mantengo la lezione del ms., con sinalefe ira e.
29. Al posto di aissi del ms., AZAÏS (seguito da LOWINSKY nella traduzione) stampa fui. L’emendamento si spiega col fatto che AZAÏS aveva mal compreso il farssitz vv. 25-6 (cfr. nota 24-6), trovandosi così di fronte ad un periodo senza verbo.
39. lo: AZAÏS, erroneamente, la.
40. AZAÏS emenda on ilh ira, su cui già LOWINSKY, p. 270 nota 5: «Der Reim dia : ira ist bei aller Willkür in der Nominalflexion, gewiss nicht ursprünglich. Vielleicht ist der Vers zu lesen: qu’ira via», ma il ms. reca don elh uia. Per l’interpretazione done·lh via ‘gli doni vita’ cfr. OROZ, p. 301 nota 38-40.
41. gran: ‘grandi’ perché salvati.
43-4. Si noti l’alternanza del possessivo tra forma piena e forma ridotta. Irregolari nella flessione sia il sostantivo in rima falhimen, sia il possessivo miey (cfr. CRESCINI, p. 83; GRAFSTRÖM, Morphologie, par. 25).
47. sas: AZAÏS emenda in las, ma la correzione è inutile. Per il pronome possessivo pleonastico cfr. PELLEGRINI, Appunti, p. 296. Nella trad. ho reso sas bontatz al singolare.
52 ss. Questi versi sono stati mal compresi dagli editori precedenti. AZAÏS stampa Ans n’an veramen / bonas voluntatz / gratz; / envi’a bon port / fort / l’arma del cor dos, bos... (trad.: «Au contraire, elles reçoivent les bonnes volontés satisfaction; et il envoie dans un bon port fortifié l’âme de l’homme doux, bon»; e LOWINSKY: «vielmehr erhält von ihm in Wahrheit guten Wille Lohn. Er sendet zu gutem Hafen starkem die Seele der sanften Herzen, der guten...»). OROZ complica ulteriormente le cose: ans n’a·n veramen / bonas voluntatz / gratz, / e me a bon port / fort / l‘arma del cors dos, / bos... (trad.: «sino que antes bien siente agrado en voluntades verdaderamente buenas, y lleve a buen puerto seguro el alma del cuerpo suave, bueno ... »). A mio parere, solo il ripristino della lezione manoscritta può dare a questi versi un senso soddisfacente. Innanzi tutto, i vv. 52-61, introdotti da ans (‘anzi’, e non con senso avversativo come vuole Azaïs), costituiscono un periodo parentetico, che spiega e completa ciò che è detto sopra: dopo aver chiesto perdono per i suoi peccati, il poeta mostra la benevolenza di Dio verso i buoni, verso coloro che non hanno avuto bisogno di pentirsi durante la vita. Con mar ieu v. 62 si ritorna al poeta-locutore che, pur essendosi pentito (l’invocazione iniziale è già un atto di pentimento), resta tuttavia peccatore (è fellone, ha cuore orgoglioso e distratto da false apparenze, e come tale ha, rispetto ai buoni, maggiore bisogno del perdono del rey qu’ey mati / vi). Quanto alla discussione delle lezioni, occorre rilevare l’errata interpunzione adottata da AZAÏS (punto e virgola a fine v. 54) e l’inutile emendamento al v. 55. Per il testo OROZ, si noti che lo studioso spagnolo (nota ai vv. 54-7), dopo aver rifiutato l’interpretazione di AZAÏS, segnala la possibilità di leggere correttamente secondo la lezione manoscritta, ma rifiuta anche questa a vantaggio dell’emendamento e me, che avrebbe «la ventaja de continuar la plegaria comenzada en los v. 44-5, sin que sea improbable paleográficamente; además, a diferencia de la de Azaïs, y según exige la sintaxis, comienza con una conjunción». Ma anche la congettura messa a testo da Oroz si rivela inutile e dannosa per il senso, proprio perché in questi versi il poeta non continua «la plegaria comenzada en los v. 44-5». Quanto a cor v. 57, si noti che gli editori emendano in cors < CORPUS; tuttavia la lezione manoscritta cor ‘cuore’ vale anche ‘persona’ (come sede dell’anima) e salva il parallelismo-opposizione tra il cor dos v. 57 e il cor ergullos v. 64 del poeta.
55. Cfr. SW VI p. 465 venir a port «zu gutem Ende gelangen». Agli esempi forniti da OROZ, nota 54-7, si aggiunga almeno Peire Cardenal, ed. LAVAUD, XX, vv. 29-31 Pois vas a tal port / on cre qu’usquecx port / l’engan...; LXVI, v. 60 que l’adus a mais portz e la nota a p. 442; Bertran de Born, ed. APPEL, XX, vv. 46-7 mas a malvatz port / venra... (anche qui rima equivoca port:port); Guiraut de Bornelh, ed. KOLSEN, LXXI, v. 1; R. ZENKER, Die Gedichte des Folquet von Romans, Halle 1896, IX, vv. 50-1.
57. dos: il ms. ha dous, da emendare in dos per ragioni di rima.
58-9. Si noti l’irregolarità flessionale delle parole in rima.
60. mort: per l’aequivocatio morte: morde cfr. Peire Cardenal, ed. LAVAUD, XLV, vv. 40-1 Dic o per la mort / que tal fer e mort (passo già segnalato da Oroz).
— nos: LOWINSKY, p. 270 traduce «Gelenke» (cfr. DU CANGE V p. 601 NODUS «vertebra»); si tratterà allora del nodo della vita. La forma è irregolare nella flessione.
75. qu’ey: è possibile anche leggere q’uey.
75-6. LOWINSKY, p. 270 nota 9: «l. qu’uei mati, in der Messe».
78. LOWINSKY, p. 270 giustamente traduce: «ohne Wanken».
86. Per questo verso cfr. ZORZI, Valori religiosi, p. 272.
90. fais: LOWINSKY, p. 270 nota 11, osserva: «dies für faitz, wie nacher forfais im Reime».
91. aculhis: cfr. VIII n. 19, anche per gli imperfetti congiuntivi che seguono.
92. vers pas: cfr. Guilhem Figueira, D’un sirventes far en est son que m’agenssa, ed. RIQUER, Los trovadores, p. 1272, v. 61 Dieus, qu’es verais pans.
96. lays: ‘laido’. Così anche OROZ, p. 304 e nota 94-108, mentre AZAÏS, seguito da LOWINSKY, intende lays come forma verbale e traduce: «mon âme pécheresse pleine de forfaits j’abandonne».
97-9. AZAÏS intende em pes come «et je me repens», ma si veda LOWINSKY, p. 270 nota 12: «Azaïs Uebersetzung berücksichtigt weder die Qualität des e noch die Grammatik». Per tener en pes, usato in genere in senso proprio, cfr. SW VI p. 162 n. 16-7, ma si veda anche Sordello, ed. BONI, XLIII, vv. 305-6 Sabez quals son? Qu’om teng’ades / son arnes bel e gen en pes. Intendo tener ver em pes ‘mantenere, tenere viva la verità’.
100-1. AZAÏS emenda in destort, com’es dever e traduce «Je me repens (v. 99) de mes torts, comme c’est mon devoir», seguito da Lowinsky nella traduzione. Fedele al ms. è invece OROZ, che stampa: [la mia anima] destorta dun dever, per sert, e traduce «alejada de donde debía, ciertamente» (più precisamente, in nota: «mi alma [...] separada de donde (sería) deber, ciertamente: io me confieso a él»). L’interpretazione di Oroz comporta però l’ellissi del verbo; mi sembra dunque più corretto interpretare destorta d’un dever ‘sviata dall’unico dovere legittimo (vale a dire: servire Dio)’. Per un ‘solo, unico’ cfr. SW VIII p. 538 n. 5.
104 ss. AZAÏS, per semplificare la lezione del ms., di non facile interpretazione, mette punto a fine dei vv. 106 e 110, e al v. 111 emenda del in al. La sua traduzione resta tuttavia poco chiara: «et qu’il lui plaise avoir pitié de moi, qu’il n’y regarde pas et qu’il donne a moi la joie que j’espère soir et matin, de loin ou de près. Qu’à la retraite où à demeure sont les fidèles élus, moi pêcheur, place le père...».
106-8. Giusta l’interpretazione di OROZ re no·y gares d’esm’ rispetto al testo AZAÏS (cfr. OROZ, p. 307). esm’ (esme) vale ‘stima, valutazione’, cfr. PD p. 168; APPEL, Prov. Chrest. gloss. «Schätzung», quindi: ‘non mi voglia considerare in base alla valutazione (dei miei peccati)’ (OROZ, impropriamente, traduce: «no considere el mérito»).
112. aire: ‘agio’, cfr. IV v. 41 e la nota.
118-23. Il poeta si riferisce al sacrificio di Cristo per la salvezza del genere umano.
120. mezaire: OROZ, non comprendendo il termine, propone dezaire, adducendo un luogo di Guiraut Riquier (XXXIII della stessa antologia di OROZ, vv. 9-10); ma mezaire equivale a mezaize esattamente come aire (v. 112) equivale ad aize. Per mezaire cfr. LR II p. 43 n. 19 malayze mezayze «malaise, mesaise»; TOBLER-LOMMATZSCH V col. 1556 mesaise. Per l’antico italiano misagio in rima con agio cfr. Le Rime di Guittone d’Arezzo, a cura di F. Egidi, Bari 1940, XXXIV vv. 10-11.
121-2. AZAÏS e OROZ pongono virgola dopo egals (trad. OROZ: «pues todos éramos iguales, malos»). Migliore mi sembra l’interpretazione di LOWINSKY, p. 271: «denn wir waren alle gleiche böse».
123. Per ses estraire cfr. SW III p. 335 n. 3 «ganz und gar, durchaus, ohne Unterlass».
127-8. Correggo la lezione manoscritta per esigenze di rima.
129 ss. Concordo con OROZ, p. 309 nota 129 nel considerare quals tals come «aposición de salvaire» (contro LOWINSKY, p. 271 nota 14, che propone una diversa lettura: m’aia merce[s] tals quals, co al laire) e interpreto: ‘Cristo, tale quale come il padre ebbe pietà del ladrone al momento della Passione, la abbia anche verso di me’. Diversamente, in Peire d’Alvernha, ed. DEL MONTE, XIX, vv. 58-9, è Cristo che perdona il ladrone: que per nos pres passio / e perdonet al lairo. Per la flessione laires laire accanto a laire lairo cfr. JENSEN, Imparisyllabiques, p. 468. |