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Radaelli, Anna. Raimon Gaucelm de Béziers. Poesie. Firenze: La Nuova Italia, 1997.

401,004- Raimon Gaucelm de Bezers

1. Belh Senher Dieus: la medesima invocazione si trova in II, 33.
quora: particella interrogativa che introduce una temporale, cfr. Jensen, Syntaxe, § 355 e 831; K. Klingebiel, Occ. cora “quand”: étude sémantique, in Atti del Ve Congrès International de l’AIEO, Toulouse 19-24 août 1996, in corso di stampa.
mo fraire: nella poesia trobadorica è spesso impiegato nel senso di “collega, confratello, compagno d’arte”, ma qui l’affinità credo si limiti alla somiglianza dei loro nomi. Raimon Gaucelm de Sabran è appellato fraire anche in IV, 6 e 42. Per il senhor d’Uzest si vedano le notizie riportate nel capitolo I, «Ricerca biografica e contesto storico-letterario».
 
2. pro ... franc, de bon aire: sequenza trimembre di qualità comportanti consenso e lode nella sfera sociale, appartenenti al campo semantico della nobiltà; con pro si sottolineano le doti guerriere e cavalleresche, franc è sinonimo di “generoso”, designando non più esclusivamente una nobiltà di sangue, come originariamente nel linguaggio feudale, ma anche «une noblesse intrinsèque, une noblesse de cœur qui s’exprime par une parfaite courtoisie» (Cropp, Vocabulaire courtois, p. 83); bon aire: “di buona natura, estrazione”, indica la stretta correlazione tra le virtù morali e la posizione sociale (cfr. Cropp, ibidem, pp. 147-150).
 
3. que tan de be n’aug comtar e retraire?: anche Azaïs, pur non indicandolo nel testo critico, l’interpreta come un’interrogazione, ma estesa anche al verso successivo, infatti traduce: «Que tant de bien j’en entends conter et dire Que mal m’ira si je ne le vois avant peu?». Ho preferito al contrario interpretare il v. 4 («que mal m’ira...») come una frase deprecativa, il cui vigore viene accentuato se lasciata isolata nella posizione centrale della cobla e non inserita all’interno di una proposizione interrogativa.
 
4. mal m’ira: cfr. SW, I, 62,3: «unpersönl. “ergehen”».
 
7. ses estraire: locuzione avverbiale “senza riserve”, “senza sforzo”; Cropp, Vocabulaire courtois, pp. 226 e 230, segnala estraire come verbo caratteristico indicante separazione: “se détacher, renoncer à”; qui, nella locuzione avverbiale, vuole significare che la devozione al signore d’Uzès è avvenuta senza strappi né difficoltà, spontaneamente, cfr. SW, III, 335,3: «ganz und gar. durchaus, ohne Unterlass». Azaïs traduce: «Sans en rien extraire».
 
8. de cor lïalmen: espressione di fedeltà assoluta; si veda anche al v. 11 «ses cor vaire», con l’identica nozione (cfr. Cropp, Vocabulaire courtois, pp. 104-107). Cfr. la medesima formula in RmMen [BdT 405,1] 25: «de bon cor leialmens».
 
9. fin: conferisce un’idea di superlativo e perfezione al sostantivo cui si accosta: «fin a nettement tendance à être relié à un autre adjectif, comme il semble aussi un avec les termes amor, amador, etc.» (Cropp, Vocabulaire courtois, p. 107). In questo caso è legato alla sfera della schiettezza e della fedeltà, cfr. SW, III, 488-489.
fe que deg: formula asseverativa frequente nella lirica trobadorica.
 
10. qu’anc nasques de maire: espressione usuale nei componimenti elogiativi, cfr. ad es. GlAug II [BdT 205,2] 60: «del melhor senhor qu’anc nasques» e JoEst X [BdT 266,1] 60: «que de maire no·n nasquet pus cabal», che ha le sue radici nella tradizione evangelica, cfr. Mt 11,11.
 
12-13. que·l cor, e·l sen, e·l saber e·l vejaire / e·l bon talen: enumerazione a cinque membri con cui RmGauc vuole esprimere la totale devozione al signore: cor indica la sede dei sentimenti; sen “il senno, la capacità intellettiva”; saber designa invece “la conoscenza acquisita”, essenzialmente “il sapere cortese”, che forma con sen una coppia frequentissima, sia nella letteratura oitanica che in quella occitanica dei secoli XII-XIII, tanto da costituire un binomio quasi formulare, reso più saldo dall’alliterazione (per lo studio del termine, cfr. note a I, 38 e III, 35); vejaire è “l’intelletto, la capacità d’intendere e di ragionare”; talen è “la volontà, l’inclinazione”, sul cui denso significato, cfr. nota a I, 1. Nella tradizione poetica trobadorica gli esempi dell’associazione di queste facoltà sono numerosissimi, ma si cfr. ad esempio: RmJord III [BdT 404,3] 37-40: «quar de bon sen e de fin cor verai / vos am trop mielhs, dona, que dir non sai, / que·l cor e·l sen e·l saber e l’albir / ai tot en vos, si que d’als non cossir» e gli esempi riportati da Asperti alla nota al verso, pp. 246-247.
 
14. corren: forma di gerundio con valore avverbiale: “di slancio, d’impulso. subito”, cfr. Jensen. Syntaxe, § 513.
 
15. son afaire: “il suo contegno, modo d’agire, atteggiamento”. Con estamen (cfr. SW, III, 298: «Benehmen, verhalten», ma con punto interrogativo), forma una coppia unita per antonimia.
dis: poiché è difficile capire se RmGauc avesse già conosciuto di persona il signore di Sabran, ho preferito intendere che per lui parlassero la nobiltà e i gesti di cui il poeta era venuto a conoscenza. Azaïs invece traduce: «Quand il me dit son affaire Et sa bonne manière d’être».
 
17. Bernatz: forma sigmatica del vocativo per cui cfr. Leys: «devetz saber que·l propri nom regularmen cant al nominatiu e·l vocatiu singulars son indiferen, que·s podon termenar en s e ses s» (ed. Gatien-Arnoult II, 188).
Sulla figura e sulla funzione del giullare nella poesia trobadorica cfr. W. D. Paden, The Role of the Joglar in Troubadour Lyric Poetry, in AA.VV., Chrétien de Troyes and the troubadours. Essays in Memory of the Late Leslie Topsfield, Cambridge 1984, pp. 90-111.
 
19-20. faire... so mandamen: la costruzione far + aggettivo possessivo + mandamen “adempiere il volere (altrui)” è assai frequente nella tradizione lirica trobadorica.
La dittologia dir e faire, meno frequente di far e dir(e), è diffusa soprattutto in rima; una schedatura delle occorrenze si trova in Asperti, Raimon Jordan, nota a III, 44.
mandamen: legato al significato astrano originario di mandatum, cfr. nota a I, 8.

 

 

 

 

 

 

 

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