1. Quascus planh lo sieu dampnatge: un esordio pressocché identico si ritrova nel planh di GlAug II [BdT 205,2] 1-2: «Quascus plor’e planh son dampnatge, / sa malenansa e sa dolor», con identici rimanti in -atge: 1 dampnatge : 3 coratge : 21 linhatge : 23 arratge : 31 salvatge, e in -or: 2 dolor : 14 senhor : 22 valor : 34 honor.
Sono in tutto quarantasei le testimonianze del genere, che si protraggono dal 1137 al 1343 ad opera di trentadue poeti, tra cui quattro anonimi. Lungo questo periodo i moduli e gli schemi, pur nella diversa importanza data ora all’uno ora all’altro elemento costitutivo, rimangono pressocché invariati. Sul planh si veda H. Springer, Das altprovenzalische Klagelied mit Berücksichtigung der verwandten Literaturen, Berlin 1895; C. Cohen, Les éléments constitutifs de quelques “planctus” des Xe et XIe siècle, in CCM, I (1958), pp. 83-86; S. C. Aston, The Provençal planh: I. The lament for a prince, Misc. Boutière, I, pp. 23-30; G. Gouiran, Per las lurs armas devon tostemps cantier: Effets d’intertestualité entre le Ronsasvals et certains Plainhz lyriques, Atti Montpellier 1992, III, pp. 907-918; B. Saouma, La complainte funèbre chez les troubadours et chez saint Bernard, Atti Montpellier 1992, III, pp. 1159-1173. L’elenco dei planhs nella produzione letteraria dei Midi si può trovare in E. Schulze-Busacker, La complainte funèbre dans la littérature occitane: considérations stylisliques, in Actes du IVe Colloque de l’Institut d’Études médiévales (Montréal 1978), Montréal 1979, pp. 232-234, e Id., La conception poétique de quelques troubadours tardifs, in Misc. Rémy, 1986, I, pp. 265-277, a p. 274, nota 7.
2. dolor: unito a dampnatge del v. 1 e a dan del v. 9, viene a formare una coppia già attestata in latino (dolor / damnum), e frequente sia in italiano (doglia-danno, doglia-dannaggio) che in antico francese (doel-damage), si veda M. Scholz, Die allitteration, in ZRPh, XXXVIII (1917), p. 80. Lo stesso si può dire per planh (v. 1), planc (v. 3) e plor (v. 11).
Azaïs traduce «e sa greu dolor» con “En sa griève douleur”, considerando e preposizione e non congiunzione, in corrispondenza con «e mon coratge» del v. 3.
5. quez es mortz: espressione ricorrente a cominciare da GcFaid 50 [BdT 167,22] 5-11: «Car cel q’era de valor caps e paire, / lo rics valens Richartz, reis dels Engles, / Es mort. Ai Dieus! quals perd’e cals dans es! / ... / ... / Mortz es lo reis, e son passat mil an / c’anc tant pros hom non fo, ni no·l vi res». Per l’impiego della formula nei trovatori del Biterrois, si veda A. Radaelli, Raimon Menudet, nota al v. 4.
È interessante notare la figura morfemica (es mortz / Mortz) presente ai vv. 5 e 6, per cui si ripetono in posizione preminente e di forte pausa sintattica, il participio passato e il sostantivo.
la: per il pronome oggetto prolettico impiegato pleonasticamente, riferito a Mortz del verso successivo, cfr. Jensen, Syntaxe, § 266.
5-7. Dieus la maudia / Mortz! Qu’aissi·ns rauba tot dia / que·lhs melhors ne va menan: uno degli aspetti tematici ricorrenti nei compianti funebri è la maledizione alla morte che porta via con sé i migliori, immagine evangelica, cfr. Mat 24,42-43. Si veda solo RmMen [BdT 405,1] 22-23: «Maudicha Mortz! Mal nos as escarnitz, / quar lo melhor as pres d’esta partida» e la nota ai versi in Radaelli, cit.
Azaïs preferisce porte il punto esclamativo alla fine del verso: «Quez es mortz: Dieus la maudia / Mortz qu’aissins rauba tot dia!».
7. va menan: per questa costruzione perifrastica, insieme a vai remembran del v. 16, cfr. nota a I, 10.
8. seis que meinhs fan folia: sono coloro che non trasgrediscono e che non eccedono e quindi non vanno oltre mezura, qui intesa come “saggezza, temperanza”; per la locuzione cfr. I, 5.
9. prendem totz gran dan: cfr. JoEst X [BdT 266,1] 48: «quar en sa mort prendem tug dan e mal?».
11. que ieu tost no·m plor: cfr. Ronsasvals 1498 (lassa 38): «non pot muydar que non plor e non planha».
12. barnatge: indica propriamente “l’insieme dei baroni, la nobiltà» (SW, I, 127 barnat «Schaar der Edlen»), con l’accezione anche di “azione cavalleresca”, «exploit d’armes, vaillance» (Levy, PD, p. 41); ma qui, a mio parere, si vuole sottolineare «l’émulation de galanterie», lo sfarzo e il lusso che il signore de Linhan ostentava nella sua dimora, emulando lo stile di vita aristocratico. Meno probabile mi pare l’effettiva presenza di baroni e cavalieri accolti nella casa del ricco borghese, che avrebbero dato lustro al suo nome, a ss’onor.
13. onor: qui nell’accezione “cortese”, ideale e morale, indicante “fama, reputazione”, che si ritrova, più sfumato, al v. 19 con il parricipio onrat (cfr. nota). Sul campo semantico di questo termine si veda la nota a I, 20.
15. qui n’avia paria: l’espressione indica “amicizia” tra due eguali, tra due pari, ed anche “compagnia”, cfr, SW, VI, 79 e Cropp, Vocabulaire courtois, p. 168 e nota 73.
16. a cui: nelle carte considerate da Grafström (Morphologie, § 37), l’obliquo pronominale cui è attestato sempre dopo preposizione e riferito esclusivamente a persona (cfr. inoltre Brunel, Chartes, p. xxxvii; Anglade, Grammaire, p. 252; Schultz-Gora, Altprovenzalisches Elementarbuch, § 124).
voi: 3a ps. sg. di anar; Azaïs invece la considera 1ª ps. e traduce: «Et il qui je vais rappellant».
Per la figura etimologica bos faitz / fazia, cfr. III, 31.
18. Sanhs Miquels, siatz·l al denan!: nel planh sono tre i riferimenti ai santi: Michele è il campione di Dio, l’angelo che in Ap 12,7-12, combatte contro il demonio, assumendo la figura di difensore del popolo cristiano. Cfr. anche Es 23,20: «Ecce ego mittam angelum meum, qui praecedat te, et custodiat in via, et introducat in locum quem paravi».
San Giovanni Battista è indicato con l’epiteto baro («done·l baro San Johan», v. 27), appellativo d’onore dato a Gesù e ai santi, non raro nella tradizione trobadorica, cfr. JoEst IX [BdT 266,8] 13-14: «(Le senhers qu’es guitz / del mon) prec, si cum es clars / bars». Si veda inoltre Dante, Paradiso, XXV, 16-18: «e la mia donna, piena di letizia, / mi disse: «Mira, mira: ecco il barone / per cui là giù si visita Galizia».
Da ultimo, San Fulcran («que·l met’ab Sanh Fulcran», v. 49), vescovo di Lodève dal 949 al 1006, è una delle figure più venerate dalla fede popolare locale. La più antica biografia del santo si trova in una raccolta agiografica del XII secolo (Bibl.Nat. nouv. acq. lat. 2663) pubblicata da F. Dolbeau, Vie inédite de saint Fulcran, in «Analecta Bollandiana», 100 (1982), pp. 515-544 (tradotta in francese da G. Alzieu, Une nouvelle vie de saint Fulcran de Lodève, in Études sur l’Hérault, 4 (1988), pp. 53-60); è andata invece perduta la biografia prosimetra composta alla fine del XII secolo da Pierre de Millau, ripresa poi in forma abbreviata dal vescovo di Lodève Bernard Gui (1324-1331), di cui si ha la traduzione e il commento in: Vie de Saint Fulcran par Bernard Gui, traduite et annotée par l’abbé J. Rouquette, Montpellier 1911. Nei secoli successivi, più documentate sono le notizie biografiche offerte dai vescovi di Lodève Plantavit de la Pause, nel 1634 e F. Bosquet, nel 1651 (si veda inoltre E. Martin - L. Guiraud, Histoire de la ville de Lodève, Montpellier 1900, II, pp. 382-397 e H. Vidal, La première «Vie» de saint Fulcran et le triomphe de l’«épiscopatus» lodévois au XIIe siècle, in AdM, LXXVII (1965), pp. 7-20). Ancora oggi il suo culto è molto vivo nel Lodévois, soprattutto durante la processione delle reliquie, la domenica che precede l’Ascensione (cfr. B. Derrieu, Le culte de saint Fulcran à Lodève, in Études sur Pézenas et l’Hérault, X, n. 4 (1979), pp. 17-30). Colgo qui l’occasione per ringraziare vivamente M.me Eliane Bec-Gauzit per le preziose informazioni fornitemi sul santo vescovo di Lodève.
La devozione al santo tra la popolazione fu grande fin dal giorno della sua morte, avvenuta il 13 febbraio 1006, ma ricevette nuovo impulso e la consacrazione definitiva, con una bolla di papa Niccolò IV, nella seconda metà del XIII secolo, quando il suo corpo fu scoperto incorrotto. A ciò si aggiunga che le biografie, olrre alla santità della vita e all’azione pastorale, ricordano in particolar modo la sua misericordia: «Le bienheureux Fulcran aimait beaucoup les pauvres et les voyageurs et leur distribuait de grandes largesses [...]Il distribua d’abord tout ce qu’il possédait, ne gardant rien pour lui [...] Qui pourrais jamais dire les largesses et les dons qu’il fit aux lieux sacrés, et qu’il ordonna de faire après sa mort? [...] Quelle personne pauvre ou infirme qu’il n’ait fait fournir les remèdes?» (J. Rouquette, cit.). Dunque, proprio negli anni in cui più vivo e intenso è il fervore, RmGauc pone sotto la protezione di San Fulcran un campione di liberalità e generosità come Guiraut de Linhan.
La successione dei santi invocati da RmGauc richiama molto da vicino quella delle preghiere di suffragio o delle commemorazioni dei defunti che si trovano nei libri d’ore: all’appello alla misericordia divina seguono le invocazioni alla Vergine, agli angeli e agli arcangeli («O benoist archange Michiel, / ange de paix, qui l’estandart / portez du roy regnant ou ciel...», cfr. P. Rézeau, Les prières aux saints, II, vv. 1-3, p. 72), a S. Giovanni Battista e ai santi patriarchi e profeti, agli apostoli e agli evangelisti («O glorieux Saint Jehan Baptiste, / qui le Filz de Dieu baptisastes, / et vous, saint Jehan l’evangeliste, / qui si hault evangelisastes...», Rézeau, cit., II, vv. 8-11), ai martiri, ai confessori (monaci ed eremiti), alle sante ed infine a tutti i santi (sull’argomento cfr. P. Perdrizet, Le Calendrier parisien à la fin du Moyen Age d’après le Bréviaire et les livres d’heures, Paris 1933; La prière au Moyen Age (littérature et civilisation), 1981, Actes du Colloque du CUER-MA, Aix-en-Provence, Marzo 1981).
Va precisato inoltre che l’invocazione ai santi è certamente volta all’edificazione degli ascoltatori, facendo anche sfoggio di cultura religiosa, ma non si può escludere nel contempo l’intenzione di affermare la propria ortodossia di fronte all’Inquisizione, regolarmente istituita fin dal 1234.
Per il mantenimemo della s flessionale al vocativo, cfr. nota VIII, 17.
19. heretatge: termine del linguaggio vassalatico indicante “terra, patrimonio, dominio”, cfr. SW, III, 123,2 “Grundstück”. Si veda a proposito K.-J. Hollyman, Le développement du vocabulaire féodal, pp. 33 sgg.
onrat è stato tradotto con “gloriosa (terra)”, ma si noti la compresenza dell’accezione feudale per cui l’eredità di Cristo è l’onor celeste concesso come ricompensa ai suoi fedeli devoti (cfr. anche al v. 30 honron).
on so li sanhtor: per la perifrasi indicante il paradiso, cfr. i versi 28: « tota gen d’aquest regnatge», 45: « lai on tug li cors sans van» e I, 15: « e que·ns meta dedins son bel regnatge»; si veda inoltre tra i trovatori biterresi, RmMen [BdT 405,1] 8: « en la sant’establida» e 27 « en belh luec et en clar»; JoEst X [BdT 266,1] 64: « qu’elh lo meta al regne celestial» e Id., XI [BdT 266,10] 38-39: « e·lh done l’ostal deziron / on so·ls apostols pres de se».
21. la Dieu me done salvatge!: nel ms. il verso è ipometro di una sillaba. Presenta inoltre delle incongruenze che ne complicano la chiarezza: il sostantivo salvatge non mi risulta sia attestato nella lirica trobadorica con il significato di “salvezza”, ma si veda Mistral, II, 859 s.v. sauvage: «s.m., action de sauver, sauvetage; salut, protection, défense». È noto d’altra parte come il suffisso - atge sia molto produttivo in provenzale, e il suo impiego in vocaboli omologhi, nella maggior parte dei casi, non comporti alcuna differenza semantica con le forme che ne sono prive (cfr. in questa stessa poesia dampnatge / dan, vv. 1:9), ma appaia esclusivamente dettato da motivi contingenti, quasi sempre rimici o ritmici, gli stessi che mi pare abbiano influito in questo caso. La medesima circostanza si verifica per caitivatge e piusellatge di I, 31 e 41 (cfr. E. L. Adams, Word-Formation in Provençal, New York 1913). Nel codice poi salvatge è preceduto dalla scrizione mes: escludendo che si tratti di caso retto del pronome possessivo atono con funzione d’aggettivo, poiché la sintassi richiederebbe l’obliquo ( mon, mo), ritengo si tratti piuttosto di una zeppa, e quindi eliminabile senza troppo danno. In questo caso è probabile che il copista sia stato indotto dalla presenza del termine successivo, evidentemente non compreso nel suo significato, a dar forma alla clausola usitata don m’es salvatge, che però non porta alcun senso al contesto.
Per ristabilire quindi la corretta misura del verso sono sufficienti altri due lievissimi interventi: integrare la m che nel codice si legge staccata, senza continuità grafica con quanto segue o precede, in me, pronome personale, e rendere la forma del congiuntivo presente, don, con atona finale, done, attestata frequentemente in RmGauc, cfr. al v. 27 e nota a I, 1.
Azaïs è intervenuto diversamente a sanare l’ipometria pubblicando così i vv. 21-23: «L’a Dieus mes, don m’es salvatge, / El gra plus aussor; / Aquis (= aqui·s) la Verges Maria», traducendo: “Dieu l’a mis, où il m’est étranger, au degré le plus haut; Là est la Vierge Maria”.
22. gra pus aussor: cfr. PCard XXXVIII [ed. Lavaud, BdT 335,70] 41-47: «David, en la prophetia / Dis, en un salme que fes, / Qu’al destre de Dieu sezia, / Del rey en la ley promes, / Una reÿna qu’avia / Vestirs de var e d’aurfres: / Tu iest elha, ses falhia»; Id., 15 [BdT 335,13] 8-9: «(Caritatz es en tan bel estamen) sus, el grat ausor / am lo Dieu d’amor». La sede della Vergine Maria assisa alla destra di Dio, al massimo grado della gerarchia celeste, è indicata artraverso l’espressione del superlativo formato dall’incrocio tra il comparativo organico e perifrastico. Quest’uso, presente già in latino (nel tipo magis (plus) melior), è riprovato dalle Leys (ed. Anglade III, 33), ma ausor in molti casi aveva cessato di essere considerato un comparativo, cfr. Jensen, Declension, pp. 118-119: «it may itself add plus to form a new comparative degree: “era el tom plus alsor” (Ste. Enimie, v. 1458) e “foron al cosselh li baro plus ausor” (Croisade Albigeoise 163,5). The value, in both of the quoted examples, is that of a superlative».
23. a quis: participio passato di querre, cfr. SW, VI, 615,5 “erbitten”, collegato ad aquerre “erwerbern” (SW, I, 74), con il significato di “ha ottenuto, ha raggiunto” quindi “occupa, è assisa”.
Per l’interpretazione di Azaïs, cfr. supra.
24. li: pregar regge sia l’accusativo che il dativo, quindi non risulta necessaria la correzione di Azaïs « la prec»; cfr. nota a II, 4.
25. Guiraut prezan / de Linha: sulla figura di Guiraut de Linhan e la condizione economica privilegiata della borghesia linguadociana, bitcrrese in particolare, nel XIII secolo, si veda il capitolo I, «Ricerca biografica e contesto storico-letterario». Già Riquer ha sottolineato che il planh «revela una nueva mentalidad y un ambiente distinto del cortesano», Los trovadores, III, p. 1535.
27. San Johan: molto spesso il Paradiso è definito «loc Saint Johan»: «Saint Jehan Baptiste occupe une place d’honneur dans le ciel, et les troubadours se servent souvent de son nom pour désigner le paradis», A. Thomas, Poésies complètes de Bertran de Born, Toulouse 1888, p. 25, nota I; cfr. BtBorn XVII [BdT 80,26] 13-14: «A Dieu lo coman, / que·l meta en luoc Saint Johan»; PCard 19 [BdT 335,67] 45-48: «Per merce·us prec, domna sainta Maria, / c’al vostre fill me fassas guarentia, / si qu’el prenda los paire e·ls enfans / e·ls meta lai on esta sans Iohans»; Ronsasvals 745-746 (lassa 16): «Las vostras armas ha Jhesu Crist coman / Qu’en paradis las meta Sant Juan».
28. tota gen equivale a “tutti”, cfr. ad es. GlPoit I [BdT 183,3] 26: «e per Niol fauc ergueill a tota gen»; qui si intende “tutti i santi, il popolo di Dio”. Da notare la constructio ad sensum del sostantivo sg. collettivo col verbo al plurale honron, riprovata dalle Leys (ed. Anglade, III, 45; cfr. inoltre Diez, Grammaire, III, 273, Pellegrini, Appunti, p. 291 e Ageno, Il verbo, pp. 174-175).
30. honron: “onorano” inteso come “rendono omaggio” ma anche, secondo l’etica cavalleresca, “accolgono nel feudo divino”, il Paradiso, concesso in beneficio ai fedeli del Signore.
linhatge: indica l’appartenenza alla stessa “schiatta” o “stirpe” conseguita in base al possesso della medesima virtù: la generosità. Si noti anche il gioco di parole Linha / linhatge.
31. e lur fan amor: cfr. SW, I, 59 far amor ad alcu ‘jmd. Liebe erweisen, Gutes thun”.
32. quar elh dava e metia: dittologia sinonimica molto frequente e ormai cristallizzata nella seconda metà del XIII secolo, che si ritrova, tra gli altri, in GlAug VIII [BdT 205,6] 3-4: «metre e dars / es valors e tener es niens» o in GrRiq II [BdT 248,75] 1-6: «Senhe n’Enric, a vos don avantaje / D’aquestz tres jocx, pueys a·n Marques la tria: / Que totz sabers sapchatz per plan coratje, / O que vulhatz fatz d’armas tota via, / O de metre e de dar larguamen / Aiatz poder a tot vostre talen». Ma l’accostamento più frequente è metre e donar, già in Marc VII [BdT 293,7] 37: «si n’avetz donat e mes». Si veda poi ad es. in AimPeg XXVII [BdT 10,26] 29: «metent e donan» e BertZorzi II [BdT 74,15] 28-29: «pero ben deu hom espendre / sai e lai e metre e dar». Numerosi esempi si trovano in Sansone, Testi didattico-cortesi, p. 325; Guida, Jocs poetici, nota a II, 5; Calzolari, Guillem Augier Novella, nota a VIII, 3.
34. metia en boban: è espressione indicante prodigalità, munificenza. Per quanto riguarda boban, cfr. Levy, PD, p. 48: “ostentation, arrogance”; bobansier “fanfaron, vantard”, ma anche “personnage fasteux”; bobansa “faste, ostentation”; bobansar “se vanter, se glorifier”. Nel Donatz proensals, 1693, il termine è spiegato con «inanis gloria». (Per l’etimologia e ulteriori accezioni, cfr. inoltre FEW, I, 146; Thiolier Méjean, Poésies satiriques et morales, p. 157, nota 5; Babin, «Orgolh» - «Umil», pp. 190-191 e passim).
In RmGauc metre en boban non ha sfumatura peggiorativa: indica “grandiosità nell’elargire, dispensare”, volendo certamente alludere alla vita sontuosa delle corti o delle ricche case borghesi (on menava·l gran barnatge), ma con l’aggiunta della nozione cristiana di carità e generosità verso il prossimo, concetto ricorrente nelle sue affermazioni, cfr. ad es. IV, 19-20: «quar qui dona, a lauzor on que an / e grat de Dieu, que·l mon ten en capdelh». Azaïs non si scosta da questo senso nella traduzione «Il le mettait en prodigalités».
metia: metre nella poesia trobadorica è spesso in posizione dialefica; cfr. i numerosi esempi presenti in Perugi, Arnaut Daniel, I, Prolegomeni, pp. 142 sgg.
37. borzes: come è noto, il termine burgensis fino al XII secolo era applicato a tutti i lavoratori che non fossero rustici e risiedessero in un centro commerciale; alla fine del XII il termine indicò una classe di diritto, ossia divenne un titolo che, al pari di miles o di clericus, esprimeva una condizione giuridica peculiare. Nel XIII secolo il burgensis è ormai il non nobile che, soddisfatti i requisiti di residenza e di onorabilità, partecipa di diritto alle istituzioni municipali (cfr. G. Duby, Una società francese nel medio evo, Bologna 1985, pp. 657 sgg.).
paratge: indica propriamente “nobiltà, nascita nobile, buona estrazione” (cfr. I, 29), con un senso più generale di barnatge del v. 12; qui è contrapposto a borzes, che ritengo non si allontani anch’esso dal designare una cerchia di uomini dotati di ricchezza e prestigio. Cfr. a questo proposito HGL, t. VIII, coll. 960-962, Coutumes des nobles de la vicomté de Narbonne, 12 ottobre 1232, punto XII: «Item si miles vel filius militis, vel alius qui sit de genere quod vulgariter dicitur de parage, equitans vel tenens aliquam equitaturam vel pignora vel accipere ad lora, & si fecerit, puniatur pecuniariter ad cognitionem curie [...]» (cfr. inoltre Sheridan Burgess, Contribution à l’étude du vocabulaire pré-courtois, pp. 23-26).
39. van arratge: per la frequente locuzione anar arratge, cfr. BtBorn II [BdT 80,8a] 35: «don anaran arratge»; GlAug II [BdT 205,2] 23: «iran per la sua mort arratge»; LanfCig XVI [BdT 282,14] 1-2: «Na Guilielma, maint cavalier arratge / anan de nueg».
41. feunia: termine di origine giuridica, cfr. E. Wechssler, Frauendienst und Vassalität, in ZFSL, XXIV (1902), pp. 159-190, a p. 181, n. 97. Qui l’accezione di “senso di mancanza, tristezza” proviene da un ampliamento del campo semantico, collegato all’aggettivo felo che, oltre a significare “empio, infedele, scellerato”, ha anche il valore di “afflitto, dolente, malinconico, triste” (cfr. LR, III, 300: «chagrin, tristesse»).
42. Jhezus Cristz, que·l volia: il motivo del giusto tanto gradito al Signore da essere allontanato anzitempo dalla vita terrena, è ricorrente nei planhs di ispirazione religiosa. A questo proposito si veda anche VII, 7-8: «E Dieus a·l pres e trach d’aquesta vida, pero non l’er trop esta mortz grazida» e nota relativa.
43. melhor jorn de l’an: dal momento che RmGauc prega la Vergine affinché Guiraut de Linhan sia posto accanto a San Fulcran, si potrebbe ipotizzare che il giorno migliore per essere accolto in paradiso fosse il 13 febbraio, in cui si commemora con grande fervore, nel Lodévois e nelle regioni vicine, la morte del santo vescovo. Con un’altra proposta, alla quale manca però ogni riferimento testuale, si potrebbe individuare questo giorno con quello dell’Ascensione (dia de Caritatz), festa particolarmente sentita e celebrata nella città di Béziers, almeno fino al XVII secolo: «C’était le jour où les trente-deux syndicats se promenaient en défilé, conduts par la maréchaussée, les consuls [...], les capitaines de la ville et le Préconsul. En outre, il y avait le célèbre chameau mécanique sue lequel saint Aphrodise a voyagé jusq’à Béziers après avoir quitté la galère qui figurait aussi dans la procession. Le tout se terminait par une distribution de pains aux pauvres à l’église des Pénitents Bleus» (cfr. Hershon, Johan Esteve, pp. 408-409, a proposito di JoEst VI [BdT 266,4] 6-8: «li mortaldatz / que·s fetz lo dia / de Caritatz»).
44. crei: proveniente da * credeo, analogico su vei < video. Raimon Vidal nelle Razos de Trobar biasima l’uso di cre per crey, che tuttavia nelle liriche di RmGauc è ben rappresentato (cfr. VII, 37; IX, 22), cfr. ed. Marshall, ms. B, pp. 16-17: « Paraulas i a del verb en qe an fallit lo plus dels trobadors, aisi cum trai, atrai, ... cre, mescre [...]. Aitan ben son del present indicatif et de la tersa persona del singular e cre e mescre et descre. En la prima persona ditz hom crei, mescrei, descrei. Aitan mal ist[ a] i qi dis [ieu cre con qi dis] aqel crei et qi ditz ieu ve con qi ditz aqel vei. En la prima persona ditz hom ieu crei et en la terza persona aqel cre. Et autresi [ si] devon dir tut li autre d’aqesta razon».
45. cors sans: l’interpretazione potrebbe essere duplice, non solo per la possibile ambiguità di cors, ma anche per quella di sans; infatti, sebbene in C la grafia per n palatale sia per la gran maggioranza dei casi nh (cfr. Zufferey, Recherches linguistiques, § 25, p. 147, e in questa poesia Sanhs Miquels, sanhtor, Sanh Fulcran) e inoltre su sans non abbia agito il condizionamento spaziale per la riduzione grafica, il continuo richiamo alla santità e al fatto che Guiraut de Linhan sia ammesso sicuramente nel regno dei cieli e accolto festosamente dai santi, mi induce alla traduzione “là dove tutti i santi vanno”, in cui cors, plurale da corpus, perde il suo valore sostantivale. Ma una seconda possibilità potrebbe essere: “là dove tutti i cuori, gli animi, puri vanno”, attribuendo a sans, plurale da sanum, il senso di “buono, onesto, moralmente retto” (cfr. SW VII, 454,2: «vernünftig, waht». La traduzione prescelta da Azaïs è stata: «personnes saintes».
Sul problema flessionale di cor e cors, cfr. F. Jensen, Provençal cor and cors: a Flexional Dilemma, in RPh, XXVIII (1974), pp. 27-31. Sulla varietà nel provenzale delle forme da Sanctus, cfr. Å. Grafström, Graphie, § 72.
46-47. Sancta Maria / qu’a sobre totz poder gran: cfr. S. Bernardo: «Nihil nos Deus habere voluit quod per Mariae manus non transiret» ( In Vigilia Nativitatis Domini Sermo tertius, PL 183,99a). Maria, come Regina sanctorum omnium, ha il potere di disporre nell’ onrat heretatge (« qu’al nobl’en Guiraut ... done·l baro San Johan», vv. 25-27,« que·l met’ab Sanh Fulcran», v. 49) e detiene inoltre il privilegio di compassione, “ communicatio passionis” (« quez elha amigua·l sia», v. 48), che Alberto Magno aveva posto all’origine del potere redentore della Madonna. In questo caso poi potrebbe anche essere presente il tema mariano della omnipotentia supplex, che S. Bernardo aveva colto e sviluppato da S. Anselmo di Canterbury. Per la devozione alla Vergine da parte di RmGauc, cfr. anche I, 41, VII, 41 e le note corrispondenti. |