Marshall 1976, pp. 403-405, cerca di identificare il frammento in base al senhal "Luna", che potrebbe ricondurre a Guilhem de la Tor e a Lanfranc Cigala.
1. onor: 'dignità' personale che si manifesta nel comportamento. Il termine è probabilmente usato qui con significato morale, vicino al senso astratto che originariamente aveva in latino (accanto a quello concreto di 'carica, ufficio'), diverso invece da quello giuridico-economico assunto nel Medioevo di 'beneficio', 'feudo, dominio': cfr. Melli 1978, p. 214.
2. taill: letteralmente 'forma, aspetto'. Simile sintagma agg. poss. + taill (senza però la preposizione articolata) si trova nel frammento di Andrian del Palais "Per qu'ieu part egalmenz | lo mal qui·n fay doler, | qu'al terç vuoll retener, | quar totz es trop cozenz. | L'autre terç per m'amor | partan tot entre lor | miei amich a lur taill; | qui no·n ha nos baraill"AndrPal 22a, 1, 2-8, dove l'espressione pare significare 'secondo il loro desiderio'; cfr. inoltre TL 1974, X, p. 39 s.v. taille 'forma, aspetto'. DECLC 1988, VIII, s.v. tallar, documenta a p. 232 la locuzione de son tall 'mena, naturalesa tal o tal'.
q'e mon: Marshall 1976, p. 404 qe mon.
3. fort castel: lo stesso sintagma ricorre in "Montesquiu, | un fort castel qu'es caps de cortezia" RmMirav 406, 45, 12-13; e in "Lai pot hom bon pretz | mantenir, | car Dieus i volc tan gen assir | un castel fort e avinen, | q'es flors de joi e de joven" DPrad 124, 14, 36-40.
Per la metafora erotica mediolatina del fedus Amoris, cfr. Pasero 1973, p. 263 n. 22. Nella lirica trobadorica la metafora del castello per indicare la donna risale già a Guglielmo IX (cfr. l'ambiguo "De Gimel ai lo castel e·l mandamen" 183, 3, 25). L'amata ha edificato il suo castello su di una rocca inespugnabile in Peire d'Alvergne ("pres ai estat en un caslar | ab so que no·i aus estar, | e pero non puosc mudar | de mos enemics no·l gar: | ja non serai assaillitz | qu'en auta rocha es bastitz" PAuv 323, 17, 13-18). In Arnaut Daniel ("si m'ampara, | silh que·m trautz, | d'aizir | qui es de pretz capduelhs " ArnDan 29, 13, 52-55) la donna è la torre fortificata (capduoills) della virtù, secondo il concetto mariano di 'castello di virtù'. L'immagine ha una discreta fortuna e viene ripresa in "ja son set an q'ieu mis mon cor en gatge | en un chastel, on rics pretz segnioreia, | si qes anc pueis no n'agui mas l'enveia, | e·l dezirers m'en fes far homenatge | a leis qi·l ten e son poder assis" BtBornFils 81, 1a, 17-21 ecc.
dompna de plaissenza: ‘donna di fascino'. Il contesto in cui tale locuzione è inserita, per cui de plaissenza sembra avere una funzione attributiva analoga a fort o a del meu taill, e un analogo passo di Sordello ("silh qu'es domna de plazensa" Sord 437, 1, 7, ugualmente in rima con gensa 3; Riquer 1983, III, p. 1461 traduce "dama de afabilidad", Boni 1954 , p. 5 n. 7 "donna piacente, avvenente") mi inducono a ritenere fuorviante l'ipotesi formulata da Chambers (Frank M. Chambers, The lady from Plazensa, in French and Provença Lexicography: Essays Presented to Honor Alexander Herman Schutz, Ohio State University Press, 1964, pp. 196-209) che qui si alluda alla città di Piacenza. Plazensa indica del resto con sicurezza la città solo in "sai ieu qu'es de Plazensa" AimPeg 10, 40, 42, dove vengono nel contempo elencate anche altre località.
5. genza: 'orna, abbellisce', ma anche, etimologicamente, 'ingentilisce'.
6. lei: la dompna de plaissenza 3?
7. lui: il seignor del meu taill 2?
entendenza: 'intenzione, proposito, volontà', e, quindi, 'aspirazione, pensiero d'amore', per cui cfr. anche il v. 13. Il termine, analogamente a entendemen, evoca gli sforzi intellettuali e la tensione spirituale che accompagna l'amore cortese: cfr. SW 1902, III, pp. 51-53; Cropp 1975, pp. 219-29, 272 n. 63; Asperti 1990, p. 442 n. 1, con altri ess.; Guida 1988, p. 397 n. 32.
9. Las! qe ai dit?: la stessa movenza sintattica in "ailas! qu'ai dig? ja·m cujav'ieu cubrir" FqMar 155, 11, 15; "ai! qu'ai dig? – etz vos donc tals" Caden 106, 18, 38; "ailas! qu'ai dig! sentirai de lieys dan" Pist 372, 2, 31 ecc.
folor: cfr. folaie XXI, 20 e n.
11. se be: equivale a si tot, 'anche se', per cui cfr. Jensen 1986, § 873 e § 1029; sull'uso e sul costrutto di si be, nella quasi totalità dei casi seguita in provenzale dall'indicativo, cfr. inoltre A. J. Henrichsen, Du latin à l'ancien occitan: la proposition concessive, in Mélanges de philologie romane dédiés à la mémoire de Jean Boutière (1899-1967), édités par Irénée Cluzel et François Pirot, 2 voll., Liège, Soledi, 1971, I, pp. 295-304, p. 301.
vir'om aillor: cfr. V, 27 e nota.
12. Luna: secondo Marshall 1976, p. 405 si tratterebbe della città italiana di Luni o più generalmente della regione della Lunigiana, con inevitabile rinvio alla "treva" di Guilhem de la Tor ("de Luna eissamen i venon senz faillida | las dompnas" 236, 5a, 25-26): cfr. Wilhelmina M. Wiacek, Lexique des noms géographiques et ethniques dans les poésies des troubadours des XIIe et XIIIe siècles, Paris, Nizet, 1968 ("Les classiques d’oc" 3), p. 128; Chambers 1971, p. 172.
Sennonché alcuni ostacoli si frappongono a questa interpretazione: innanzitutto il tono del discorso sembra molto più congruo se riferito alla persona amata ("si·os plai ma entendenza" 13 e in particolare "n'autra jois ses vos no m'auria sabor" 14): nella lirica occitanica non ho rinvenuto altri casi in cui l'apostrofe a una città diventa l'occasione per una sorta di dichiarazione d'amore per essa. In secondo luogo, se è vero che Luni era per Strabone una piccola città con un grande porto e le sue pietre brillavano da lontano come le luna di cui portava il nome, nel Medioevo, come oggi, le sue rovine spuntavano in mezzo ai campi di grano: difficile spiegare come mai un trovatore avesse qui degli affari da sbrigare (vv. 8-9) e decidesse ad un certo punto addirittura di fermarvisi (v. 13). Nella treva la località è uno dei tanti toponimi che definiscono la provenienza delle dame via via presentate, e comunque persino in questo caso il De Bartholomaeis 1931, I, p. 218 annota "s'intende della regione, non della deserta città".
Le difficoltà svaniscono se in Luna si legge il senhal per una donna, tanto più che l'immagine non è inedita: in A Lunel lutz una luna luzens 225, 1 Guillem de Montaignagol paragona l'amata Gauseranda, che abita a Lunel, alla luna, dalla quale prendono luce gioia, bellezza e gioventù. A questa canzone ribatte Blacasset con Amics Guillems, lauzan etz maldizens 96, 1, che non approva la lode ("luna non es cil cui appellatz vos", v. 19): non solo la luna splende di luce riflessa, ma l'immagine si presta anche ad essere male interpretata, visto che l'astro è luminoso solo al buio. Lo stesso senhal, sia detto per inciso, viene scelto per le liriche in lingua italiana dal poeta barcellonese Benedetto Gareth detto il Cariteo (1450 ca. - 1514), il quale condensa in esso vari attributi della donna: essa suscita un amore freddo e casto, che appartiene ad un mondo sovraceleste di ispirazione neoplatonica.
Luna: Gauchat-Kehrli 1891L'una.
13. ma entendenza: con mancata elisione e conseguente sinalefe, come in IV, 8.
entendenza: 'affetto', come in Marcabr 293, 26, 37 ("en cug' aver m'entendensa") e cfr. ivi il v. 13.
14. n'autra jois ses vos no m'auria sabor: probabile eco di "per que tuih amador | son gai e chantador | mas eu, que planh e plor, | c'us jois no m'a sabor" BnVent 70, 28, 6-8, ripreso anche da "e nuls jois no m'a sabor, | per qu'eu que soill chantar plor" GsbPuic 173, 8, 10.
n': art. indeterm., come in "e quier n'autre cuy esgara" Gavaud 174, 8, 48; "E sai n'autra que anc re non mespres" MoMont 305, 3, 8; "puois prega n'autra, q'esdeven s'amia" PrevVal 384, 1, 7.
autra: da correggere in autre? In provenzale jois è maschile, ma la correzione pare facilior e cfr. "car, s'il no·m vol, autra joi non deman" UcSt-C 457, 26, 35 (joi' < s. f. joia pare attestato solo quando la parola che segue inizia per vocale).
auria: bisillabo.
n'autra, m'auria: Marshall 1976 nuills, l'auria. |