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Gambino, Francesca. Canzoni anonime di trovatori e "trobairitz". Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2003.

461,197- Anonyme

La rubrica è stata scritta da un'altra mano nel rigo sopra l'incipitdella canzone e fornisce forse una particolare chiave di lettura del componimento. L'autore, secondo il cliché dell'anti-esordio stagionale che vanta numerosi altri esempi nella letteratura provenzale (cfr. la nota al v. 2), dichiara nella prima cobla che non sarà certo l'arrivo dell'inverno buio e freddo a inibire la sua vena poetica. Ma l'immagine del canto eseguito a prescindere dalle condizioni atmosferiche ha evocato all'estemporaneo rubricatore la particolarità che contraddistingue l'uomo selvatico in ambito letterario: egli canta felice nella tempesta e, talora, piange nel bel tempo (1). Non solo. Al lettore viene precisato che il sons che si appresta a leggere è quello emesso da un folle: esso viene infatti definito derves, participio passato del verbo francese derver 'essere pazzo, furioso' (2). Ora nella lirica trobadorica in un unico caso l'io lirico cortese può paradossalmente scendere al livello del villano: è quello del poeta dilaniato dalla passione non contraccambiata. Tanto può l'amore: corrisposto, sublima chi lo prova e, rifiutato, avvilisce l'amante, riducendolo a una natura semiferina. Al rubricatore è certo parso il caso di questa canzone anonima nella quale è più volte sottolineata l'ostilità eccessivamente orgogliosa dell'amata e al v. 33 ricorre per giunta il termine folz, pur non riferito direttamente al poeta.
Per il resto mi pare che il tono di Pos vezem que l'ivers irais, dopo un avvio pseudo-cortese, diventi sempre più polemico e beffardo, fino a far maturare al poeta nelle ultime, difficili, tre coblas la decisione di abbandonare un amore così poco gratificante ai "folli" che non sanno distinguere cosa sia meglio per loro.
Verso un ambiente culturale marcabruniano sembrerebbe indirizzare lo schema metrico della canzone, identico al "vers" di un trovatore a Marcabru molto vicino, Bernart Marti (Farai un vers ab so novel BnMarti 63, 7) (3), dove compaiono due riferimenti alla follia ("No·m puesc mudar que no·m querelh | qua la folhia vey sobrar", 13-14; "si·s savis er per folh tengutz | si·n aver no·l ve hom pojar" 27-28). E a quest'ultimo autore appartiene anche il quarto componimento con analogo schema metrico, Lancan lo douz temps s'esclaire BremRasc 104, 2, che Martín de Riquer e l'ultimo editore, Fabrizio Beggiato, sono concordi nell'assegnare appunto a Bernart Marti (4). Oltre ad alcune parole rima in -ais peraltro già rudelliane (bais 7, gran fais 28, pantais 35; inoltre lais 42) (5), la nostra canzone condivide con Lancan lo douz temps l'esordio stagionale (qui primaverile), la valorizzazione di un mese invernale come gennaio ("qar genars non val meins gaire | q'abrils e mais q'es vertz et blan", 45-46), il riferimento all'afan (sempre apprezzato, al contrario dell'anonimo poeta: "ges no·m tenc per malvatz afan" 16), all'impossibilità iniziale di cambiare (qui della donna: "ges ma domna no·n sap gaire | de cambiar per nul aman" 31-32) e all'abbandono di qualcosa ("tot autre afar gerpis e lais" 42).
A un altro marcabruniano, Bernart de Venzac, risalgono infine analoghi esordi: "Iverns vay e·l temps tenebros, | que refreydis los flums el glas; | e·l arbre de frug reston blos, | tug cominal, li gran e·l bas;| e non aug d'auzelhs lo trebalh, | per qu'ieu comens, quant auzelhs falh, | un vers, si·l puesc gitar a lutz" BnVenzac 71, 1, 1-7; cfr. inoltre "Pus vey lo temps fer frevoluc, | que·ns mostra mala companha | e salvatja et estranha | de gels e d'auras e de vens, | farai un vers, qu'er covinens" BnVenzac 71, 3, 1-5.
La presenza dell'esordio stagionale confermerebbe la cronologia piuttosto alta della canzone: è infatti noto che già ai primi del XIII secolo tali inizi non erano più di moda (6) e che questa tecnica incipitale subisce un forte ribasso di frequenza verso la fine del XII secolo per scomparire dall'uso nel secondo decennio del secolo successivo.
Mi sono chiesta se anche l'autodesignazione vers potesse fornire qualche indizio sul periodo di composizione della canzone o se potesse aiutare a chiarirne la natura. Jaufre Rudel e Bernart de Ventadorn definivano le proprie liriche vers, non canso, e come loro molti autori fino alla fine del XII sec. A partire da questo periodo l'uso del termine sembra scomparire in una vena sotterranea che riaffiora in superficie un secolo dopo, alla fine del XIII sec. È il momento in cui il significato di vers si specializza, riservato com'è a componimenti con forma metrica distinta dalla canzone o dal sirventese, e di argomento storico, morale, religioso. Molte poesie di Guiraut Riquier vengono definite, appunto, vers (7). Anche questo elemento, quindi, mi pare punti nella stessa direzione, e aiuta a datare An 461, 197 non oltre la  fine del XII sec. (8)
 
Un ultimo cenno al fatto che alcuni studiosi hanno sostenuto la paternità vidaliana di questa canzone (9): alla menzione del drughemant 21, che richiama in effetti il senhal utilizzato per Guglielmo VIII di Montpellier (Avalle 1960) o per Alfonso II (Riquer 1983, II, p. 874; cfr. Drogoman seigner, s'agues bo destrier PVid 364, 18 e Ajostar / e lassar PVid 364, 2, 89), si aggiungerebbe l'allusione alla follia della sopraiscrizione, la stessa peculiarità sulla quale insiste appunto la vida del trovatore tolosano ("fo dels plus fols homes que mais fossen"). Nel manoscritto W, inoltre, alla canzone anonima segue Ara no vei luzir soleill 70, 7 di Bernart de Ventadorn ma dalla rubrica attribuita a "Pieres Vidaus". Tali indizi, tuttavia, non mi sembrano abbastanza probanti, tanto più che il termine drogomans non è poi così raro e compare anche in BnVent 70, 21, 49; GrBorn 242, 66, 8; GrBorn 242, 29, 55; RicBarb 421, 2, 45; AimPeg 10, 8, 28; AimPeg 10, 51, 48; ElCair 133, 3, 49; PCard 335, 40, 4 (10).
Secondo Jean Mouzat, Quelques hypothèses sur les poèmes perdus d'Eble II, Vicomte de Ventadorn, CN, XVIII (1958), pp. 111-20, infine, Pos  vezem que l'ivers irais potrebbe fare parte con altre quattro canzoni del perduto canzoniere di Ebles de Ventadorn.
 
1. Pos: ricorrente, con valore temporale-causale, negli esordi, tanto da poter essere ritenuto formulare.
vezem: Appel 1890. L'antigrafo era con ogni probabilità difficilmente leggibile all'altezza del primo emistichio dei vv. 1-2 (*vezem > *vegem > ve gent).
irais: l'uso assoluto è raro, ma attestato in "Compainho, qui qu'en irais ni·n veill, | be·m platz c'a lezer d'En Teill | fazam chanzo leu e fola" RbAur 389, 24, 1-3 e in "Qui per bon dreg se part d'amor | don irais, co yeu·m vuelh partir | de vos, yeu say qu'el fay valor" BtCarb 82, 76, 1-3.
 
2. et part se: i pronomi atoni sono normalmente collocati davanti al verbo, ma nelle proposizioni principali che iniziano con la cong. e, et possono essere posposti (G.B. Pellegrini, Appunti di grammatica storica del provenzale, Pisa, Goliardica, 1962, p. 297 n. 113). La vida di Jaufre Rudel racconta ad esempio "et enamoret se de la comtessa de Tripol" (Chiarini  1985, p. 52).
del: Appel 1890 propone in nota lo.
tanz amoros: 'bella stagione', per cui cfr. "Belhs m'es lo dous temps amoros" ArnMar 30, 9, 1. Anglade 1923 tems.
           
3-4. non au ges notes ni lais | des auselz: l'assenza del canto degli uccelli, che contraddistingue tutti gli esordi stagionali standard, caratterizza subito il nostro come un "anti-esordio" analogo a quelli marcabruniani: cfr. ad esempio "Pus la fuelha revirola | que vey d'entre·ls cims cazer, | que·l vens deromp e degola, | que no·is pot plus sostener, | mot pres l'ivern temporau | pus q'estieu plen de gandilh, | on creys puti' es enveia. | [...] | [L'a]lauzet' e l'auriola |  tornon lor chan en tazer, | lo jays e la rossinhola, | qu'inverns en fay son plazer" Marcabr 293, 38, 1-18. I motivi del gelo, della caduta delle foglie,  del silenzio degli uccelli non sono appunto che il rovesciamento dei topoi primaverili, per cui cfr. Paul Zumthor, Recherches sur les topiques dans la poésie lyrique des XIIe et XIIIe siècles, in CCM (1959), pp. 409-27, 412-13; cfr. inoltre Eliza Miruna Ghil, The Seasonal Topos in the Old Provençal Canzo: a Reassessment, in Mélanges Remy, I, pp. 87-99.
notes: per questa come per le altre forme francesizzanti cfr. § 3.3.2. Il sostantivo nota è usato nella lirica provenzale raramente e con accezione diversa ("car mais de mal i 's sagellat | e notas ni quartas escrir" PCard 335, 47, 43-44, che l'ediz. Vatteroni 1990, p. 150 sgg. glossa "elenco di spese o riscossioni, conto delle entrate e delle uscite"), mentre è abbastanza frequente in quella francese, anche in dittologia con lais (TL 1965, VI, coll. 835 sgg.): è quindi comprensibile la scelta di Anglade 1923, che lo sostituisce con il più comune voutas (cfr. per tutti "Pro ai del chan essenhadors | entorn mi et ensenhairitz: | pratz e vergiers, albres e flors, | voutas d'auzelhs e lays e critz | per lo dous termini suau" JfrRud 262, 4, 2-5).A questo punto due paiono le ipotesi più probabili: 1) l'originale aveva voutas, sostantivo che è stato 'reinterpretato' da un copista francese che aveva nell'orecchio la dittologia notes e lais comune nella letteratura oitanica (in fondo lo scambio di una v- per una n- è abbastanza plausibile, mentre -es sarebbe la solita desinenza francesizzante per -as). 2) l'originale aveva proprio notas / notes, il che farebbe nascere il sospetto che l'autore stesso del componimento potesse essere un francese (o qualcuno legato alla cultura francese) che aspirava a scrivere in provenzale. 
lais: cfr. IX, 3 e nota.
           
4. vergers foilloz: sintagma simile in "horz e vergers foillaz" Isnart d'Antrevenas 254, 1 ~ Blac 97, 6, 17.
 
5. per: con valore concessivo ('a dispetto di'). Se tuttavia si scegliesse di riferire il complemento retto dalla preposizione per al verso precedente, quest'ultima potrebbe assumere una sfumatura causale.
lou freit del brun temporau: perifrasi per indicare l'inverno, nella quale temporau ha il preciso significato di 'stagione' (cfr. SW 1924, VIII, p. 119: "Jahreszeit", dove si citano i Brev. d'Amor 6416: "Sapchatz, segon les naturals, | qu'om pren los .IIII. temporals, | autom, yverns, primver, estieu, | del cors del soleilh").
brun temporau: cfr. "temps brus" Marco 294, 1, 35; "iverns vay e·l temps tenebros" BnVenz 71, 1, 1; la luce connota più di ogni altra cosa la bella stagione: cfr., ad esempio,"lo belh temps ni la clardatz" Anfos 23, 1, 11, e, viceversa, "don l'escur temps s'adouss'e s'esclarzis" GcFaid 167, 40, 2.
 
6. leisserai...a: il verbo laissar regge la preposizione a con il significato di 'cessare' anche in "non laisse mon talan a far" GarBrun 163, 1, 28; "non laissarai a far mon pron" Gaus 167a, 1, 8 ecc.; cfr. inoltre SW 1904, IV, p. 310 n. 13.
un vers...far: a partire dai celebri incipit di Guglielmo IX, Companho, farai un vers [qu'er] covinen 183, 3, Farai un vers de dreit nien 183, 7 (e ibid. "fait ai lo vers, no sai de cui", 43), Farai un vers, pos mi sonelh 183, 12 e inoltre "farai un vers, don sui dolenz" 183, 1, 2, la locuzione è quasi un tecnicismo per indicare la composizione poetica.
           
7. alques: con valore avverbiale come in "c'om alques no la reprenda" RmMirav 406, 23, 42 ecc. Diverse le costruzioni sintattiche documentate da Jensen 1986, § 571, p. 188.
dirai...mon talant: per i due significati del sostantivo ('desiderio, volontà, aspirazione' e 'opinione, pensiero'), cfr. Guida 1983, p. 100 n. 56 e p. 151 n. 42 e Gianni Mombello, Les avatars de "Talentum". Recherches sur l'origine et les variations des acceptions romanes et non romanes de ce terme, Torino, Società Editrice Internazionale, 1976. Per il sintagma stereotipato, nel quale a dire si alternano i verbi descobrir, mostrar, demostrar, cfr. "qu'ieu vos diga mon talan" Caden 106, 7, 50; "dona, l'autrier vos dis tot mon talan" BtCarb 82, 4, 28; "qu'eu no voill dir tan sopte mon talan" BtPug 87, 1, 13 ecc.
           
8. lonc: 'durato troppo a lungo', nell'accezione illustrata da Guida 2002, p. 73 n. 41-42; cfr. inoltre "e sobramars e loncs desirs" GrBorn 242, 8, 34; "e si·m datz ab lonc desir" RbAur 389, 7, 66 (Milone 1998); "pogues e·l mieu tan lonc desir assire" FqMar 155, 1, 23 ecc.
pantais: 'inquetudine, angoscia, confusione', per cui cfr. FEW 1958, VIII, p. 361 (< gr. PHANTASIOŪN 'Erscheinungen haben').
griu pantais: altro sintagma stereotipato, per cui cfr. "en greu pantais sui feblezitz" BnVent 70, 40, 25; "en greu pantais m'a tengut longamen" AimPeg 10, 27, 1; "en greu pantais viu et estau" DPrad 124, 9a, 28 ecc. Per l'associazione di desiderio e angoscia, cfr. invece "ma·l desirs qe·l ten en pantais" GlSt-Did 234, 7, 18.
           
9-10. cubitos | vers cele: l'aggettivo regge di solito la preposizione de, per cui cfr. "de tal domna sui cobeitos" JfrRud 262, 6, 15; "que tant sui de vos cobeitos" GcFaid 167, 1, 39; "de ioi ni d'onor cobeitos" Guilh 201, 4b ~ LanfCig 282, 12a, 51 ecc.
 
10. soaf mi trais: per il sintagma cfr. "e·l gen parlar ab que suau m'atrais" GcFaid 167, 49, 28; e inoltre "Ai, aitan dousamen mi trais | sa boca rizen, quan me dis | quez eu li fos fins e verais" GlAdem 202, 10, 17-19.
 
11. geignos: 'falso', come dimostrano la contrapposizione con leial 12 e le dittologie "no·m fo anc fals ni ginhos" MoMont 305, 12, 15; "e no·l serai fals ni ginhos" GlAdem 202, 12, 9; cfr. inoltre "de las falsas ab cor ginhos" Gavaud  174, 4, 38.
 
12. ainz la portave el cor leial: a partire dalla fortunata formulazione di Folquet de Marseilla ("qu'inz el cor port, domna, vostra faisson" FqMar 155, 8, 9; "pois Amors mi vol honrar | tant qu'el cor vos mi fai portar" ibid., 11-12) l'immagine della "figura nel cuore" diventerà topica (cfr. "Noms Verais, ieu·s fatz prezen | del plag e del jutjamen, | quar cela·l fassatz entendre | cui tostemps inz el cor port" BertZorz 74, 7, 145 ecc.), fino a essere ripresa da Giacomo Lentini in Meravigliosa-mente ("che 'nfra lo core meo | porto la tua figura" 8-9, ediz. Antonelli 1979). L'archetipo è forse biblico (Cantico dei Cantici, 8, 6: "Pone me ut signaculum super cor tuum..., qui fortis ut mors est dilectio"): cfr. Lazzerini 2001, p. 135 e n. 4; Meneghetti 1992, pp. 173-74; Franco Mancini, La figura nel cuore fra cortesia e mistica. Dai Siciliani allo Stilnuovo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1987.
cor leial: cfr. "ab leyal cor vos porte fin amor" GcFaid 167, 41, 28 e viceversa "es, qui porta cor felo" ElCair 133, 3, 38.
 
13. legiers a enganar: identica costruzione sintattica in "que no me fos ben'e leugier'a faire" Caden 106, 23, 10; "bel m'es ab motz leugiers a far" Sord 437, 7 ~ 437, 3, 1.
 
14. peccas: 'pietà, compassione', come in "Amors, tan vos ai servit, | e nulhs pechatz no·us en pren" Peirol 366, 29, 10-11 e in "En totz afars tanh cortezia, | neis en peccat et en merce, | car qui es cortes en tota re, | a tota gen play sa paria" GlOliv 246, 20, 1-4.
deus aman: *deu aman con -s in liaison eufonica, a meno di non voler lasciare a testo quale caso obl. pl. la lezione manoscritta amans, e quindi deus amans < *de les amans. Appel 1890 propone in nota "mas peccat n'aia del aman".
 
15. no gins: 'per nulla'; gins è interpretabile quale forma "francesizzata" di gens, che, come variante arcaica di ges, compare nel Boeci ("ella·s fén sorda, gens a lui non aténd" 131, ediz. Appel 1930, n. 105, p. 149); nello stesso manoscritto W, alcune carte più avanti (212), cfr. "dosna valent | mai qu'altres cent, | prenas et donas mi prese[nt], | non gins argent | ni garniment, | maiz un baisar celadament" An 461, 124, 47-52 (Billy 1995).
La negazione rinforzata è comune prima di un complemento, per cui cfr. Jensen 1986, § 902, pp. 309-310; José Ramón Fernández González, El reforzamiento de la negación en provenzal antiguo, in Actas do XIX Congreso Internacional de Lingüística e Filoloxía Románicas, Universidade de Santiago de Compostela, 1989, Publicadas por Ramón Lorenzo, A Coruña, 1992, pp. 743-69 e Rosa María Medina Granda, A propósito del comportamiento distribucional del occitano antiguo ge(n)s. Elementos de comparación con el francés y el catalán antiguos g(i)ensy gens, "Revista de filología románica", 15 (1998), pp. 77-119, articolo in parte rifuso nel volume Polaridad negativa en occitano antiguo, Oviedo, 1999, pp. 325-44; per qualche esempio, cfr. "E no ges per so qu'eu soan | lor solatz e molt no prezes" GrBorn 242, 5, 61-62; "Bona dompna et avinen | am, e no ges per amor" EvBaz 94, 1, 17-18; "Mas ancar, Amors, no·m lais | qu'ieu vostres tortz no reprenda, | no ges per tal c'o entenda" GisbPuic 173, 10, 12-14 ecc.
Sull'etimologia di ges, che non discenderebbe dal lat. GENUS ma dal genitivo partitivo GENTIUM, usato come particella negativa enfatica sin dai tempi di Plauto, cfr. Thomas J. Walsh, Two Problems in Gallo-Romance Etymology. I. Old French g(i)ens, Old Provençal ge(n)s, Catalan gens: An Etymological Problem with Implications for Linguistic Theory, Methodology, and Technique, RP, 35 (1981-82), pp. 89-99, p. 95.
per autr'orgueill: 'per inorgoglirmi d’altro', vale a dire 'per dedicarmi ad altra cosa (o persona) da cui, invece che infelicità, trarrei motivo d’orgoglio'.
Non escludo però che anche qui, come al v. 30, il sentimento alluda alla donna, per cui il sintagma per autre orgueill sarebbe da parafrasare 'per un'altra donna', secondo definizione di carattere altero. I riferimenti all'atteggiamento "orgoglioso" dell'amata, inflessibile e dura nei confronti dell'amore e dell'innamorato, costellano la lirica trobadorica: cfr., solo per fare qualche esempio, "car vas me s'orgolha" BnVent 70, 25, 7; "e si tot m'es de semblant orgulhos" Peirol 366, 27a, 8; "e, mas tant es vostre cors orgulhos" RmJord 404, 10, 37 ecc. Ho rinvenuto esempi di una metonimia simile a quella che ipotizzo in questo caso (una caratteristica utilizzata per indicare la persona che la possiede) con i termini ricor ("qu'ieu no m'alegor | ni·m part de l'esclau | per autra ricor, | tant pens co·m desclauza | sel iois qu'ieu azor" GirEsp 244, 15, 27-31; "E respon eu a la dompna breumen | que per son drut deu far comunalmen | cum el per lieis ses garda de ricor, | qu'en dos amics non deu aver maior" MVent 295, 1 ~  GuiUss 194, 9, 13-16: Appel 1930, p. 299 s.v. ricor, segnala il fatto che ma ricor, come mos cors, è talvolta una perifrasi che sostituisce il pron. pers. ieu; sa ricor il pron. pres. ela) e lauzor ("e ges non ai duptansa | c'autra lauzors me vensa" GirEsp 244, 12, 27-28). Per altre perifrasi di questo tipo, cfr. infine Stroński 1906, p. 42 n. 3.
Per l'ambiguità che spesso caratterizza l'aggettivo autre, cfr. Guida 1988, p. 397 n. 33. Una panoramica a 360 gradi sullo spettro semantico del sostantivo orgueill è quella offerta da Malte-Ludolf Babin, <Orgolh> - <umil>. Untersuchungen zur lexikalischen Ausprägung des Altokzitanischen im Sinnbereich des Selbstgefühls, Tübingen, Niemeyer, 1993. Sulle tinte antifeudali e anticortesi che lo contrassegnano, cfr. Glyn S. Burgess, Orgueil and Fierté in Twelfth-Century French, ZRPh, LXXXIX (1973), pp. 103-22 e Finoli 1974, p. 1080, che definisce orgolh "qualità antinomica alla cortesia".
 
15-16. no·n lais | de s'amor: la stessa costruzione sintattica è documentata in "qu'ela·m prega e·m diz çastian | que·m lais de donei e de çan" AimPeg 10, 44, 5-6; "sens ditz que·m lais de chantar e d'amor" GlAnd 203, 1, 1; cfr. inoltre SW 1904, IV, p. 311 n. 17.
           
16. de s'amor, dont tant sui coitous: il verso sembra un'eco di Jaufre Rudel ("D'aquest'amor son tan cochos" 262, 6, 8; "cossiros" 15 in quella che è probabilmente una seconda fase redazionale: cfr. Chiarini 1985). Cfr. ivi cubitos 9.
sui: Anglade 1923 fui.
 
17. et conneis ben con ben mi pais: il verso capovolge ironicamente espressioni quali "Q'us joys d'amor me reverdis e·m pays" Cercam 112, 3a, 39; "e salut vos de part cellui | cui vostre jois alegr' e pais" GlSt-Did 234, 7, 3-4; "Aquest'amors m'alegra e·m pays, | lanquan floris la roza e·l glays" JordBon 273, 1b, 21-22 ecc. Il tono è invece vicino a "Ab felhona deziransa | ed estranhatg' e baralh | pays Amors los dezirans" Marcabr 293, 14, 37-39.
 
18. a estrous: sulle varie accezioni che può assumere la locuzione avverbiale, cfr. SW 1902, II, p. 351 s.v. estros; cfr. inoltre TdF 1979, I, p. 1077 estrous; TL 1954, III, col. 1486 estros; REW 3104 EXTRŌRSUS 'nach außen gewendet".
 
19. remasus: 'rimasto lontano' e, quindi, 'privo'.
chabau: 'risarcimento', quello che prima o poi veniva riconosciuto alle sofferenze dell'innamorato. Per tale accezione tecnico-giuridica, cfr. Du Cange 1883, II, p. 130 s.v. capitale 2; per la lirica occitanica, cfr. "C'aitals fos mos chaptaus | dels trabaus e dels maus" RicBarb 421, 3, 17-18 (Braccini 1960, p. 41); "mas non ies tuich per engal, | qe·il fals non podon voler | so que volem nos leial, | per so viura·n de cabal | cals c'ab engan vos esper, | s'ailor non pren son ostal" RmMirav 406, 7, 55-60 (vv. tradotti da Topsfield 1971 'aussi celui qui espère vous gagner avec tromperie devra-t-il se nourrir lui-même sans récompense'); e "En aisso pert lo gazaing e·l captal, | car Dieus no vol desleial ermita, | mas cel acuoill que·ill sapcha en grat servir" RefForcalq 418, 1, 27-28.
Un'altra ipotesi è quella di interpretare de<l> chabau come una locuzione avverbiale, 'da solo': in questo caso bisognerebbe espungere la -l. Con tale accezione de cabal pare attestato in un documento aragonese del 1316: cfr. DECLC 1981, II, s.v. cap alle pp. 504-505, accanto ad a cabal e al più comune per cabal, per cui cfr. Frank 1949, p. 315 e Tausend 1995, p. 608 s.v. 'alleine', con altri esempi; cfr. inoltre "Li donzel van tost düre al cosselh principal | qu'els fassan de Murel issir l'ost comunal | e que no i trenquen plus ni barreira ni pal, | mans que·ls laisso laïns estar totz de cabal", Chans. Crois. Albig.II 138, 1-4 , che l'editore Martin-Chabot 1957 traduce 'mais de laisser les assiégés complètement tranquilles', quindi 'in pace', ma anche 'da soli'.
Anglade 1923 traduce invece "Hélas! Je suis resté en son pouvoir, car je n'ai pas voulu en rechercher une autre".
Per quanto riguarda la vocalizzazione di -al finale in -au, infine, Max Pfister, Observations sur la langue de Girart de Roussillon, "Revue de Linguistique Romane", 34 (1970), pp. 315-25, p. 320 osserva che nel XII e XIII sec. questa evoluzione fonetica è attestata solo nei dialetti occidentali, mentre F. Jensen, Deviation from the Troubadour Norma in the Language of Guillaume IX, in Mélanges Remy, I, pp. 347-62, non lo considera di origine immediatamente dialettale.
 
20. quant: per il significato causale, 'in quanto', cfr. SW 1894, I, p. 195 s.v. can.
autre: alla dama ci si può riferire anche al maschile, quando non ci sia un allusione all'autr'orgueill 15. Anglade 1923 qu'anc, autra.
vol: I sg. ind. pr. (vuolh). Appel 1890 interpreta in nota vol come volc.
poignar: 'sforzarsi, darsi da fare', per cui cfr. LR 1842, IV, p. 598 n. 24 's'efforcer', 'se peiner'.
 
21. drughemant: il dragomanno (ant. drugomanno, o turcimanno) era letteralmente un interprete addetto nel Medio Oriente alle ambasciate, da cui in senso generico 'interprete, sensale, mediatore'. Nella lirica trobadorica può essere di volta in volta rappresentato dalla canzone ("S'era non poia mos chans, | non sai per que mais s'enans, | ... | E si·m seras drogomans? ­­– | a cui? - liei cui sui comans" GrBorn 242, 66, 1-9; "Atressi ma chansos er drogomanz | lai on eu non aus anar " RicBarb 421, 2, 45) o dagli occhi ("quar li huelh son drogoman | del cor" AimPeg 10, 8, 28); cfr. inoltre "cansos, drogomans | seras mon senhor Coino" ElCair 133, 3, 49-50; "Fons Salada, mos drogomans | me siatz mosenhor al rei" BnVent 70, 21, 49-50 ecc. Per la letteratura francese, cfr. invece gli ess. citati da TL 1936, II, coll. 2090-91.
 
22. m'escharatz: 'mi tormentate'. Questa interpretazione parrebbe la più congrua al contesto, dove si allude a un peso (fais) che affligge il poeta.
Anglade 1923 totz meschavatz "j'ai bien mal réussi".
 
22-23. a gran fais | me tieng: la stessa locuzione ricorre in "totz hom que ja ten a fais" RbAur 389, 31, 26;  "quan la vei, m'o tenh a fais" RbVaq 392, 12, 25; "dels reis d'Espanha·m tenh a fais" PVid 364, 35, 33. In a. fr. è attestata più volte l'analoga espressione "se mettre a grant / grans fais", per cui cfr. TL 1954, III, col. 1591. Cfr. inoltre IX, 37 e nota.
 
24. esglais: 'spavento, dolore, timore', per cui cfr. FEW 1952, IV, p. 144 (< GLADIUS); dal provenzale deriva l'a.it. esglaio 'sgomento' (RbVaq 392, 4, 44).
           
25. ia ior: 'mai'.
           
26-27. ab ioi: complemento circostanziale dipendente da sui, 'sono in stato di joi', 'sono in una condizione di felicità'. L'alternativa sarebbe naturalmente quella di intervenire sul testo tràdito, come fa Anglade 1923 ai joi.
et ab ioi de vostre blasmar | et plaisen me tuit vostre dan: un parallelo a tale affermazione estrema può essere quello di "Q'enves mi no-is pot escondire | c'al seu tort no-m dones lezer" BtBorn 80, 10, 9-10, versi tradotti da Gouiran 1987, p. 57 "Car elle ne peut m'opposer un refus sans m'amener à me réjouir de ses malheurs".
 
29. Non pos mudar: cfr. XV, 1.
queno·n biais | vers: letteralmente 'che mi disvii da', e quindi 'che mi allontani, che cambi atteggiamento nei confronti di'; in LR1836, II, p. 219 n. 2 'biaiser, détourner'; FEW 1934, III, p. 230 ( < gr. epikarsios) registra biaisar 's'incliner obliquement; se détourner'.
Nonostante l'affermazione del v. 15 ('per nulla al mondo rinuncio al suo amore') il poeta comincia progressivamente a prendere le distanze dalla situazione di amante infelice e a maturare la decisione del distacco, espressa anche in questo caso con il rovesciamento di programmatiche dichiarazioni di fedeltà abituali nella lirica trobadorica. Dopo Giraut de Borneill ("Amars, onrars e carteners, | humiliars et obezirs, | loncs merceiars e loncs grazirs, | loncs atendres e loncs espers | mi degron far viur'az honor, | s'ieu fos astrucs de bo seignor; | mas car no·m vir ni no·m biais, | no vol Amors qu'ieu sia gais!" GrBorn 242, 8, 1-8), la costanza dei sentimenti a prescindere dal fatto di essere ricambiati o meno diventa uno dei temi preferiti dai trovatori della terza e della quarta generazione: tra tutti ricordo Guillem de Berguedan, che l'associa a un antiesordio stagionale simile al nostro ("Qan vei lo temps camjar e refrezir, | e non auch chans d'auzels, voutas ni lais | que fassant bosc ni conbas retintir, |  ni fuoilla vertz no·i par ni flors no·i nais, | per q'alz mendics trobadors e savais | camja lor votz per l'invern qe·ls tayna; | mas eu sui cel que no·m volv ni·m biais, | tant ai de joi per freich ni per calina" GlBerg 210, 16, 1-8).
Quanto al verbo biaisar, spesso in costruzione assoluta o unito a de, esso regge la stessa preposizione anche in "E nulhs hom non a tan de sen, | ... | que ves calque part non biais" JfrRud 262, 1, 47-49; "per que jois e solatz | reviu en vos e nais | vas calque part biais" ArnMar 30, 19, 45-48; "C'aisi m'es e·l cor sagelatz | vostre rics pretz verais e bos | per qu'ieu non soi ges poderos | que·m biaise vas autre latz" FqMar 155, 9, 22-25.
 
31-32. orgueill [...] | quan pluz en poie, meuz ca ious: d'obbligo il rinvio a "et Orgoills chai on plus aut es pojatz" FqMar 155, 16, 3; l'espressione proverbiale vanta comunque numerose occorrenze: "e qui trop poja bas dissen" FqMar 155, 5, 7; "Mas qui pueja mais que non deu dissen" AimPeg 10, 39, 14; "Que so que l'us pueja, l'autre dissen" AimPeg 10, 27, 26 ecc. Cfr. inoltre Guida 1979, p. 299; Calzolari 1986, p. 128 n. 12, e Pfeffer 1997, p. 120.
Alfred Jeanroy nella recensione a Appel 1890, in AdM, III (1891), pp. 84-88 propone di leggere questo verso "quan plus en poja, miels cai jos".
 
33-34. et est folz qui ve et qui au, | et si non sab son meuz triar: la capacità di cambiare idea anche in amore viene valorizzata non a caso da Gavaudan, autore che a sua volta appartiene alla temperie socio-culturale delineata nel cappello introduttivo. Nel suo vers Lo mes e·l temps e l'an deparc, che polemicamente inizia con una negazione del topico Natureingang e dove spesseggiano i riferimenti alle persone sprovviste di senno, i folhs, egli afferma "De gran prezon mon cor alarc, | per qu'ieu m'esfors torn e reverc | vas lo joy qu'ieu pus vuelh ni serc: | no vol castel, ciutat, ni borc, | aquest joys, ni·l truc Na Borga, | mas selh que tostemps lo serca | tal mal don pieitz li reverca. | Ben laissa clardat per ombra | selh que vas son dan s'alarca" 174, 7, 28-36 (versi tradotti da Guida 1979, pp. 315-16 'io libero il mio cuore da gran prigione, perciò con tutte le mie forze cerco di cambiar rotta e di indirizzarmi verso la gioia che più voglio e cerco: questa gioia non desidera né castello, né città, né borgo, né l'ingannevole amplesso di donna Borga, ma queste cose brama colui che continuamente va cercando tale male da cui ha da aspettarsi peggio. Lascia di certo la luce per l'oscurità chi tende verso il suo danno').
 
36. s'en faignent: 'se ne occupino', ma la desinenza potrebbe anche essere quella dell'indicativo presente. È questo uno dei tanti significati del verbo se fenher, per cui cfr. SW 1902, III, p. 440 n. 3 'sich bemühen, sich abgeben, sich befassen'.
druç: il singolare per l'intera "categoria" di amanti, con sineddoche particolarizzante. Il significato del termine drut passa dall'accezione diffusa nel medioevo di 'amico fedele, uomo di fiducia' (cfr. Du Cange 1884, III, pp. 197-98; SW 1898, II, p. 306) a quella più specifica del linguaggio lirico trobadorico di 'amico intimo, amante' (cfr. Cropp 1975, pp. 59-66). Nella dittologia drus et lais esso rappresenta comunque l'elemento positivo, le 'persone gentili e amabili' appunto, mentre la traduzione proposta da Anglade 1923 ("hommes courtois et hommes grossiers") è troppo impegnativa da un punto di vista dell'etica della fin'amor, all'interno della quale il drut si oppone all'amante "cortese" che mai concretizza il proprio rapporto con la donna amata.
Per l'etimologia del termine drut (< DRŪTO 'gallard, ufanós'), cfr. DECLC 1982, III, s.v. p. 212, con altra bibliografia; per lo spettro di significati nelle diverse lingue romanze, cfr. J. Jud, Zur Geschichte und Herkunft von frz. dru, AR, VI (1922), pp. 313-39.
lais: da laid (laig, laich, lait, lay, laih ecc.) 'brutto, odioso, vile', per cui cfr. SW 1904, IV, p. 298; SW 1904, IV, pp. 326-27 documenta anche il significato di 'misero, infame' ('elend, unglücklich').
Appel 1890 propone in apparato di leggere clerc al posto di druc, attribuendo implicitamente a lais il significato di 'laici'.
 
37. n'ai' estat: Appel 1890 non estan.
enuios: 'irritato', come in "Aital solatz m'aves faissuc | qu'autr'om en seria enuios" BtBorn 80, 24, 8-9; "e s'ieu sui fols no·m fezes enuios" DPrad 124, 11, 41.
Citando alcuni esempi Guida 1983, p. 225 n. 51 osserva che in antico provenzale la possibile riduzione della -o- a -u- in protonia (anche per influsso delle forme rizotoniche) nei derivati da inodiare ha portato a una varietà di grafie per l'aggettivo (enoios, enuios, enueios) che hanno spesso determinato confusione tra enueios = enuios 'molesto' ed enueios = enveios 'desideroso' nei copisti medievali, nonché dubbi e misinterpretazioni negli editori moderni.
 
38. l'esfenis: 'l'abbandono' (il ioi del v. 30); esfinir 'terminer, achever' in LR 1840, III, p. 332 n.  27.
 
39. per oc: variante dell'a. prov. per o, per cui cfr. anche IX, 15 e nota; XXI, 11. Oc col senso dimostrativo (< HOC) compare nel Girart de Roussillon (cfr. Appel 1930 gloss. s.v. o), altro testo mescidato, tra l’altro, di francese.
no·n soi poderos: letteralmente 'non sono in possesso di lei', come in "o ieu murrai o·n serai poderos" GrdoRos 240, 4, 47. Cfr. inoltre "S'ieu fos aissi segner ni poderos | de mi meteis, qe no·m tengues amors" BtBorn 80, 40, 1-2; "qu'assatz a qui es poderos | de selhuy ves qui a cor granh" GlBal 208, 1, 52-53; "donc ben dey esser poderos | de mon cor, quan er volontos" GrRiq 248, 47, 25-26 ecc.
Altra possibile traduzione è 'visto che non ne posso nulla': in antico provenzale, infatti, l'espressione esser poderos d'alcuna re altro non è che "une périprhrase pour 'pouvoir faire qu.ch', ou bien pour 'avoir du pouvoir sur qu.ch'" (Stroński 1906, pp. 62-63, con altri ess.).
 
40. poder: il possesso? il fatto di possedere un amante?
sab: Anglade 1923 sai ('puisque je n'y connais aucun pouvoir, bon ou mauvais, il est bien qu'on cesse de la protéger').
 
41. la:  dopo i pronomi al maschile (v. 38), riferiti ai diversi pseudonimi della donna (orgueill, ioi), il poeta ritorna a riferirsi a lei al femminile, come al v. 12. Appel 1890 lo.
desampar: il Du Cange 1884, III, p. 75 glossa la voce desamparare con 'cedĕre, rem occupatam dimittĕre' e dagli esempi si evince che il verbo è usato in particolare nelle cessioni di beni; questo significato è confermato dall'uso del verbo in Brunel 1952, II, doc. 415.2 e dagli altri ess. registrati nel glossario s.vv. desamparar e desanparar, II, p. 238: nel nostro contesto il termine indica quindi per traslato la decisione di abbandonare l'amore della dama.
In Folquet de Marseilla il desampar del poeta configura una sorta di chanson de change ("e·l dieus d'amor m'a nafrat de tal lanssa | don no·m ten pro sojornars ni jazers, | anz desampar, per midonz cui ador, | tal que m'a fait gran ben e gran honor, | mas ben deu hom camjar bon per meillor" FqMar 155, 6, 41-44), mentre la donna amata induce l'innamorato ad abbandonare ogni altro affetto in "de tot can sueil | amar me tueil | e so q'ei amat desampar" PAlv 323,10 e "tot autr'amor oblit e desampar" GlCapest 213, 6, 20. Il verbo è singolarmente ricorrente in Gavaudan (cfr. dezampar, dezampara 174, 8, 17 e 18; dezampars 174, 5, 55 e 63; dezamparatz 174, 4, 1) e viene a seconda dei casi glossato da Guida 1979 con 'abbandonare, venire meno, tradire, ignorare'; in Bertran de Born 80, 21, 74-75, infine, il desamparar di n'Aimar è il tradimento del visconte nei confronti del trovatore.
 
42. La congettura afan, già di Anglade 1923, pare avvalorata dal riscontro testuale con Lancan lo douz temps BremRasc 104, 2, 16 citato nell'introduzione.

 

Note

(1) Sulle differenze che si riscontrano tra tradizione iconografica, nella quale gli uomini selvatici sono immancabilmente ignudi, irsuti e quasi sempre armati di mazza, e tradizione letteraria, cfr. Sandro Orlando, Uomini selvatici e poeti nella lirica cortese romanza, in AA.VV., Studi testuali, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1984, pp. 83-108, che interpreta lo scarto in chiave sociologica quale riflesso dell'antagonismo tra classe dominante e contadini, e inoltre raccoglie una ricca antologia di esempi; cfr. inoltre Jacques Le Goff, Il meraviglioso e il quotidiano nell'Occidente medievale, a c. di Francesco Maiello, Bari, Laterza, 1984, pp. 25-44 e 101-143 e Asperti 1990, p. 410 n. 32. ()

(2) Il termine è da ricondurre all'a. fr. desver (desvier, desvoier), per cui cfr. TL 1936, II, col. 1814 'den Verstand verlieren, rasend werden', dove è citata anche la forma dervés. Per quanto riguarda l'a. prov., desviat, 'turbato', è il poeta in "aissi m'a desviat Amors | c'a penas chans ni temps ni flors | mi pot donar alegratge" RmMirav 406, 31, 6. ()

(3) Lo stesso schema metrico compare inoltre in Ben es dregz qu'eu fass' oimai BnMarti 63, 4, canzone attribuita a Pons de la Garda da Frank 1949, p. 232 sulla base della tradizione (BnMarti E 113 - Pons de la Garda E 165 - anon., ma dopo testi anon di Pons de la Garda, V 102); l'attribuzione a Bernart Marti deriverebbe appunto dall'affinità metrica con BnMarti 63, 7, che Frank ritiene di conseguenza fosse presente nel ramo di tradizione confluito in E. ()

(4) Barbara Spaggiari propende invece per un anonimo imitatore del trovatore guascone: cfr. Riquer 1971, n. 31, p. 251; Beggiato 1984, 9, p. 147 sgg.; Spaggiari 1996, pp. 362-71. ()

(5) An 461, 197 ha in comune con JfrRud 262, 1  anche s'irais 14 : m'apais 28 : trais 35. Si tratta di una serie molto fortunata: cfr. come ulteriore esempio IX, 38. ()

(6) Cfr. D. Scheludko, Zur Geschichte des Natureinganges bei den Trobadors, ZfSL, LX (1937), pp. 257-334 e Roger Dragonetti, La technique poétique des trouvères dans la chanson courtoise, Brugge, De Tempel, 1960, pp. 163-93. ()

(7) La vexata questio ha una lunga storia: alcune delle tappe più significative si trovano in Jeanroy 1934, II, pp. 62-69; Dietmar Rieger, Gattungen und Gattungsbezeichnungen der Trobadorlyrik. Untersuchungen zum altprovenzalischen Sirventes, Tübingen, Niemeyer, 1976; Riquer 1983, I, pp. 49-52; E. Köhler, in GRLMA, 1987, vol. III, tomo 1, fasc. 3, pp. 45 sgg. con altra bibliografia. ()

(8) Agli elementi che ho appena indicato quali indizi per la supposta antichità della canzone andrà naturalmente aggiunta la circostanza che le aggiunte provenzali di W sembrano prediligere i trovatori delle prime generazioni, per cui cfr. § 1.8. ()

(9) Cfr. Appel 1890; Jeanroy nella recensione a Appel 1890, in AdM, III (1891), p. 86; Anglade 1923, p. VIII e p. 178; Kolsen 1919, p. 1 A 2; Beck 1938, II, p. 95 se ne dice del tutto convinto; Van der Werf 1984, p. 350; Gourc 1994, p. 105. ()

(10) Già Kurt Lewent, nella recensione a Kolsen 1919, in ZRPh, XL (1920), p. 368 n. 2 aveva messo in dubbio questa attribuzione a Peire Vidal. ()

 

 

 

 

 

 

 

 

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