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Squillacioti, Paolo. Le poesie di Folchetto di Marsiglia. Pisa: Pacini, 1999.

Nuova edizione riveduta e aggiornata per il "Corpus des Troubadours", 2009.

155,014- Folquet de Marselha

Due termini-chiave della lirica trobadorica, amor e merce, sono utilizzati come parole-rima nel componimento (primo e ultimo verso di ogni cobla; solo merce nelle due tornadas): Locher 1980, pp. 193-94 mostra come questo espediente si accompagni in quattro coblas su cinque a «morphemic repetition[s]» come 5 Amors - 6 Desamors, 9 vensser - 10 vences, 11 venz, vencutz - 12 vencer, 20 merceian, Merces, e così via: «these and other examples of morphemic repetition do combine with the refrain rime word repetition to give this canso a density which underscores its theme: the desired conjunction of amor and merce» (p. 194). I due termini sono considerati concetti personificati da Stroński e perciò scritti con l’iniziale maiuscola, ma l’editore estende troppo l’artificio, trasformando senza necessità il testo in una canzone allegorica: 24 (mio 34) Follors, 26 (36) Sen, 27 (37) Ardimen e Paors, 28 (38) Esperars, 55 Dregz; cfr. anche Salverda de Grave 1911, p. 502. Mantengo la maiuscola solo ad Amors e Merce e a 6 Desamors.
Datazione (relativa): parte I, § 1.3.2.1.

7. pois: traduco ‘se’ come in FqMars 155,24 (XXIV), 16; cfr. PD, p. 300, s.v. pois.

9. [Amors] vol vensser totas res: è la ripresa (cfr. Stroński, p. 79*) di un fortunato esametro virgiliano: «Omnia vincit Amor: et nos cedamus Amori» (Buc. X, 69).

13. Su indicazione di Stroński (p. 83*) si metta a confronto il v. con UcBrun 450,4 (IV), 40: «que mil maltragz d’amor playdeya uns bes»; MoMont 305,3 (III), 28: «Mas tan m’es dous entre cen mals us bes»; AimPeg 10,20 (XX), 21-22: «e doncs hieu, las! qui sui d’est mal suffrire, / de mil dolors, fos d’un sol joy jauzire!».

15. La versione α è caratterizzata dall’intervento sul verbo che precede il rimante e, nel caso di riduzione di questo a bisillabo (o monosillabo in D), dal recupero della sillaba con un e a inizio verso: e cuidatz ... esteu gen AB (per esteu vd. Nota al testo), e cuiaz ... estien D (dove estien = est(a) jen: così interpretato il v. è ipometro), e cugaus ... uos estia gen T (dove il recupero è indotto da altra causa); non necessita di recupero la variante trisillabica del cong. di 3ª sing. esteia di PS (i mss. hanno comunque cuia in luogo di cuidatz): si può pertanto ricostruire in cuidatz vos que·us estia gen l’assetto testuale della versione α. Caratteristica di β è invece la presenza di estei, variante bisillabica dello stesso cong. pres. di 3ª sing., e l’introduzione di doncs che ristabilisce la misura metrica; si riconoscono quattro classi di mss.:
i) EJRV (con O) leggono cuidatz vos donx que·us estei gen;
ii) Fa (con IK) lascia cadere vos e recupera la sillaba con qe·us > qe vos;
iii) C (con M) mantiene estia e lascia cadere vos;
iv) O’ls (con QUc) mantengono anch’essi estia e quindi presentano un verso ipermetro (eccetto O’ che ha la variante aferetica stia).
Stroński mette a testo (i), ma a p. 199 scrive che la lezione in (ii) e in (iii) è «probablement la bonne». Perugi 1978, I, pp. 224-25 analizza il verso raggruppando in tre classi i testimoni, e produce la soluzione: «Cuiatz vos que esti gen», ipometra se non si legge cuïatz.

17. vostra lauzors: da intendere con Stroński, «la louange [que je fais] de vous»; analogo significato in FqMars 155,6 (XVII), 7.

18-20. Sulla metafora del ramo riferita alla donna, che dà peraltro lo spunto compositivo a FqMars 155,25 (XXV), si vedano le considerazioni di Beltrami 1987, p. 19, da integrare con Perugi 1990b, pp. 122 e 140-42; cfr. anche l’avvio GlCapst 213,1 (I), 1-4: «Aissi cum cel que baissa·l fuoill / e pren de las flors la genssor, / ai eu chausit en un aut bruoill / sobre totas la bellazor» (segnalato da Stroński a p. 83*).

19. a qu’era·m: la lezione del gruppo α ha subito una diffrazione: a qeram PST (con Q), en queram B, on eram G (con O); cfr. in mss. esterni al gruppo: ab queram C e an queram Fa; una componente importante di α, AIK, in questo caso va con β + γ: a cui me EJRVαO’ls (qe O’) + LNUc (me om. L), con AIK (en A: cfr. B) e M (qieu). Che quest’ultima lezione sia deteriore, ovvero «une simplification de a qu’era·m et peut-être un moyen d’éviter la cacophonie: l’aut ram a qu’era·m», è l’ipotesi di Stroński (p. 199) con cui si potrebbe ricondurre a unità la duplicità redazionale evidenziata dalla tradizione manoscritta; ci sarebbe stato quindi un passaggio del tipo: a queram > a que me > a cui me, della cui fase intermedia restano la testimonianza di O’ (a qe mi) e le tracce di M (a qieu me). Su se prendre a si veda Avalle 1960, I, p. 110 (a proposito di PVid 364,47 [XI], 48: «e deu·s om penr’al melhor»).
pres: secondo Jeanroy 1913 tes di β «convient beucoup mieux au sens que pres (“la branche vers laquelle je me suis tendu”), qui reparaît en rime au v. 54» (p. 260): la ripetizione di un rimante nalla tornada è tuttavia pienamente ammissibile.

20. Cfr. RmJord 404,3 (III), 33: «Dompna, merces vuelh, si·us platz merceiar» e la relativa nota nota di Asperti 1990, pp. 244-45.

25. far acordamen: altre occorrenze (anche con acort) in Asperti 1990, p. 464.

37. A inizio verso l’unica lezione che può veromilmente opporsi a quella di α (ABPSGT) + U messa a testo è e ardimen di γ (LNc OQ) + CM (cfr. l’analisi dei vv. 37-40 nella Nota al testo): sebbene in una prospettiva ecdotica non ricostruttiva come quella da me proposta la soluzione metodologicamente più corretta sia il mantenimento delle varianti non erronee di α, rilevo che in questo caso potrebbe aver agito l’influsso dei vv. 3-4: no·i aduis ab se / ab que s’audosses... (ab è inoltre presente ai vv. 12 e 22); cfr. l’operazione inversa 30 e > ab in RTVO’ls.
Il v. va collegato con FqMars 155,5 (I), 22: «qu’arditz sui per paor», al cui commento rimando per le referenze bibliografiche; cfr. anche GrBorn 242,11 (XXXIII), 26-28: «Que farai? Q’us ardimens / mi ven que l’an razonar, / e paors fai m’o laissar»; Stroński (pp. 79* e 83*) indica una comune fonte ovidiana in Amores, II, XIX, 5-6: «Speremus pariter, pariter metuamus amantes, / et faciat voto rara repulsa locum».

38-39. Cfr. ancora Ovidio, Remedia amoris, 83-84: «Nam mora dat vires: teneras mora percoquit uvas / et validas segetes, quae fuit herba, facit» (segnalazione di Stroński, p. 79*).

40. esperan: assumo il significato di «erwarten», proposto nel SW, III, p. 258, s.v. esperar, n° 2.

44. La traduzione di Stroński (a testo la versione β): «que rien ne paraît plus exister [pour lui]» (p. 125) mi pare in costrasto con il valore impersonale attribuito a questa occorrenza del cong. di aver nel Glossaire, p. 240, s.v. aver; decisamente migliore la proposta di Salverda de Grave 1911: «de façon qu’il semble qu’il ne reste plus rien de vous hors de lui» (p. 502); nella stessa direzione anche la traduzione di Jeanroy 1927: «si bien que je ne crois pas que de vous il y ait ailleurs aucune partie» (p. 42).

49. Sebbene buona parte dei mss. di α rechi una lezione erronea, un’ipotesi di partenza che giustifichi la diffrazione a inizio verso è comunque ricavabile da due codici del gruppo: GT chiudono il verso con un si vos plagues (cfr. inoltre s’a vos plagues in O) la cui riduzione a si·us plagues ha probabilmente dato origine a un variegato recupero sillabico a inizio verso, che tuttavia non interessa D e Q, il primo dei quali ha stretti legami con T, il secondo con O e G, i quali mantengono l’ipometria e la traccia della riduzione in sios (lezione quest’ultima comune a PS); ABPS e LN eliminano es modificandolo nell’erroneo eu sui (incompatibile con il soggetto 48 e·il largors; LNPS correggono in es largors, ma l’incompatibilità permane); i mss. del gruppo β integrano in vario modo una sillaba dopo es: es ben tan C, es aitan EJV, es menz tan O’, es ins tan ls (con M); ugualmente gli altri testimoni: es i tan IK, et es tan U, es dins tan c (che registra in alternativa, appena modificata, la lezione di ABPSLN: en sui). Stroński (seguito da Boelcke 1974) si limita ad adottare, senza commento, la lezione di IK, mantenendo ovviamente si·us.

54. me: dal momento da Stroński scioglie in m’i quella che potrebbe essere semplicemente una forma dativale del pron. pers. di 1ª sing. segnalo la variante nella fascia delle varianti sostanziali, ma non nella tabelle delle varianti adiafore.

 

 

 

 

 

 

 

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